A Siena il 4 marzo alle ore 20:00 nella storica residenza cittadina dei monaci dell’Abbazia, il palazzo di S. Galgano in via Roma 47 l’Associazione culturale Alche Mia con il sostegno del DSU Toscana e delle Università di Siena e Pisa, propone un percorso fra immagini e teatro, fotografia e performance.
Il tema (o forse, si direbbe, il pretesto) è il rapporto fra Pasolini e il suo cinema delle borgate, ma nel sottofondo c’è anche una riflessione sul ruolo dell’intellettuale.
L’Associazione culturale Alche Mia nasce dalla commistione di suggestioni artistiche provenienti da diversi ambiti culturali. L’insieme di linguaggi artistici differenti, che vanno dal teatro alla letteratura, all’archeologia, crea un fertile habitat in cui prendono forma iniziative che mirano a una produzione culturale basata sullo studio e l’approfondimento del patrimonio artistico. L’associazione porta avanti un’idea di «cultura come soggetto attivo di trasformazione sociale; opponendosi alla logica per cui l’arte è sempre più condannata alla strumentalizzazione, Alchemia si presenta come un laboratorio attivo in cui interagiscono studenti, lavoratori dell’arte, dello spettacolo e della cultura che guidati da passione e entusiasmo vanno avanti, ponendosi come meta una produzione artistica ripensata».

Il percorso visivo si sviluppa attraverso scatti fotografici provenienti dai set cinematografici dei film romani di Pasolini, Accattone, Mamma Roma, La Ricotta, Uccellacci e uccellini. Le immagini esposte, poche delle migliaia e migliaia possibili, sono sì immagini di Roma, ma fanno da specchio per quello spettacolo visivo, assillante e senza soluzione di continuità che è la periferia nel mondo. Pasolini che in film come Accattone raccoglie la propria lettura di de Martino declinandola in uno studio su quell’angoscia degli ultimi definita preistorica dal poeta e regista di Casarsa, per distinguerla da quella esistenziale delle classi medie. L’incontro con l’etnologo di Morte e pianto rituale e l’analisi delle filiazioni che attraversano tale relazione può forse illuminare il posizionamento critico di Pasolini, la sua ricerca del mito e del sacro come forme di resistenza all’omologazione culturale. Pare forse utile rifuggire da letture consolatorie del pensiero e della poetica pasoliniana, spesso descritta come alla ricerca dell’innocenza, dell’umanità incontaminata rappresentata dal sottoproletariato delle borgate romane. Raccogliendo l’occasione di Fuori contesto, proviamo invece a suggerire un possibile sguardo storico e documentabile, ma non per questo storicista, fra il regista e l’antropologo. Quella «crisi della presenza» studiata da Ernesto de Martino, sembra incunearsi nei fotogrammi di Pasolini. Potrebbe essere un modo per provare ad attualizzarla ritrovandola nella postura dell’intellettuale contemporaneo, laddove prova – con gli strumenti della critica – a rispondere alla sperimentazione dell’incertezza e dello spaesamento in cui le attuali forze del pensiero dominante spesso rischiano di confinarlo.
La mostra fotografica sarà inaugurata dalla performance È troppo tardi per restare calmi a cura di Paola Bolelli ed interpretato dalla regista insieme a Valentina Bischi, Mariagrazia Bertino, Francesca Sardella e Francesca Cordì. Il testo è tratto da L’ospite sconosciuto, di Baudouin de Bodinat. «Ricalcando le orme della monodia corale greca, le interpreti mettono a fuoco il disagio psicologico e morale, lo smarrimento delle coscienze più sensibili, tese oggi più che mai alla ricerca di un’identità umana».