Pubblichiamo l’introduzione al libro di Alexander Koensler e Pietro Meloni pubblicato da Carocci.
Che rapporto intratteniamo con ciò che mangiamo? Se il compito dell’antropologia è quello di indagare, mettere in discussione e ripensare ciò che ci sembra ovvio, naturale e scontato, allora il compito dell’antropologia alimentare è quello di stimolare l’immaginario in relazione alle forme di produzione e di consumo, di ampliare l’orizzonte e vedere i diversi modi con cui ci relazioniamo con il cibo. «Tutto potrebbe essere diversamente», dice Musil attraverso la voce del suo protagonista ne L’uomo senza qualità (1997). Perché le persone decidono di scartare alcuni cibi e prediligerne altri? Perché in alcuni contesti culturali certi alimenti sono considerati sacri mentre in altri vengono disprezzati? Che cosa c’è dietro il crescente interesse per i cibi biologici e le forme di consumo alternativo come i gruppi di acquisto solidale? In che modo il capitale finanziario condiziona il mondo del cibo? Questo volume dimostra la validità dell’ottica antropologica per comprendere problematiche chiave del nostro tempo in relazione all’alimentazione. Esso introduce in modo sistematico e accessibile alle pietre miliari della letteratura antropologica internazionale che analizza e decostruisce, spesso in un’ottica critica, il nostro rapporto con il cibo.
Certo, di antropologia alimentare – o dell’alimentazione, o del cibo, secondo definizioni più diffuse – si è scritto tanto – qualcuno, a fortiori, potrebbe anche dire che se ne è scritto troppo. Benché Mauss affermasse, alla fine degli anni Quaranta del Novecento, che il cibo non fosse un oggetto di indagine sistematico dell’antropologia, poiché relegato soltanto agli aspetti cerimoniali e festivi, oggi possiamo certamente dire che il cibo rappresenta, sempre in termini maussiani, un fatto sociale totale, un fenomeno da indagare dal punto di vista olistico in quanto chiama in causa aspetti legati al quotidiano, al religioso, al politico, all’estetica, all’economia ecc.
È proprio la pervasività di questo oggetto quanto mai denso, ci invita alla cautela.
Ceci n’est pas un manuel! verrebbe da dire, per chiarire subito al lettore la direzione e la pretesa di questo volume. Ceci n’est pas, perché non soltanto di un manuale si tratta.
Quando abbiamo deciso di lavorare sulle questioni alimentari, ci siamo chiesti come restituire il senso di un orizzonte di studi altamente frequentato e prolifico e, al tempo stesso, far emergere alcuni aspetti che a nostro avviso sono caratteristici delle tendenze più recenti e delle nostre indagini di ricerca.
Abbiamo così deciso di seguire un percorso dove etnografia e teoria dialogano in modo stretto, il cui esito è un testo che presenta sia i tratti caratteristici del manuale – ricostruzione di scuole di studi e di teorie, esempi tratti da ricerche classiche – sia quelli dell’etnografia – descrizione del lavoro di campo svolto dall’antropologo, attenzione ai modi della vita quotidiana dei soggetti indagati. Si tratta di uno strumento di aggiornamento sullo stato degli studi e di avanzamento scientifico per quanto concerne la ricerca empirica.
Il libro si basa su due ampi percorsi etnografici portati avanti dai due autori negli ultimi anni. Per quanto riguarda la prima parte, Pietro Meloni fa riferimento a una etnografia di lunga durata sul mondo post-mezzadrile, svolta in un periodo che va dal 2011 al 2016 nelle zone del Chianti e della Val di Merse, nella Toscana centrale. Nella seconda parte, Alexander Koensler si basa su ricerche etnografiche realizzate tra il 2014 e il 2018 riguardanti le politiche di reti di attivismo neo-rurale in Umbria, Lazio e Toscana meridionale, compiute nell’ambito del progetto di ricerca Peasant Activism Project, ospitato dalla Queen’s University Belfast e da lui coordinato.
La prima parte di questo libro analizza l’alimentazione seguendo un percorso che parte dagli studi di antropologia del consumo e di cultura materiale. Il cibo, in questo caso, è visto come uno strumento che permette agli attori sociali di esprimere la loro identità, di costruire relazioni sociali, di rendere manifesti i propri gusti e la propria appartenenza sociale. Questa parte contiene la storia (parziale) del mondo mezzadrile italiano, con particolare attenzione ad alimenti come la carne di maiale, il pane, il vino e l’olio.
