Produzioni politiche dal basso nell’Emilia terremotata. Nell’ambito di un’analisi delle politiche territoriali sviluppatesi nell’Emilia post-terremoto, pubblichiamo un’etnografia in due puntate sul comitato cittadino Sisma.12 a cura di Silvia Pitzalis[*].
PARTE I
Per chi come me viene da paesaggi di montagna e luoghi dove la macchia mediterranea regna sovrana (come la Sardegna dalla quale provengo) la geometria ordinata della bassa modenese (Emilia-Romagna) disorienta, lasciando poco spazio allo sguardo. Senza apparenti appigli visivi esso si perde nella vastità dell’orizzonte. L’impressione di non avere punti di riferimento e il disturbo che questo comporta mettono a dura prova l’orientamento del viaggiatore. Ricordo con disagio i mesi autunnali e invernali della mia ricerca di campo, le giornate pallide, spossate, piene di nebbia. Ma la primavera dona a chi ha pazienza dell’attesa tutta la meraviglia della natura in fiore, della fauna che risorge e riavvia il suo ciclo vitale. Durante il mio soggiorno di un anno (ottobre 2012 – settembre 2013) in questi luoghi, ho potuto godere di tutte le bellezze e le contraddizioni che questa zona ha da offrire.
Se, a detta di molti, l’Emilia è una delle zone più ricche e produttive d’Italia, negli ultimi due anni essa è stata una delle aree più colpite dalle calamità naturali. Si sono verificati in ordine cronologico: due terremoti (20/29 maggio 2012), una tromba d’aria (3 maggio 2013) e un’alluvione (19-21gennaio 2014). Queste catastrofi hanno devastato un territorio già messo in ginocchio dalla crisi economica che da anni coinvolge il nostro Paese e hanno contribuito ad acuire discrepanze e contraddizioni insite al sistema politico-economico. Malgrado i numerosi eventi calamitosi che continuano a devastare il nostro territorio, a tutt’oggi non esiste una legge quadro di validità nazionale che regoli le modalità di azione in risposta ad essi.
Questo contributo non ha la velleità di voler elaborare quadri generali sulle risposte socio-culturali al terremoto di maggio 2012 di tutta la popolazione colpita. Piuttosto si pone come obiettivo di riportare l’analisi delle testimonianze ed del vissuto di una parte di essa, i membri del comitato popolare Sisma.12, sorto nei giorni successivi al disastro. Ne risulta, perciò, un resoconto volutamente di parte. Narrare la loro esperienza, osservata e analizzata attraverso lo sguardo decentrato e critico dell’antropologia, mi è parsa una posizione privilegiata da cui cogliere e comprendere il significato e la portata delle dinamiche culturali, sociali e politiche, a livello locale ma anche globale. Mi prendo la responsabilità dell’interpretazione di ciò che mi è stato raccontato e di ciò che ho potuto osservare ed esperire. Quella proposta, dunque non è l’unica, ma una delle tante interpretazioni antropologiche possibili.
Durante la scrittura di questo articolo ho volutamente scelto di epurare il discorso dai pietismi costruiti da buona parte dei mass media durante i due anni successivi al terremoto attraverso l’utilizzo di enunciati in cui la parola “terremotato” spesso è preceduta dall’aggettivo “povero”. Questo sentimento sembra ingabbiare il terremotato entro la passività del suo essere “vittima”, definizione che esprime uno stato di passività e d’impossibilità all’azione. I soggetti, etichettati in tal modo, si sentono immobilizzati dalla fatalità degli avvenimenti, resi inermi da un immaginario collettivo che li disegna come “perseguitati dalla malasorte”, sinistrati indifesi senza colpa e senza il potere di operare un cambiamento a questa condizione. Defraudato della possibilità di porre rimedio al proprio destino infausto, il terremotato si sente privato di ogni azione contrastiva, della sua carica attiva necessaria al mutamento. La ricerca di campo ha dimostrato che malgrado una diffusa attesa affinché la situazione venga risolta da istituzioni e autorità, non tutti i terremotati hanno accettato questo status di indolenza.
