Eugenio Melloni è regista teatrale, sceneggiatore e documentarista. In collaborazione con la Cineteca di Bologna e l’ASP Giovanni XXIII coordina il progetto di ricerca “Il memofilm, a memoria di uomo”. Come sceneggiatore ha collaborato con Lucio Lunerti, Stefano Incerti e Wim Wenders.
I Memofilm sono video personalizzati di circa 20 minuti pensati a scopo terapeutico per i pazienti affetti da demenza. I video sono costruiti sul vissuto del paziente e fanno riferimento al suo deterioramento cognitivo, ai suoi disturbi comportamentali e psichici.Martino Feyles: Puoi raccontarci innanzitutto da dove nasce e come nasce l’idea del Memofilm?
Eugenio Melloni: Nasce da circostanze concrete e drammatiche, ma anche abbastanza quotidiane nei casi di demenza, come ho verificato in seguito. Nel 2004 mia madre è morta improvvisamente. Sapevamo che nostro padre soffriva di perdita di memoria, ma la gravità della sua malattia non l’avevamo percepita con chiarezza perché lei ce l’aveva nascosta. La mattina del giorno dopo il funerale di mia madre, mio padre si è messo a cercarla, chiedendo dov’era andata. Per farla breve, questa situazione si è ripetuta di continuo, fino a diventare insostenibile, anche perché iniziavano a comparire elementi pseudo-deliranti: “ma come avete potuto nascondermi, a me, suo marito, che la mamma è morta!” Poiché le nostre parole avevano perso ogni efficacia e non si poteva continuare tutte le mattine ad andare a casa sua, serviva qualcosa di registrato, qualcosa che avesse una certa autorevolezza. Ora, ricordare a una persona che sua moglie è morta, non è come ricordarle che deve prendere un treno. Dalla somma di queste esigenze e riflessioni, è nato il primo Memofilm che poi è diventato una ricerca scientifica, anche perché si è dimostrato efficace.
M. F.: Dal punto di vista della fruizione il Memofilm è un prodotto assolutamente unico nel suo genere: un film che ha un destinatario unico… Puoi spiegarci questa caratteristica peculiare del vostro progetto?
E. M.: Il fatto che ci sia un destinatario unico è l’aspetto che balza subito agli occhi. Quando andiamo al cinema o guardiamo un filmato alla televisione, anche quando siamo con altri, nella visione siamo in realtà soli con noi stessi. Nel Memofilm cambia invece radicalmente il rapporto tra autore e spettatore. In un certo senso, il cinema, abituato alla distanza e ai lustrini, è costretto a confrontarsi a muso duro con la realtà. Ma la cosa importante non è solo che deve occuparsi della malattia di una persona, ma che per farlo si deve occupare seriamente della sua vita e della sua storia.
M. F.: “Narrazione” è una delle parole chiave di questo convegno. Nel caso del Memofilm la narrazione ha una funzione esplicitamente identitaria. Pensi che ci sia un collegamento tra il Memofilm e le teorie della cosiddetta “identità narrativa”?
E. M: La sperimentazione che abbiamo fatto (che è su base scientifica ed è raccontata nel libro edito da Mimesis, Il Memofilm la creatività contro l’Alzheimer e tra poco anche nel sito dedicato che stiamo costruendo) non solo scommette sul ruolo dell’identità narrativa nell’uomo, ma, attraverso l’esperienza fatta, ne conferma la funzione e la sua importanza.
M. F.: Rispetto alle teorie classiche dell’identità narrativa mi sembra che ci sia nel vostro progetto una significativa novità: il linguaggio non basta. L’auto-identificazione è essenzialmente mediata e questa mediazione ha una natura tecnica, perché è resa possibile da un supporto mnemonico esterno (il Memofilm appunto). Sei d’accordo? Cosa pensi a questo proposito?
E. M: Questo è fondamentale. Il Memofilm surroga la mancanza di memoria e la capacità di mettere in connessione (e dare un senso a) fatti memorizzati o frammenti di essi. Se non fosse così non sarebbe stato possibile ottenere i risultati che abbiamo avuto. In sostanza, i memofilm più efficaci – ma mi sento di dire quasi tutti – hanno messo in moto un processo di auto-identificazione veicolato dal percorso narrativo. Come se un dentro (i nostri vissuti) e un fuori di noi (l’elemento narrante) si fossero messi al servizio di bisogni nel nostro caso, ancora vitali ed essenziali pur nella malattia.
M. F.: Scienza e arte sono oggi due mondi lontanissimi. Il vostro gruppo di ricerca da questo punto di vista sembra qualcosa di radicalmente nuovo. Si può dire che il Memofilm rende possibile un’inedita sinergia tra scienziati e artisti?
E. M: Sulle prime la distanza era percepibile chiaramente. Ma poi si è smussata nel tempo. Alla fine della ricerca, i cineasti erano quasi scientifici e gli scienziati sono diventati un po’ cineasti.
M. F.: Una delle cose che colpisce lo spettatore comune che guarda un Memofilm è l’estrema semplicità formale a livello espressivo. Se però si legge la storia della genesi di un singolo Memofilm si capisce che dietro questa apparente immediatezza c’è in realtà un faticoso lavoro di selezione e costruzione delle immagini e dei simboli. Puoi spiegarci qual è la specificità di questo lavoro creativo?
E. M: Per dare un’idea subito percepibile del percorso creativo che viene messo in moto quando si decide di fare un Memofilm possiamo fare un esempio. Supponiamo di dover fare un Memofilm che serva alla conservazione della propria identità e a correggere conseguenti disturbi del comportamento a una persona malata di smemoratezza, la quale per gran parte della sua vita è stata rinchiusa in carcere. In sostanza a un ergastolano che forse non ha nessuna voglia di ricordare il suo passato. Con e in che cosa questa persona si può identificare per ribadire la sua necessità di esserci ancora a questo mondo? Dove trovare un nocciolo di stima di sé? Già queste domande danno l’idea della profondità e delicatezza della ricerca da fare quando si fa un Memofilm. L’impressione di una narrazione semplificata è dovuta alla necessità di una comunicazione per persone che hanno problemi cognitivi seri, ma è sempre la conseguenza di un lavoro di selezione tra diversi percorsi narrativi, percorsi che, in certi casi, si sono espressi anche in forme di astrazione estreme, usando video-immagini apparentemente depurate dal contesto e che per certi versi possono sembrare inspiegabili. Nel cinema il significato delle immagini di cui si fa uso è tipicamente autoriale, a volte ideologico, ed è sempre opinabile, non è mai univoco: un qualche genere di riscontro non è possibile. Nell’esperienza che abbiamo fatto e stiamo facendo, invece, il riscontro lo abbiamo nei benefici misurabili scientificamente, il che rende il Memofilm un terreno davvero unico. Tutto ciò è reso possibile dal linguaggio audiovisivo, che è insieme emotivo e cognitivo, ma anche alle possibilità messe a disposizione dalla digitalizzazione delle immagini e dalla facilità della loro archiviazione, che rende il tutto particolarmente economico da un punto di vista produttivo. Esiste assolutamente una dialettica e una influenza reciproca tra questi momenti: di certo senza questa somma di fattori, i Memofilm e la ricerca tramite essi, non esisterebbero.