Riprendiamoci il Valle
“Dobbiamo riprenderci gli spazi comuni, abitarli e ricominciare da lì. Chi è pessimista oggi in questo posto non ha capito nulla della battaglia che stiamo facendo. Dobbiamo renderci conto che non esiste una realtà data ma esiste solo quello che noi facciamo delle realtà. Deve essere chiaro a tutti che in questo luogo stiamo agendo delle pratiche nuove.” Sono le parole di Ugo Mattei, padre dei quesiti referendari sull’acqua, alla seconda assemblea pubblica tenutasi lunedì scorso al Lido di Venezia, tra le finestre spalancate del Teatro Marinoni occupato.
Venerdì 2 settembre, nel terzo giorno della 68. Mostra Internazionale d’arte Cinematografica, una nutrita delegazione romana del Teatro Valle, approdata alla Biennale su invito degli organizzatori delle Giornate degli Autori, assieme al gruppo veneziano S.a.L.e.-Docks, attivo sul territorio da diversi anni, ha occupato un teatro fino a quel momento silenziosamente nascosto tra i padiglioni dismessi dell’Ospedale al Mare del Lido.
A partire da quel momento il connubio Valle/Sale ha prodotto, attraverso uno straordinario intreccio di contributi culturali e azioni politiche rigorosamente collettive, un instancabile svelamento di luoghi, significati e responsabilità.
Ma andiamo con ordine e, facendo qualche passo indietro, torniamo al teatro dimenticato tentando di descrivere brevemente la conformazione del territorio che lo ospita e della storia che a questo lo lega.
Il Lido, parte integrante del comune di Venezia-Mestre, è un lembo di terra lungo 11 Km abitato da poco più di diciassette mila persone, affacciato da un lato sulla laguna veneziana e dall’altro sul mare Adriatico. La politica messa in campo dalle istituzioni competenti negli ultimi trent’anni, agita anche su questa porzione di territorio, è stata caratterizzata da un indirizzo tendenzialmente turistico e, di conseguenza, dimentico delle necessità di soddisfazione dei bisogni dei propri cittadini. Prediligendo l’appagamento dei desideri passeggeri e eccezionali, ha rimosso il soddisfacimento dei diritti primari che, in quanto tali, sono per loro natura ordinari.
Parliamo di un Comune il cui centro storico perde annualmente una percentuale significativa di residenti a causa della delocalizzazione dei servizi pubblici, dell’aumento inarrestabile dei costi della vita e dell’inaccessibilità dei prezzi degli immobili. Ancora, parliamo di un comune che, pur vantandosi una volta all’anno di accogliere una delle più grandi manifestazioni cinematografiche su scala planetaria, è in grado di offrire ai suoi cittadini solamente due piccolissime sale cinematografiche e un altrettanto piccola videoteca d’essai.
Appare dunque evidente come un teatro abbandonato, in un ospedale dismesso, affianco ad uno dei più grandi mercati cinematografici che sta aperto per soli dieci giorni all’anno, sia la sintesi in carne ed ossa del paradosso di un luogo impegnato a vendersi o a travestirsi da fiera mentre muore un po’ per volta.
Nel corso della prima giunta Cacciari è stato formulato un progetto di rinnovamento strutturale dell’area adibita all’annuale manifestazione cinematografica a partire dalla costruzione di un nuovo Palazzo del Cinema con un costo previsto di 98 milioni di euro. Annesso al progetto di costruzione era previsto un piano edilizio più ampio che contava sulla pressoché completa dismissione dell’Ospedale al Mare.
