Tutto il resto è destra

Brevi riflessioni a margine della parata militare-umanitaria Mare Nostrum

Dopo il diluvio necrologico (nel senso di discorsi di morte) degli ultimi giorni che ha fatto seguito all’uccisione di altri migranti nel Mediterraneo – un diluvio accompagnato da discorsi razzisti trasversali espressi in forme esplicite o mascherate da amministrazione democratica dell’“emergenza migratoria”– lo Stato si muove e reagisce da Stato.

Il Presidente del Consiglio Letta, il Vice Alfano e la Ministra Kyenge celebrano l’inizio di una nuova avventura “militare umanitaria” italiana messa a punto con il benestare dell’Europa, in risposta alle pressioni dei corpi raccolti al largo di Lampedusa. Una svolta, un cambio di rotta, o una parata militare-umanitaria?

Nelle televisioni la vicenda viene discussa come una questione che riguarda l’Europa tutta. Si intervistano i superstiti o i parenti delle vittime. Le immagini di Letta e Barroso sofferenti di fianco alle bare girano a ripetizione. Letta si fa beffa dei morti e li proclama cittadini italiani, post-mortem: beffa che suona ancora più macabra, se si considera che quelle stesse morti sono state provocate dall’attuale sistema italiano ed europeo di acquisizione della cittadinanza e di amministrazione delle migrazioni.

Come spesso accade, il discorso di chi amministra il dispositivo di morte europeo sembra inglobare al suo interno anche le voci critiche. Così le voci dei rappresentanti dell’Unione ci dicono che bisogna rimettere mano al sistema del diritto d’asilo europeo. Mentre le voci di Stato italiane ci dicono che forse si potrebbe rivedere la Bossi-Fini e il quadro di norme che hanno reso il Mediterraneo un autentico cimitero. O forse no, perché in fondo il problema non è quello della Bossi-Fini, né quello della Turco-Napolitano, né del sistema Schengen. E dunque: retromarcia.

Il Presidente Napolitano afferma che bisogna rafforzare Frontex: la morte si affronta aumentando il controllo securitario dei confini. Il problema, ci si racconta, non è quello di un quadro normativo che ammazza; il problema, ci si racconta, è quello della riduzione del danno, dell’improbabile idea della “messa in sicurezza del mare”.

Occorre regolarizzare; adottare procedure di soccorso più efficaci; punire i “mercanti di morte”; adattare i quadri normativi ai tempi migratori che corrono; rendere l’esistente un po’ meno doloroso, prevenire l’entrata in circolo di altre immagini tragiche. La montagna di confusione partorisce il topolino offuscante: Mare Nostrum.

Con un nome latino Letta e il governo delle larghe intese pensano di mettere in atto questa regolarizzazione: navi da guerra, droni, misure eccezionali per fronteggiare l’emergenza. Ancora una volta il paradigma risolutivo adottato è quello emergenziale, quello della protrazione e perpetuazione dello stato di cose esistente. Siamo in emergenza militare-umanitaria, ci si dice, evocando un vocabolario politico che ormai sembra essere stato ampiamente metabolizzato tanto da chi propone Mare Nostrum quanto dalla maggioranza di coloro che ascoltano e osservano la parata.

Ci dispiace per i sommersi. Misure straordinarie in linea con il diritto internazionale, uso della forza, militarizzazione del mare, e poi, come dice Alfano, si deciderà lì per lì se dirottare i salvati sulle coste di altri Paesi oppure se accoglierli in qualche nostro centro di permanenza. Il Vice Primo Ministro, tra il militare e l’umanitario, dichiara: “Si valuterà in base al luogo dove avverrà l’operazione”. In sostanza: Mare Nostrum potrebbe rendere più funzionali i respingimenti, dice Alfano.

Amministrare le rotte e i flussi; distribuire militarmente il magma umano; metafore e ritornelli idraulici si moltiplicano. In questo consiste il cambiamento di rotta previsto dalla missione militare umanitaria in mare messa a punto dallo Stato.

Tutti i nodi vengono al pettine. Il sistema di equazioni che ha prodotto la tragedia del presente rimane intatto, anzi ne esce rafforzato da Mare Nostrum. Alle migrazioni si associa la sicurezza, l’umanitarismo, la forza militare. Corpi in movimento, in fuga, in transito, amministrati con l’uso della forza umanitaria, della forza dell’umanitarismo, e dell’umanitarismo della forza. Nessun cambio di paradigma, anzi, affinamento dello stesso. Nuovi strumenti perfezionano il dispositivo che regola l’esistente di fronte al quale tutti dicono di provare compassione.

A sinistra, incuranti della propria organicità storica, si provano a riprendere i discorsi che l’emergenzialismo democratico dei Letta, Alfano, Kyenge etc… ha già saputo inglobare nei loro discorsi da parata militare umanitaria. Abolire la Bossi-Fini, ripensare le migrazioni etc… Campagne, petizioni, firme.

Ma nessuno agita l’unico spauracchio di sinistra che andrebbe agitato – la via maestra verso l’abolizione della clandestinità: lo spauracchio dell’eguaglianza e della reciprocità. L’unico progetto di futuro non necrologico che andrebbe espresso con forza è quello della fuoriuscita da tutti i paradigmi normativi che fanno delle migrazioni una questione da amministrare, in un modo, o nell’altro. E per mettere in atto questa fuoriuscita occorre avere il coraggio di dire che i passaporti di chi muore hanno lo stesso valore dei nostri. Che, visto che né Alfano, né Letta, né nessuno di noi quando si reca in Africa, in Asia o in qualsiasi continente lo fa a rischio di morte o respingimento, lo stesso dovrebbe valere per chi vuole entrare, passare tempo, transitare in Italia o in un altro Paese europeo.

Tutto il resto è destra.

Print Friendly, PDF & Email
Close