Incontrotesto 2013 – “Millimetri” e la poesia di Milo De Angelis

Il terzo e ultimo appuntamento di Incontrotesto 2013 si terrà oggi pomeriggio alle ore 16.30 nel Salone Storico della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena.

La ristampa della raccolta di liriche “Millimetri” per ilSaggiatore – già pubblicato nel 1983 per Einaudi – costituisce un’occasione per dialogare, insieme a Guido Mazzoni, con l’autore Milo De Angelis, sull’intera sua produzione letteraria.
Di “Millimetri” aveva parlato Aldo Nove nel testo scritto per la seconda edizione di Incontrotesto, come di una raccolta capace di «dire l’indicibile, ma non nelle infinite pantomime del mistico, ma proprio nel mistero della quotidianità, nell’ineffabilità esistenziale di tutto». Seguendo questo filo rosso, abbiamo chiesto anche a Milo De Angelis di scrivere un breve contributo su uno degli incontri, umani e/o letterari, importanti per la sua formazione.

Il testo che pubblichiamo qui di seguito è dedicato a Cesare Pavese.

Siena novembre 2013

Se devo dire quale è stato l’incontro e il maestro più importante, quello che davvero mi ha parlato nel tempo e mi ha accompagnato nei miei primi tentativi, devo fare il nome di Cesare Pavese. Ho sempre sentito di dovere molto a Cesare Pavese, fin dall’inizio… e fin dall’inizio ho cominciato a interrogarlo… perché ho trovato in lui quello che attendevo… un uomo severo, un uomo che non addolciva il giudizio, che non pronunciava parole diplomatiche, un uomo inflessibile con gli altri e con se stesso. E un ragazzo ha bisogno di questa severità, di questa serietà. Pavese prende sul serio ogni libro, gli dà un peso enorme. E dà l’impressione che ogni sua scelta, di vita o di letteratura, avvenga di fronte a un tribunale, nel giorno del giudizio: da essa dipende la vita intera. Pavese attribuisce un valore immenso a ogni incontro, a ogni evento quotidiano, a ogni lettura. Questa serietà pavesiana è vicina al sacro, per così dire. Non che Pavese sia un credente. Sicuramente no. Ma attribuisce un valore straordinario a ogni frase, che sembra scritta sulle tavole della legge: un decalogo da osservare con tutto il proprio essere. Leggere un libro è per lui una questione di vita o di morte, qualcosa che va ben al di là dell’idea di piacere o curiosità. Pavese sembra divorato dalle pagine, trascinato in un vortice che riguarda il cuore segreto della sua vita e del suo destino, che ogni volta lo pone in una situazione decisiva, in un pericolo, in un aut-aut perentorio, qualcosa in cui si gioca la condanna o la salvezza. “Uomo di carta” lo chiamavano scherzosamente gli amici, e in questa espressione c’è qualcosa che riguarda la sua dedizione alla pagina, ma anche la sua fragilità, il suo essere un foglio e una foglia in balia delle forze… una pagina strappata vivente. Pavese appartiene alla razza dei grandi solitari, come Leopardi, Campana o Marina Cvetaeva, scrittori che non hanno trovato protezione in una fede sociale o religiosa. Hanno camminato in mezzo ai pali dell’alta tensione, in una situazione di pericolo permanente, sono stati messi sotto scacco dall’esistenza, hanno subito i suoi assalti, le sue incursioni, le sue ferite mortali. Hanno operato in un regime di isolamento e di massima sorveglianza… con gli altri che si aggiravano nella loro vita, vicini e intoccabili, prossimi e remoti… a portata di sguardo… a perdita d’occhio.

Milo De Angelis

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