Nel 2005 venne indetto un concorso internazionale di progettazione per il nuovo Palazzo in anticipo sul reperimento dei fondi attraverso i quali finanziare il progetto. La scelta di investirvi il ricavato dalla vendita dell’ex Ospedale fu veloce e alquanto intuitiva. Per assicurare la realizzazione del progetto di compravendita e ristrutturazione venne siglato un protocollo d’intesa tra l’allora Sindaco Cacciari, il Presidente della Regione Galan e il direttore dell’Azienda Sanitaria Padoan. Con il sostegno del commissariamento voluto dal governo Prodi nel 2007 e con l’inserimento del progetto all’interno dei finanziamenti previsti per la costruzione di opere straordinarie in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, l’operazione immobiliare, alla quale nel frattempo i comitati cittadini si erano ripetutamente opposti, venne messa in salvo. Un anno dopo, con il sostegno del governo Berlusconi nelle vesti di Sandro Bondi, il Comune indisse due gare d’appalto per la vendita dell’ex Ospedale. La compagnia Est Capital si aggiudicò al costo di 81 milioni di euro l’acquisto dell’area e delle strutture presenti al suo interno. Nel 2009 il presidente del Consiglio nominò Vincenzo Spaziante -alto funzionario della Protezione Civile della squadra di Bertolaso- commissario straordinario super partes. Il che significò che i poteri attribuitigli gli consentirono di avere sul territorio (sia per quanto concerneva la costruzione del nuovo Palazzo del cinema che per la compravendita dell’ex Ospedale) un’autorità che prescindeva completamente da quella del Sindaco e del Presidente della Regione.
Dopo l’abbattimento della storica pineta che sorgeva nell’area destinata alla nuova costruzione, i lavori sono stati presto interrotti non appena hanno cominciato ad emergere dal sottosuolo sventrato enormi depositi di amianto.
Una settimana fa, mentre la 68. Mostra Internazionale di arte cinematografica di Venezia organizzava le sue passerelle attorno ad un enorme cratere di amianto scavato con i 30 milioni di euro -su 36 ricevuti- per il finanziamento della grande opera e mentre l’ex Ospedale al Mare versava in stato di totale abbandono, il Teatro Valle assieme ai Magazzini del Sale (S.a.L.E.) ha fatto irruzione nel Teatro Marinoni liberandolo dall’oblio e restituendolo alla geografia da cui era stato rimosso. È infatti documentata storicamente l’apertura del Teatro, in stile liberty, attorno ai primi del 900 su donazione del dott. Marinoni, sono sopravvissuti pezzi della sua storia nella memoria di alcuni anziani dell’isola, ma non risulta esistere dalle mappe.
“Occupiamo il Teatro Marinoni, gioiello liberty della laguna veneziana, perché è l’ennesimo spazio culturale abbandonato e al centro di una speculazione edilizia. Da questo spazio restituito alla cittadinanza guardiamo il più importante Festival del cinema italiano a poche centinaia di metri e invitiamo attori, registi, produttori, autori, tecnici e tutti i protagonisti del settore dell’audiovisivo a confrontarsi sulle criticità del sistema e a esporsi aprendo un dialogo”
Con questa dichiarazione il Teatro Valle e il S.a.L.E., a partire da venerdì 2 settembre fino mercoledì 7, hanno occupato il Teatro Marinoni rendendolo palcoscenico di nuove pratiche di cittadinanza. In questi giorni, attraverso la cooperazione di due realtà per certi versi tanto diverse, si è avuto modo di constatare come il concetto di bene comune -attorno al quale l’Italia del referendum sull’acqua si è raccolta, vincendo- possa farsi radice in un nuovo modo di fare la realtà.
Marta Canino e Tommaso Cacciari del S.a.L.E.-Docks hanno accettato di rispondere a qualche domanda per mettere a fuoco la genesi di questa esperienza:
Come è avvenuta questa fusione?
