Tra spazio umanitario e spazio esternalizzato
Le ONG e le migrazioni in Libia
Un estratto dell’introduzione a un libro esperimento curatoriale-politico: “Dreamland i confini dell’immaginario” (ManifestoLibri 2020).
Nella terra di mezzo Scrivere sui confini del Libano è un esercizio che richiede l’adozione di una lente d’analisi accurata e attenta: nel corso del tempo questi sono stati infatti spesso reclamati, modificati, occupati e militarizzati fino a quando, prevedibilmente, non sono stati sbarrati mettendo in luce la violenza intrinseca alle pratiche di frontiera. E come è successo anche a molti stati nordafricani, il Libano ha finito per rappresentare molto bene le procedure ad esse collegate, trasformandosi da paese di transito di mobilità (forzate) a terra di mezzo senza via d’uscita, serrato da nord a sud da frontiere in fiamme e da uno dei mari più pericolosi d’Europa. D’altronde, come ricorda Shahram Khosravi, la frontiera non agisce mai in maniera unidirezionale: se da un lato i suoi dispositivi impongono l’immobilità, dall’altro obbligano i soggetti ad una costante mobilità forzata (Khosravi 2019). Eppure, in questo contesto, i confini fisici e i dispositivi materiali rappresentano solo una minima parte di un più complesso sistema fatto di spazi che sfidano – o riproducono – l’ordine pubblico e di intrecci di soggettività subalterne spesso ignorate dai discorsi contemporanei. Quali viaggiatori? Quando si parla di Libano, l’argomento predominante è, senza dubbio, quello relativo alla crisi […]
Voci da Lesbo, Alcatraz per ventimila innocenti. Sull’isola soffia un vento gelido, la pioggia ti arriva in faccia e piega gli alberi, dal mare si alza un ululato di tempesta, talmente forte che non riusciamo a sentirci. La bocca chiusa, i cappucci ben calati sulle orecchie, guardiamo l’orizzonte: all’alba sono arrivati dei gommoni carichi di siriani che si sono buttati sulla spiaggia tremanti, l’espressione smarrita, i vestiti fradici. Uno spettacolo che non dimenticherò mai. Un bambino e una ragazzina non parlavano, lo sguardo vuoto, immobili. Gli operatori umanitari li hanno messi uno vicino all’altra pensando che fossero fratello e sorella ma non era così: erano soltanto soli, sotto choc. Gli uomini avevano il volto cupo, alcuni adolescenti sfogavano l’adrenalina facendosi selfie, una donna era svenuta, la faccia bianca come la cera. Una bimba, avrà avuto sei anni, mi sorrideva piena di fiducia mentre le cambiavo la maglietta bagnata: i suoi occhi mi dicevano che dopo tante sofferenze si sentiva finalmente al sicuro, in Europa. Ho provato pena; e soprattutto ho provato vergogna. Era marzo del 2016 e Lesbo da un anno viveva la prima lunga ondata di sbarchi (sono 850mila le persone arrivate in Grecia via mare nel 2015 secondo […]
Trieste è sulla rotta balcanica «Trieste, porta d’oriente per l’immigrazione clandestina. […] Così l’esodo è ricominciato, irrefrenabile, spinto anche dalla miseria […]. II flusso è in crescendo, le destinazioni principali sono Germania, Olanda, Svizzera, l’Italia è per lo più zona di transito, anche se molti si fermano. Trieste è una delle principali porte dell’immigrazione clandestina, da una ventina d’anni. Non è nuova a tragedie. […] Da un anno gli arrivi stanno crescendo incontrollabilmente. Un afflusso spaventoso, e non si capisce ancora perché.» Michele Sartori, «l’Unità», domenica 21 aprile 1991 Ci sono due questioni per le quali Trieste e il confine orientale – generalmente inspiegabilmente così lontani dal senso comune italiano, così esterni alla coscienza nazionale – fanno delle comparsate nel dibattito pubblico: la prima è il cosiddetto Giorno del Ricordo, la seconda è la rotta balcanica. E la prima sproporzionatamente di più della seconda. E allora le farse? Il 10 febbraio è quel giorno dell’anno in cui l’Italia si ricorda di avere un confine orientale sancito definitivamente col trattato di Osimo del 1975 e, imbellettati i fascisti e tolto dal cassetto il gonfalone della X MAS, trasforma una narrazione strumentalmente confusionaria e parziale in memoria nazionale. Il Giorno del Ricordo, introdotto […]
Questo primo intervento della serie ‘Sui confini d’Europa’ è redatto da Lorena Fornasir, psicologa e attivista in sostegno alle persone migranti lungo la rotta balcanica. Il testo parla dei dispositivi confinari che sorvegliano la porta est dell’Unione; racconta le storie di tortura dalle ultime città bosniache di frontiera, Bihać e Velika Kladuša, verso l’Italia; lascia emergere, lungo un percorso fisico e psicologico in cui si moltiplicano le violenze commesse sotto le bandiere d’Europa, le voci di chi continua, inarrestabile, a sognare la libertà oltre confine. La Redazione di Lavoro Culturale Violenza e tortura ai confini d’Europa Sono ottanta chilometri di confine quelli che marcano il territorio tra la Bosnia e la Croazia. Una mappa geografica che disegna anche una mappa psichica dove tra speranza, illusione, fallimento, prende forma il “game” ossia il tentativo di entrare in Europa: se lo vinci sei vivo, se lo perdi hai fallito oppure puoi anche morire. In quei boschi, tra mine, droni, termorilevatori, cani addestrati, cacciatori d’uomini, si consumano tragedie che vestono la forma delle sevizie e della tortura. Trattati come prede, costretti a rischiare la vita, i loro corpi in balia delle acque e di una guerra che insiste contro la loro […]
Un’intervista di Paola Rivetti all’artista irlandese Vukašin Nedeljković.