Ho deciso inoltre di rigettare il luogo comune, anch’esso divulgato costantemente dalla maggior parte delle testate giornalistiche, sulla figura dell’emiliano doc. Uno dei più in voga riguarda lo slogan «Gli emiliani ce la fanno da soli». Costruito e diffuso strategicamente, esso viene utilizzato dalle istituzioni entro un discorso politico che ha specifiche ripercussioni sulla scena sociale. A detta degli interlocutori la gravità di questa affermazione sta innanzitutto nella possibilità di offrire allo Stato una scusa giustificata socialmente e politicamente, che lo esonera dall’impegnarsi direttamente per la risoluzione delle problematiche emerse dopo la catastrofe. Se è vero che, secondo il “patto sociale”, in cambio di una parte della libertà individuale a cui ogni cittadino ha rinunciato, esso dovrebbe garantirne la tutela e la salvaguardia, i governanti sembrano, invece, non rispondere più in maniera adeguata ai doveri che gli competono. La costruzione mediatica della capacità da parte del “popolo emiliano” di risollevarsi con le proprie forze dalla drammatica situazione post-terremoto, per gli interlocutori, non fa altro che sollevare il governo da ogni responsabilità, aumentandone la distanza con i cittadini. Tutto ciò fa sprofondare i terremotati in uno stato di totale abbandono, rabbia, insicurezza e inerzia.
Al contrario e coerentemente alle testimonianze raccolte, l’Emilia terremotata che i miei interlocutori mi hanno mostrato è ben altro. Ciò che ho potuto constatare tra i membri del comitato è la presenza di una forza autodeterminata vogliosa di mutamento. In onore del vero bisogna inoltre riconoscere che la stampa locale ha da sempre messo in luce la lotta del comitato e cercato di riportare un quadro il più possibile veritiero riguardo la situazione post-terremoto.
A livello metodologico l’analisi è stata focalizzata sulle interconnessioni che in seguito al terremoto si sono create tra cittadini e istituzioni[1]. Partendo dalla definizione teorica offerta da Alexander[2] che definisce la catastrofe come ʺtipo e grado di disgregazione sociale che segue l’impatto di un agente distruttivo su un gruppoʺ, il sisma di maggio è stato analizzato come un fenomeno sociale che si manifesta attraverso una disarticolazione della struttura socio-culturale e del sistema di significati localmente determinato. Dal caso particolare è emerso come l’evento, nel suo accadere, ha messo in crisi il sistema socio-politico interessato, evidenziandone mancanze, ingiustizie e contraddizioni. I suoi effetti hanno poi dato vita a produzioni socio-politiche e culturali peculiari da parte degli individui coinvolti.
Il soggetto specifico della mia indagine è appunto Sisma.12, un comitato popolare di cittadini terremotati che porta avanti contestazioni e rivendicazioni condivise e partecipate dai suoi membri. Esso si definisce nel suo statuto come un comitato cittadino e territoriale, apartitico e trasversale, che risponde all’esigenza dei terremotati di dotarsi di uno strumento che li rappresenti; inoltre, persegue l’idea di partecipazione civile. Il fine è di proporsi come contenitore di informazioni, idee, progetti ed azioni dirette, atte alla ricostruzione delle aree colpite dal sisma attraverso il protagonismo dei terremotati stessi, la discussione tra di essi, la valutazione delle proposte di progetti che contengano al loro interno tutte le componenti sociali[3]. Nella pratica, il comitato si propone come strumento attraverso il quale creare “soggetti coscienti” e si configura come canale di trasmissione e diffusione di sentori, esperienze, critiche e rivendicazioni, elaborate dagli stessi attori sociali. Tutto ciò per raggiungere e coinvolgere gli altri terremotati e arrivare poi a mostrare quale sia la “reale” situazione post-terremoto al di fuori dell’area colpita.
