Nei territori a cavallo fra comunicazione, arte e politica vedo per lo più un bisogno diffuso di eludere la complessità, il quale si esprime nelle forme del narcisismo e della soggettività compulsiva
Assumiamo che «estendere e innalzare il livello di complessità delle pratiche multimediali» sia un obiettivo condiviso. Tale assunzione è di per sé piena di rischi: nei territori a cavallo fra comunicazione, arte e politica vedo per lo più un bisogno diffuso di eludere la complessità, il quale si esprime nelle forme del narcisismo e della soggettività compulsiva. In ogni caso tale obiettivo presuppone la ricerca di consapevolezza critica. Una consapevolezza oggi assente nella maggior parte delle esperienze sostenute dalla cultura del software e dalle tecnologie della connessione (ossia le tecnologie che connettono le persone l’una con l’altra e con enormi quantità di informazioni: preferisco questa all’espressione nuovi media).
L’esperienza della comunità di TwLetteratura – dove Tw sta per Twitter, ovviamente – prova ad affrontare alcuni nodi relativi alle pratiche oggi diffuse sulle reti sociali online, con l’ambizione di sfidare la complessità senza eluderla.
TwLetteratura è una comunità di persone che usano Twitter e i suoi paradigmi – brevità e condivisione – per leggere libri e testi in genere. Per ‘testo’ intendiamo in senso proprio un enunciato linguistico. Fino a oggi TwLetteratura si è esercitata nella lettura di testi in forma scritta, dotati di struttura complessa e funzionalmente riconducibili alla categoria della letteratura. Tuttavia la pratica e il metodo messi a punto dal 2012 sono applicabili per estensione a qualsiasi contenuto culturale: non solo libri, ma anche dipinti, sculture, composizioni musicali, film, architettura e altre creazioni dell’ingegno. Le persone che partecipano all’esperienza di TwLetteratura non leggono su Twitter. Usano Twitter come spazio sociale per fare della lettura un’esperienza condivisa (social reading). Mentre commentano, riassumono e riscrivono, non producono nuovi testi. Nei giochi di TwLetteratura i tweet sono semmai metatesti o epitesti. Essi rimandano a un testo che esiste già: il contenuto oggetto di lettura.
La singola riscrittura può essere parafrasi, variazione, commento, libera interpretazione, con l’unico limite dei 140 caratteri imposto dalla piattaforma. I tweet prodotti dalla comunità – fino a decine di migliaia di microscritture – sono poi selezionati e organizzati editorialmente dalla comunità stessa, usando piattaforme come Storify o Tweetbook. Chi voglia farsi un’idea più puntuale di questa esperienza può consultare le raccolte di riscritture prodotte dalla comunità e disponibili online. Si veda, per esempio, #Bietenoogst125. Si tratta della sintesi del recente progetto di ‘lettura’ del dipinto Bietenoogst (La raccolta delle barbabietole) dell’artista fiammingo Emile Claus (1849-1924). L’iniziativa, ideata da Hans Caron, è stata promossa nel settembre 2015 da TwLetteratura con il Museo di Deinze e della Leiestreek (Belgio, Fiandre orientali) per celebrare il 125° anniversario del quadro. Qui il gioco di lettura e riscrittura del dipinto ha coinvolto due comunità: quella fisica e locale di Deinze, la quale ha ‘performato’ il quadro ricostruendone la scena con costumi dell’epoca; e quella virtuale – prevalentemente italiana – di Twitter (una riproduzione del dipinto di Claus è disponibile qui).
Il caso di #Bietenoogst mette in chiaro il valore della performatività negli esperimenti di TwLetteratura. Il patrimonio culturale non è semplicemente un bene da conservare e promuovere. Esso va inteso piuttosto come piattaforma di apprendimento e innovazione sociale. È un’eredità socialmente viva, che deve essere messa in scena dalla comunità. Non c’è tutela del patrimonio culturale senza «fioritura dei cittadini» (Edmind Phelps, Mass Flourishing: How Grassroots Innovation Created Jobs, Challenge, and Change, Priceton, Priceton University Press, 2013). È un messaggio per tutti, perché le tecnologie digitali contribuiscono a rendere vaga la distinzione fra ‘produttori’ e ‘consumatori’ di cultura.
L’altro aspetto rilevante, nella performance, è la teatralizzazione. Utenti della comunità assumono identità fittizie – per esempio i personaggi della storia oggetto di lettura/riscrittura – e ne recitano le parti. Ecco così rivivere su Twitter le figure di Renzo, Lucia, Don Rodrigo e Fra Cristoforo, mentre si leggono I promessi sposi, quelle di Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy quando tocca a Orgoglio e pregiudizio, e così via. Il carattere simulato di questi account è evidente a coloro che prendono parte a questa esperienza. Ma partecipare significa appunto ‘stare al gioco’, immergersi in una dimensione esistenziale alternativa, ovvero attuare quella momentanea sospensione dell’incredulità che già Samuel Coleridge indicava come essenziale nella relazione fra testo e lettore in letteratura.
