Introduzione
“Sulla Faglia” è un progetto che nasce dalla passione combinata per il camminare e le storie di vita. Vuole raccontare luoghi, paesaggi e frammenti di storie di vita di persone che abitano a cavallo di quattro regioni d’Italia (Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio) e che si trovano a condividere la stessa esperienza esistenziale: vivere sulla faglia appenninica, teatro degli eventi sismici del 2009 e del 2016-2017 che hanno stravolto l’identità, l’ambiente e la vita di chi ha sempre chiamato questa terra “casa”.
Per l’occasione non ci troviamo a vestire i soli panni pellegrini, ma anche quelli di ricercatori. Se è stato possibile dare corpo a quello che non è solo un lavoro di ricerca qualitativo, ma anche una narrazione, è grazie alle pratiche e alla cornice di riferimento a cui ci rifacciamo, ovvero al metodo di ricerca qualitativa e allo stile pedagodico appreso presso la Libera Università dell’Autobiografia. 1
L’obiettivo del progetto è quello di riportare alla luce memoria, preservare piccole storie dall’oblio, generare testimonianze dirette, fare “comunità”. Una comunità “altra”, quella che si riconosce nell’esperienza di abitare sulla faglia appenninica. Cercheremo di delinearne, attraverso la raccolta di storie di vita, delle possibili identità.
La peculiarità di questo lavoro è allo stesso tempo il suo cuore: realizzare una raccolta biografica in cammino. La penna, l’ascolto e i nostri passi ci hanno condotto lungo le quattordici tappe del Cammino nelle Terre Mutate.
Franco Arminio dice che “E’ difficile raccontare un luogo passandoci dentro per un giorno.2
Oggi possiamo affermare che sì, è difficile, ma lo è soprattutto se ci si pensa come custodi di verità assolute o ingordi di informazioni. Ma noi siamo biografi di paesaggio e di comunità e le Terre Mutate ci hanno da subito insegnato che esistono tante verità e tante storie. Un’istantanea, un colpo d’occhio, un punto di vista costantemente in relazione tra un mondo di fuori e un mondo interiore, il nostro, soggettivo. Narriamo in itinere e questo si traduce in una narrazione e in un ascolto fatti in punta di piedi e con lentezza, con passo umile, delicato e gentile. Non la pretesa di completezza, ma l’emersione dell’essenza e il lascito della presenza.
Siamo partiti da Fabriano, ai bordi del cratere del sisma del 2016-17, per raggiungere, dopo circa 250 km di “traversata appenninica”, la città dell’Aquila. Un tracciato che collega 4 regioni d’Italia (Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo) e ambienti molto diversi tra loro, attraversa 2 Parchi Nazionali, quello dei Monti Sibillini e quello del Gran Sasso e dei Monti della Laga e piccole città e paesi che spesso vivono destini comuni, non importa se ci si trovi nelle Marche o in Abruzzo.
Vallate e confini naturali dividono le piccole comunità locali, luoghi unici e distanti, ma in alcuni casi i confini naturali e regionali sembrano sparire. Lo spopolamento, le attività antropiche rimaste, il legame con la terra, la faglia sismica, raccontano di vicinanze, similitudini, assonanze che riverberano di valle in valle, di comunità in comunità.
La narrazione del paesaggio
La scrittura, avvenuta durante le soste lungo le tappe, è stata incanalata da “dispositivi” preparati prima di partire. Questi consistono in un “prestito letterario”, ovvero una frase o un breve frammento tratto da testi di riferimento riguardanti temi come il camminare, il viaggio, il paesaggio, i paesi, la strada, e in una “sollecitazione alla scrittura”, una breve domanda o consegna volta ad indirizzare il pensiero verso suggestioni particolari. Sono dispositivi semplici che “danno il là” allo scrivere. Sarà poi la penna a condurre. Affidandosi ad essa e lasciandosi trasportare dal fluire della scrittura in un gesto di esplorazione libera, che oscilla tra ciò che si propone allo sguardo e ciò che anima il pensiero in un collegamento costante tra fuori e dentro sé, in un bosco, in una piazza o su un passo di montagna.
Questo genere di scritture rientrano in quelle che Duccio Demetrio definisce eco-narrazioni 3
una forma di narrazione che fa emergere l’umiltà e la bellezza della vita a contatto con la natura.
Ecco un esempio di dispositivo composto da un prestito letterario e una sollecitazione:
Prestito letterario: “Ogni strada ha un sasso
e una margherita”4
Sollecitazione:Lungo la strada i miei occhi hanno raccolto.
La raccolta biografica di comunità nella pratica
La raccolta di frammenti di storie di vita è avvenuta attraverso quello che viene chiamato colloquio biografico (o intervista narrativa), inteso come pratica formativa e pedagogica: l’attenzione non è focalizzata sulla raccolta di fonti o informazioni, ma sull’ascolto empatico di storie di vita. Nel caso specifico di questo progetto, interesserà esplorare biografie alla ricerca delle relazioni con i luoghi in cui queste vite sono state vissute. L’obiettivo è r-accogliere storie da custodire.