“L’incontro con i romani è avvenuto all’incirca un paio d’anni fa. È stato in una giornata di mobilitazione contro la precarietà. Lì il S.a.L.E. ha incontrato per la prima volta un gruppo di lavoratori dello spettacolo della realtà romana che, qualche mese fa, è confluito nell’occupazione del Teatro Valle” ha esordito Marta. “Il Valle e il S.a.L.E. hanno percorsi simili nella genesi, nelle idee di fondo.” ha proseguito Tommaso, “Il S.a.L.E. nasce su un’idea di sviluppo legata all’arte contemporanea in una città, Venezia, che è diventata una vera e propria industria. Mentre si smantellano le industrie post-fordiste del 900, nasce l’industria dei segni. È il tempo di “meno bulloni e più immateriale”. Basti pensare a Palazzo Grassi che da bomboniera degli Agnelli è diventata la grande officina d’arte contemporanea di Pinault. Pinault produce marchio, segno. Prendendo anche la Punta della Dogana compie un gesto emblematico di questo passaggio. Questa trasformazione produttiva è per noi interessantissima. Ed è soprattutto necessario sviluppare una riflessione che metta in evidenza che anche questo sistema produttivo si basa su una mano d’opera ultra precaria e a costo semi zero. È un sistema basato sullo sfruttamento. È per questo che abbiamo sentito l’esigenza di entrare nel merito di questa questione.”
E che ruolo ha il Marinoni in questa riflessione?
“Al teatro Marinoni è avvenuto l’incontro tra il S.a.L.E. di Venezia, che si occupa di arte contemporanea e cittadinanza, e il Valle di Roma, che lavora su teatro e cinema. Si tratta di due realtà, distinte, che sono nate con l’occupazione di due spazi su una sorta di auto organizzazione culturale. E il prodotto di questa cooperazione è il Marinoni: un grande spazio culturale occupato davanti alla Mostra del Cinema che è un’enorme fabbrica.”
Anche le parole dei rappresentanti del Valle in laguna sono volte a sottolineare l’aspetto di continuità che intreccia l’occupazione del teatro romano a quella, cogestita, del teatro veneziano. È Fulvio Molena infatti, che nel corso dell’assemblea conclusiva, sottolinea l’importanza del coabitare degli spazi al fine di risignificarli fondando un nuovo paradigma che nel bene comune trovi il suo vettore principale.
Mentre il Marinoni si ripopolava di nuova vita, gli oggetti abbandonati e in stato di degrado accatastati nei padiglioni dismessi venivano recuperati, aggiustati e ricontestualizzati. La storia abbandonata, attraverso la cura e il riciclo dei materiali, ha finito per addobbare il Teatro Marinoni ribattezzato Ricreatorio. Così, per sei giorni e altrettante notti un non-luogo è diventato un iper-luogo dove si sono incontrate esperienze, competenze e progettualità differenti. Al passaggio degli abitanti del Lido, che riscoprivano un pezzo di sé, si sono intrecciate le testimonianze di tutti i membri della giuria del Festival che sono andati a portare la loro solidarietà. Alle parole dei comitati cittadini con cui gli occupanti hanno aperto un tavolo di riflessioni conclusive rilanciando per i prossimi mesi nuovi incontri, si sono aggiunti i contributi di tanti e tante ospiti: da Philip Garrel a Ottavia Piccolo, da Pippo del Bono a Moni Ovadia, da Mario Martone a Enrico Ghezzi.
L’occupazione si è conclusa con un’ultima assemblea, conseguita in un comunicato stampa all’interno del quale si rivendica la presa in carico della tutela del Teatro Marinoni ad opera delle autorità competenti e una seria assunzione di responsabilità per quanto concerne lo scempio edilizio del Palazzo del Cinema, che pare essere il volto di una criminale speculazione immobiliare.
Prima di lasciare l’isola del Lido, il Valle e il S.a.L.E. hanno fatto irruzione nell’area del cantiere protetto per aprire una “finestra sul cratere” e dare la possibilità al pubblico internazionale della Mostra del Cinema di guardare negli occhi la contraddizione di un paese che finge ricchezza in punto di morte.
Se, come ha dichiarato Ugo Mattei ospite del Marinoni, “la cultura è un bene comune che richiede una grande passione per governarla” e se consideriamo l’occupazione del teatro veneziano assieme a quella del teatro romano come dei banchi di prova, possiamo forse permetterci di cominciare ad essere ottimisti.