Sul piano concettuale l’esperienza di TwLetteratura insiste su due snodi, che corrispondono ad altrettante forze in apparente conflitto l’una con l’altra. Da un lato la fedeltà al testo, dall’altro la necessità di tradirlo. Il nuovo paradigma della lettura, che si cerca di costruire su Twitter, si muove nello spazio fra queste due forze.
Il primo snodo, quello che rimanda alla fedeltà, consiste nella volontà di ripristinare la funzione ancillare del commento rispetto al testo. Tale impegno si sviluppa a partire da una critica alla cultura corrente dei commenti, che prevale nel cosiddetto Web.2.0: commenti non già come dialogo vivo con il testo, ma come «disperato tentativo di essere ascoltati, di avere un impatto e di lasciare un segno» (Geert Lovink, Ossessioni collettive. Critica dei social media, Milano, Università Bocconi Editore, 2012). Negli esercizi di TwLetteratura si vuole che il commento sia sempre in rapporto al testo che si legge, anziché esaurirsi nella propria funzione fatica: dal «ci sono anch’io» all’ermeneutica.
Idealmente il commento sta a margine del testo. Invece nell’ecosistema della lettura online, ossia l’universo dei blog, dei siti elettronici di informazione e delle reti sociali come Facebook, Google+ o Quora, lo spazio per i commenti è previsto al piede del testo. E i commenti si allineano dall’alto verso il basso in ordine cronologico inverso, dal più recente al più antico. Tale modalità di rappresentazione valorizza le relazioni fra commenti diversi, ossia la dimensione dialogica e sociale dell’esperienza (utente-utente), ma indebolisce quelle fra i commenti e il testo cui essi si riferiscono (utente-testo).
Nel Web 2.0 il sistema testo-commenti si rompe per due ordini di ragioni. Da un lato per una questione di statuto, ossia di regole del gioco; dall’altro a causa delle caratteristiche dell’interfaccia che media il rapporto fra utente e macchina. Per quanto riguarda il primo punto, diciamo che una piattaforma come Facebook incentiva l’esibizione e l’interazione fra gli utenti, più che l’esplorazione dei loro contenuti. Facebook non ci chiede di leggere, capire, connettere e aggiungere, ma solamente di apprezzare (‘like’) e condividere. Conseguentemente chi scrive su Facebook non lo fa per essere letto e compreso, ma per accrescere il proprio prestigio (misurato in termini di “like” e condivisioni). Relativamente al secondo punto, osserviamo che la possibilità di interagire a margine del testo, per ora offerta solo da poche piattaforme, renderebbe più evidente la relazione fra commento e testo commentato.
Il secondo snodo, quello relativo al tradimento, riguarda la relazione con il testo che si legge. Il testo è fisso, codificato (alla lettera: è il codex dei romani). Il commento stimola il lavoro di significazione del testo, quella processualità interminabile di costruzione/decostruzione che, nell’esperienza di TwLetteratura, si traduce in una massa di riscritture e una nebulosa di commenti. Che differenza c’è fra riscrittura e commento? Riscrivere significa compiere un’operazione mimetica. Ma nella cultura del software la mimesi si manifesta più come capacità di cogliere nessi imprevisti che come imitazione. Interagire con un testo significa trasformarlo, operare su di esso un esercizio di manipolazione. D’altra parte anche la mera copiatura si dà come atto trasformativo: essa consiste nello spostamento di un testo da un luogo a un altro, e quindi nella sua collocazione di un contesto diverso rispetto a quello di partenza. In questa ricombinazione, conta più il processo dell’atto. Viviamo nell’epoca della sovrabbondanza testuale. Un’epoca in cui qualsiasi testo è già stato scritto ed è continuamente immesso nei circuiti telematici. Il focus creativo si sposta pertanto dal contenuto all’operazione. Non è creativo un contenuto originale, se non altro perché essere originali sembra diventato impossibile; è creativo, semmai, il lavoro di manipolazione, ricontestualizzazione e concettualizzazione svolto dall’autore su un contenuto preesistente. Per dirla con Kenneth Goldsmith «the act of writing is literally moving language from one place to another, boldly proclaiming that context is the new content» (Uncreative Writing. Managing Language in the Digital Age, 2011).
Oggi le nostre enunciazioni intraprendono lunghi viaggi. Immesse nelle ecologie rizomatiche della Rete, sono soggette a trasformazioni non previste, producono nuove enunciazioni all’interno di un gioco senza fine. E in questo gioco senza fine, combinatorio e additivo, copiare non è reato. Segno di questa coazione a rifare sembra essere anche l’ampia diffusione della parodia, ovvero l’imitazione – deliberata, riconoscibile e in genere con intento caricaturale – di un’opera altrui. La cifra parodistica si addice alla Rete, perché in essa di manifesta il lavoro di manipolazione e ricontestualizzazione. Affidare un’enunciazione alla Rete significa attendere che altri se ne impossessino, la riperformino e le diano nuovo senso.