Formalmente fondato il 12 ottobre 2012, il comitato con uno statuto, un presidente e un direttivo, conta circa tremila tesserati. Esso non ha una delimitazione spaziale precisa, in quanto cerca di essere presente su tutta l’area colpita, chiamata “cratere”. Con quest’ultimo termine si intende designare la zona interessata dai due eventi sismici che hanno colpito 52 comuni delle province di Bologna, Ferrara, Mantova, Modena, Reggio Emilia e Rovigo. Le rivendicazioni e le contestazioni portate avanti dal comitato si sono generate dapprima nei campi autogestiti – campi-tenda costruiti da alcuni terremotati durante l’estate 2012 in alternativa ai campi della Protezione Civile, in tutto circa una ottantina. Supportate dalle Brigate di Solidarietà Attiva (BSA, un’associazione di volontari autonomi) – esse sono state successivamente convogliate, nutrite e veicolate da Sisma.12. Le decisioni all’interno del comitato vengono prese con modalità riconducibili a due tipologie di assemblee. Quella settimanale, con sede fissa a S. Giacomo di Roncole (prima invece a Cavezzo) in provincia di Modena, è aperta a tutti, ma vi partecipano per la maggior parte i membri del comitato più attivi, formanti il direttivo (in questa sede vengono prese decisioni sulle modalità di azione: cosa, con chi, come, dove, quando); l’altra assemblea, a scadenza bi-mensile (circa), è definita “pubblica” e ha sede a seconda delle disponibilità di sale nel cratere: in questa vengono proposte le decisioni deliberate nell’assemblea settimanale. A questi incontri vengono anche invitati giornalisti di diverse testate, soprattutto quelle locali, per diffondere nel modo più esaustivo possibile le informazioni dentro e fuori il cratere. Le rivendicazioni, quali il diritto alla casa, al lavoro, la salvaguardia del proprio territorio e il diritto del cittadino terremotato ad avere parte attiva nel processo di ricostruzione, vengono espresse tramite manifestazioni, cortei, presidi, incontri con le istituzioni, conferenze stampa, partecipazione a trasmissioni radiofoniche e televisive e simili.
Come prima constatazione potremmo asserire che i membri di Sisma.12 hanno creato e messo in atto soluzioni da loro considerate efficaci, elaborate a partire dai propri percorsi individuali, differenti ma condivisi, e proposte come risposte alternative al post-terremoto, in forte contrapposizione con le strategie e le scelte messe in atto da autorità e istituzioni, le quali, a detta degli interlocutori, estromettono il cittadino dal percorso decisionale sulla ricostruzione. Negligenti e corrotte, esse vengono accusate di essere dominate da interessi privati che allontanano sempre più i governanti dai loro cittadini. Entro questo scenario il terremotato, in un momento di estrema crisi, si sente completamente abbandonato da quelle stesse autorità che dovrebbero invece rappresentarlo e garantirne sicurezza e qualità di vita. Per citare solo un esempio di questo difficile rapporto, il 26 febbraio 2014, una delegazione di Sisma.12 e di Finale Emilia terremotata protesta (altro comitato di terremotati) si sono recati in Regione a Bologna per consegnare le oltre dodicimila firme raccolte dall’inverno 2013 “per rivendicare la proroga dei mutui sugli immobili inagibili, la fiscalità di vantaggio, la sburocratizzazione” della ricostruzione[4]. Il Commissario/Presidente Vasco Errani, dichiarandosi inizialmente disposto ad un incontro con i membri dei comitati, ha però rifiutato la presenza della stampa, voluta invece da Sisma.12. Dalla Regione hanno dichiarato che “l’incontro non è avvenuto non per colpa di Errani, ma per il rifiuto dei Comitati a vedere il presidente senza la presenza dei giornalisti”[5]. Il Commissario ha affermato “Bisogna distinguere tra una manifestazione e un incontro istituzionale”[6].
Note
[*] Silvia Pitzalis, dottoranda al terzo anno in Storia Culture e Civiltà presso l’Università degli Studi di Bologna, con una ricerca tesa ad indagare gli aspetti socio-culturali e politici elaborati in risposta al terremoto di maggio 2012 in Emilia.
[1] Prince S. H., Catastrophe and Social Change. Based upon a Sociological Study of the Halifax Disaster, Columbia University Press, New York, 1920.
[2] Alexander D., Confronting Catastrophe, Oxford University Press, Oxford, 2000.
[5] Ibidem.
[6] Fonti: Ansa.it Emilia-Romagna, articolo del 26 febbraio 2014; 24emilia.com, articolo del 28 febbraio 2014.
[7] Fonte: Modenaonline, articolo del 7 dicembre 2013 Sisma, terremotati e agricoltori protestano a Mirandola.
[8] Fonte: La Repubblica – Bologna, articolo del 7 dicembre 2013 Terremoto, corteo a Mirandola: “Viviamo tra topi e umidità”.
[9] Fonte: Il resto del Carlino – Modena, articolo del 24 novembre 2012, I terremotati di Mirandola scendono in piazza ; Modenatoday, articolo del 23 novembre 2012 Ricostruzione: la rabbia dei terremotati in corteo a Mirandola.
[10] Fonti on line Modenaqui, La Repubblica, articoli del 8 dicembre 2013.
[11] Rancière J., Chronique des temps consensuels, Editions du Seuil, Paris, 2005.