Perchè ciò avvenga, oltre all’ascolto empatico, ci dovrà essere una totale assenza di giudizio rispetto a quello che si ascolta e un rispetto assoluto delle storie e delle persone (ogni storia è un dono). Il colloquio biografico inoltre reca con sé un’importante funzione formativa e trasformativa: si muta insieme, narratore e ascoltatore/ricercatore; nel racconto e nell’ascolto si intesse un legame, e le parole dell’altro risuonano in noi, ci si rispecchia, negli episodi di vita, negli amori, nelle scelte di vita.
In questo contesto l’obiettivo è stato quello di esplorare alcuni aspetti in particolare delle storie di vita, per portare alla luce soprattutto le relazioni con i luoghi: luoghi dell’infanzia, dell’adolescenza, luoghi d’affezione e del presente, con mutamenti annessi. Tra i temi inseriti all’interno della traccia che abbiamo sottoposto ai nostri narratori non compariva mai, in maniera diretta, quello del sisma. Abbiamo scelto di lasciare libere le persone di parlarne solo se la narrazione personale le avesse condotte a raccontare anche del dramma del terremoto. Possiamo parlare, seguendo la definizione di R. Atkinson 5
nel testo “L’intervista narrativa”, di raccolta di life histories, cioè il resoconto storico di una vita legato ad una aspetto specifico (i luoghi di vita e d’affezione nel nostro caso).
L’incontro con i narratori e le narratrici
Abbiamo scelto di non limitare il nostro target ad una fascia di età precisa, né abbiamo posto limiti di altro genere, semplicemente l’incontro sarebbe avvenuto con chi vive e ha vissuto lungo la faglia appenninica. La ricerca dei narratori è avvenuto con l’aiuto di FederTrek, partner progettuale, altre associazioni locali e attraverso conoscenze personali e passaparola. Abbiamo contattato telefonicamente i nostri narratori già un mese o due prima della partenza. Lo richiedeva il metodo e lo richiedeva la nostra sensibilità. Ci siamo affidati ad entrambi – metodo e sensibilità – e questa scelta ci ha permesso di differenziarci, agli occhi degli intervistati, dai tanti giornalisti passati in queste terre alla ricerca della notizia. Ci ha permesso di raccontare ai diretti interessati il perchè lo stavamo facendo e il significato di un colloquio biografico. Ha concesso la libertà all’altra/o di dire “no, non me la sento”. Ci ha permesso di presentarci e di dar vita ad un tempo di attesa.
Noi stessi abbiamo iniziato ad immaginarci i volti dalle voci. Gli incontri sono avvenuti in presenza e in luogo prestabilito, luoghi raggiunti sempre camminando. Ciascun colloquio è stato audioregistrato e oggi siamo alla fase della sbobinatura: quel tempo, quella fatica e al tempo stesso quel privilegio di svolgere un filo, quello della vita, per trascriverne il contenuto. La sbobinatura si trasformerà in una fedele trascrizione e successivamente verrà rielaborata perché la narrazione possa essere fruibile alla lettura.
Prima della restituzione del lavoro svolto alle comunità locali attraverso una pubblicazione, ciascuna storia trascritta sarà “restituita” ai rispettivi narratori e, solo a seguito di loro liberatoria, verrà divulgata. Sarà un momento assolutamente generativo quello in cui restituiremo le storie: non è facile definire la potenza del riconoscersi, del rileggere la propria storia e della consapevolezza che sì, anche la “mia” storia è importante e degna di essere raccontata. E ancora, per quanto frutto di una negoziazione necessaria alla fruizione della lettura sia dal punto di vista stilistico che di significato, nessuna interpretazione andrà ad intaccare il racconto autentico, sarà come leggere la “viva parola”.
Oggi, nel pieno della sbobinatura, siamo intenti ad individuare, passo dopo passo, quel filo rosso che unisce le storie di quella che abbiamo immaginato come una comunità “altra”, “allargata”, le vite e i legami di chi vive lungo la faglia appenninica e lungo il sentiero da noi percorso, il Cammino nelle Terre Mutate: cosa accomuna le loro storie? Quali eco abbiamo sentito risuonare da un luogo all’altro? Quali forme di legame con il territorio? Trepidanti, ma con consueta attenzione e pazienza, proseguiamo questo cammino “al passo”, perchè il tempo dedicato sia un investimento proficuo. “Fare memoria” e crearne di nuova, una memoria attorno alla quale ritrovarsi. Fare memoria per fare comunità.
Una volta terminate sbobinature, trascrizioni e restituzioni potremo tracciare con ancora più consapevolezza quelle corrispondenze ricercate e tracciare le eventuali differenze emerse. I fili rossi, i risultati della nostra ricerca e narrazione.
Ve ne renderemo partecipi, anche attraverso le parole di chi ci ha accompagnato tappa per tappa in un dialogo sempre acceso.
Note
- Cfr. Caterina Benelli, Diventare biografi di comunità, Edizioni Unicopli, Milano, 2013
- Franco Arminio, Lettera a chi non c’era. Parola dalle terre mosse, Bompiani, Firenze 2021, p. 52
- D. Demetrio, Green Autobiography, Book Salad, Anghiari 2013, p. 72,
- Paolo Volponi, Poesie giovanili, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2020
- R. Atkinson, L’intervista narrativa. Raccontare la storia di sé nella ricerca formativa, organizzativa e sociale. Raffaello Cortina Editore, Milano 2002