Il guardaroba per la Val di Susa: “pecorelle” montoni e caschi

Umberto Pellecchia

«Voglio cento pecore, cento pecore e un montone, per poter vivere cento giorni da leone» cantavano nel 1991 gli Üstmamò cercando musicalmente di sintetizzare la necessità di una resistenza ad un mondo che sembrava cambiare troppo velocemente nel delirio post-caduta del Muro. Oggi, che quel mondo pare davvero cambiato, le pecore sono diventate gli agenti antisommossa schierati nelle piazze e stazioni italiane, negli svincoli autostradali e nelle valli piemontesi. E di pecore si parla…mentre il mondo continua a cambiare mettendo sù muri di varia natura, il primo dei quali quello tra cittadini e organismi di delega del potere. L’antisommossa – più che pecore direi montoni, per la bardatura sui loro corpi – stanno a rappresentare uno di quei muri che non sono ancora caduti, quello ad esempio di uno Stato che impone sulla base di discutibili motivazioni economiche opere faraoniche che non apportano nessun beneficio diretto alla popolazione.

La polizia in tenuta antisommossa nei luoghi pubblici dove ancora si esprime la contestazione a questi “muri” di ottusità politica non dovrebbe essere interpretato semplicemente come un meccanismo di ripristino delle legalità. Essa è segnale visibile di una crisi della rappresentanza, di uno scollamento tra istituzioni e cittadini, di una incapacità da parte della politica “alta” di accogliere i motivi della contestazione, di farne ragioni dialettiche per un ripensamento della direzione storica che l’Italia sta prendendo. La polizia in piazza rappresenta il blocco politico conservatore che onora quali luoghi del cambiamento non la rappresentanza delle componenti sociali ma i palazzi di Bruxell o Roma, o quelli delle goldman sachs sparse in tutto il mondo. In una parola, essa è repressione.

La polizia-pecorella dunque non è in sè il problema bensì la manifestazione del problema. Questo forse potrebbe permettere di interpretare un notav che a viso scoperto si avvicina a un agente, gli dice nome e cognome, lo invita a dire il suo, cerca di dirgli perché è là e, nel mutismo di Stato che l’antisommossa racchiude, lo prende in giro. “Pecorella”… è un invito a togliersi la maschera (il casco) e dirci che cosa ne pensi? Non sei, tu anche, cittadino oltre che manganello? Il notav, come gli altri, cerca di rendersi conto se chi ha di fronte, ha un’identità, un’opinione, un punto di vista indipendente dalla divisa che indossa. Ma l’agente, come tutti abbiamo visto, ha taciuto. E in questo caso il sospetto è che il silenzio non asseriva, come proverbialmente si dice, ma anzi negava che dietro quel casco e quel manganello ci fosse qualcuno.

Tuttavia ognuno può, sulla base delle proprie competenze intellettuali, proporre le più varie interpretazioni del video del No Tav e dell’antisommossa. Chiedersi però perché proprio quel video – o, meglio, quello spezzone di video – debba destarci tanto daffare è un interrogativo altrettanto, se non di più, interessante. Quel video, passato su tutti i giornali e su tutti i siti di informazione, evidentemente ha avuto il chiaro ruolo di trovare nella contestazione del movimento no Tav il folk devil di turno, il “giovane” violento. Per i media e per la politica istituzionale cercare il giovane violento – black block o altro – è cercare un frame necessario per poter mettere sulla stessa linea di continuità no Tav, studenti autorganizzati, terroristi, brigatisti…insomma per potere dire “Ecco i violenti! Con i violenti non si dialoga!” e giustificare così la repressione. È servito, agli organi si stampa e di governo, spostare il discorso dai motivi della contestazione alla legalità, suddividendo il mondo – e molto di più del guard rail da cui si affacciava il no tav – in buoni e cattivi. E, guarda un po’, quest’ultimi sono i contestatori rappresentati ancora una volta come “giovani”, strategia di infantilizzazione che erge lo Stato-padre a unico dispensatore di sviluppo. Insomma, nessuna differenza tra lo Stato che impone ferrovie inutili e quello stesso Stato che dice “giovani” a chi contesta. Laddove non c’era violenza si è voluta cercarla. Laddove si è cercato di abbattere i muri, con un dialogo anche canzonatorio perché no, si sono eretti gli scudi e i manganelli del sistema mediatico. Ora che il panico morale si è alzato nuovamente in Italia succederà come durante il movimento anti-G8? Organi di governo e organi di stampa si stanno coalizzando per divenire un unico dispositivo di potere? Pare di si. Ai politici che inneggiano alla fermezza fanno da controcanto i giornalisti del sistema che versano lacrime per il fatto che i no tav non li vogliono nei cortei. Eppure nessuno di loro prova a immaginare e a proporre al suo elettorato o pubblico che qualche giorno fa un no tav, questo muro ha provato a demolirlo. Ma difatti, dall’altra parte, quel no tav non ha trovato che silenzio.

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