Il primo capitolo parte da una riflessione classica negli studi dedicati all’alimentazione, quella relativa al divieto di cibarsi del maiale presente nella religione islamica e nell’ebraismo. Perché, in differenti contesti, le persone, pur avendo accesso a un’ampia scelta di alimenti decidono di scartarne molti in favore di pochi? Il tabu del maiale è un buon punto di partenza per collocare l’alimentazione all’interno di una cornice interpretativa antropologica. L’oggetto di questo capitolo è dunque il maiale, ritenuto un oggetto “buono da pensare” per gli antropologi – non solo quelli che si sono occupati di alimentazione. Dopo l’analisi dei divieti alimentari, che parte da Harris, il capitolo procede con un taglio fortemente etnografico, dando spazio, attraverso riferimenti alla Toscana mezzadrile e post-mezzadrile, alle questioni relative alla cultura materiale e, in particolar modo, ai modi di consumare la carne suina. L’ultimo paragrafo del primo capitolo tiene insieme una riflessione ecologica che parte dal noto lavoro di Rappaport sui maiali presso gli Tsembaga della Nuova Guinea con la caccia presso un piccolo paese della Toscana, Iesa, evidenziando gli aspetti relativi al rapporto uomo-ambiente e uomo-animale, insieme alla necessità di costruire coesione sociale in un contesto soggetto a un forte flusso migratorio.
Il secondo capitolo ricostruisce la storia alimentare della mezzadria dell’Italia centrale, per spiegare le trasformazioni occorse nel momento in cui, con lo spopolamento delle campagne e la nascita dei consumi di massa, le persone che si sono progressivamente allontanate dalla fame hanno costruito un nuovo rapporto con il cibo. Il superamento della fame è garantito anche dai dispositivi tecnologi che, in questo capitolo, vengono analizzati negli ultimi due paragrafi, partendo dal frigorifero per arrivare poi ai sociali network.
Il terzo capitolo, invece, analizza le questioni alimentari a partire dal tema del gusto, della competizione e delle competenze. Facendo riferimento agli studi di Bourdieu, Elias, Veblen, Le Wita, si pone l’accento su come l’alimentazione chiami in causa tutta una serie di comportamenti e di competenze che esulano dal semplice atto del nutrirsi, evidenziando così la natura posizionale del gusto.
La seconda parte introduce il dibattito sull’economia politica del settore agro-alimentare, indagando gli effetti indiretti dell’attuale sistema alimentare, dalla grande distribuzione all’agribusiness globale. In particolare, ci si sofferma su lavori teorici ed etnografici che vedono nella “svolta neorurale” dell’attivismo altermondialista, una speranza per costruire una società più inclusiva e sostenibile in relazione alla produzione e al consumo alimentare. In altre parole, questa parte conferma l’importanza di uno sguardo sociopolitico sull’alimentazione per la comprensione delle grandi questioni ecologiche e di giustizia nel mondo contemporaneo.
Il quarto capitolo mette in campo strumenti di analisi per la comprensione delle catene alimentari nella loro dimensione sociopolitica e globale. Qui si spiega, infatti, come l’alimentazione possa essere usata per comprendere meglio le questioni di governance contemporanea, ricostruendo il “metodo del sistema alimentare” proposto da McMichael e Friedman, che ha segnato un punto di svolta sia negli studi agrari, sia in quelli antropologici. Un riferimento imprescindibile è lo studio di Mintz sul ruolo che ha avuto lo zucchero nell’ascesa dell’impero coloniale britannico, favorendo un’alimentazione calorica a basso costo. Questa prospettiva utilizza le pratiche e le retoriche dell’alimentazione per comprendere le relazioni tra Stato, mercato e i flussi di capitali e di merci, favoriti o ostacolati dagli ordini politico-economici internazionali.
Il quinto capitolo indaga il ruolo che le politiche dell’alimentazione hanno assunto nell’ultimo decennio all’interno dell’attivismo altermondialista, che contesta le conseguenze sociopolitiche della globalizzazione finanziaria. Basandosi su ricerche relative all’attivismo alimentare, si mette in luce come la svolta neorurale dell’attivismo altermondialista sia stata possibile grazie alla rivitalizzazione di una concezione della ruralità che integra aspetti politici, sociali e ambientalisti.
Il sesto capitolo esplora gli spazi ibridi e i margini del sistema alimentare contemporaneo. Di questi, fanno parte le cosiddette “cucine regionali”, i prodotti “tipici” e “tradizionali”, ma anche reti di attivismo alimentare come Slow Food, la diffusione del “chilometro zero” e i gruppi di acquisto solidale. Rispetto al sistema alimentare dell’agribusiness globale, si tratta di forme di resistenza che possono diventare incubatori di qualcosa di nuovo? Inoltre, verranno approfondite le politiche e le pratiche della “dieta mediterranea” come terreno di scontro tra “tradizionalisti” e “costruttivisti”.
Nel settimo capitolo si offre, infine, uno sguardo etnografico sulle sperimentazioni con certificazioni alternative di gruppi locali legati al movimento Genuino clandestino. Queste sperimentazioni mirano dritte al cuore del problema della governance del sistema alimentare contemporaneo, cercando di mettere in pratica forme di garanzia della qualità più democratiche e inclusive rispetto a quelle ufficiali. Inoltre, si dimostra come, a partire dal tema dell’alimentazione, nascano “utopie concrete” di una portata più profonda rispetto al consumo critico.
*Le foto presenti in questo articolo sono degli autori.