antropologia

Saperi che (r)esistono

I saperi ecologici locali per resistere alla crisi climatica e ambientale Pubblichiamo oggi la prima puntata di Intemperie, serie realizzata in collaborazione con studenti e studentesse del Laboratorio permanente di Antropologia dei Cambiamenti Climatici, coordinato dall’antropologa Elisabetta Dall’Ò, presso il Dipartimento CPS (Culture, Politiche e Società) dell’Università di Torino

Mascherine, retoriche dell’inutilità ai t...

Lo sguardo dell’antropologia tra percezione del rischio e comunicazione «Quando gli storici faranno la conta dei tanti passi falsi commessi dai decisori politici nella risposta all’epidemia da coronavirus, in cima alla lista ci sarà l’insensato e antiscientifico invito per il grande pubblico, a non indossare le mascherine»[1]. Da antropologa non posso scommettere su quanto la Storia, un giorno, sarà in grado di decretare, ma mi “accontento” di scattare un’istantanea da un osservatorio etnografico privilegiato e assolutamente insolito: il tempo —presente e sospeso— interno all’emergenza. Definire cosa un’emergenza sia, anche da un punto di vista giuridico, è materia complessa: come scrive Francesco Niola si tratta di un concetto profondamente connesso a quello di “contingenza” «ovvero il diverso, spesso rapido articolarsi della realtà cui l’ordinamento deve reagire per mantenere garantirsi quello stato originario di cogenza ed equilibrio» (Niola 2014). Da un punto di vista antropologico l’emergenza costituisce un “costrutto sociale”, un immaginario, che dà forma non solo alla comprensione della realtà ma anche all’azione che segue tale comprensione (Calhoun 2010). Gli strumenti di cui dispone l’antropologia, e in particolare l’antropologia che si occupa dei disastri, per analizzare e comprendere le narrazioni istituzionali e la percezione dell’emergenza sono molteplici. Per la loro caratteristica […]

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