Dentro e fuori dal cantiere: analisi di un manifesto SìTav

Tra i numerosi momenti di conflitto che negli ultimi anni hanno attraversato il paese, colpito con sempre maggiore durezza dalla crisi economica, il movimento No-Tav della Valle di Susa si è distinto per la sua capacità di radicamento e per la capacità di ampliare la portata delle sue rivendicazioni dalla difesa del territorio (piano locale) alla messa in questione dei meccanismi di governance democratica.

Flavio Pintarelli

Tra i numerosi momenti di conflitto che negli ultimi anni hanno attraversato il paese, colpito con sempre maggiore durezza dalla crisi economica, il movimento No-Tav della Valle di Susa si è distinto per la sua capacità di radicamento e per la capacità di ampliare la portata delle sue rivendicazioni dalla difesa del territorio (piano locale) alla messa in questione dei meccanismi di governance democratica.

All’ostinazione del movimento e al consenso che gli attivisti sono stati in grado di costruire nel paese negli ultimi 10 anni il fronte di soggetti (istituzionali, politici ed economici) interessato alla costruzione della line ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione ha risposto in maniera altrettanto ostinata.
Si sono così determinate una riduzione degli spazi del dialogo e una polarizzazione delle posizioni in campo che sono spesso sfociate in duri scontri. All’interno di questa logica conflittuale e di scontro le immagini, come spesso accade, giocano un ruolo importante.
Nel luglio di quest’anno (2012) i deputati del PD Stefano Esposito e Antonio Boccuzzi, insieme all’onorevole Domenico Portas de I Moderati, hanno firmato un manifesto di grandi dimensioni che è stato affisso per le strade di Torino.

Il manifesto in questione riproduceva una fotografia scattata durante una manifestazione No-Tav avvenuta pochi giorni prima (il 27 giugno) nei pressi del cantiere di Chiomonte.
In primo piano si vede un operaio intento ad allontanarsi dal cantiere, riparandosi il volto con un braccio. L’aria è satura di gas che si può facilmente indovinare essere lacrimogeno. Sullo sfondo, al di là di una rete metallica montata su barriere mobili di cemento (jersey), alcuni manifestanti, presumibilmente giovani. Quattro di loro hanno le braccia alzate e tengono in mano qualcosa che si può non troppo facilmente riconoscere come una pietra.
Due scritte, una posta sulla parte alta dell’immagine e una sulla parte bassa, recitano rispettivamente “c’è chi tira pietre e sfascia il paese” e “noi stiamo con chi lavora”.
Nel suo sviluppo lungo l’asse orizzontale, l’immagine appare pensata per essere affissa su tabelloni stradali di grandi dimensioni ma quello che interessa maggiormente è il meccanismo di articolazione degli spazi.

La fotografia, infatti, è divisa in tre bande orizzontali: la prima, posta in primo piano e compresa tra il bordo inferiore dell’immagine e la linea tracciata dalla parte bassa della barriere di cemento. All’interno di questa porzione di spazio si trova l’operaio (riconoscibile per il caschetto e il giubbotto catarifrangente) e si intravede sulla sinistra quello che si può ipotizzare essere un mezzo meccanico di colore blu.

La seconda banda orizzontale è composta dalle barriere in cemento su cui campeggia la scritta “la valle non vi vuole” realizzata con della vernice nera e posta sulla destra dell’immagine.

La terza banda orizzontale è quella in cui si trovano i manifestanti ed è composta dalle reti metalliche montate sulle barriere di cemento. Questo dispositivo di articolazione gli spazi contribuisce a rafforzare l’effetto dicotomico che su cui si sono concentrate molte delle critiche al manifesto. Lo spettatore, infatti, è invitato a collocarsi nella zona occupata dall’operaio (che ne costituisce il simulacro testuale) che è l’unica zona completamente aperta dell’immagine (l’operaio può uscirne e noi possiamo entrarci).

Da qui lo sguardo può procedere fino ad arrestarsi contro le barriere di cemento che marcano una divisione dello spazio ma che non escludono completamente lo spazio “esterno”. Le reti metalliche infatti, pur non essendo valicabili, sono traforate e consentono il passaggio di oggetti, le pietre che secondo la didascalia i manifestanti starebbero tirando verso quel noi convocato dal dispositivo retorico.
Colpisce come l’immagine evochi una fitta sassaiola, pur non essendoci evidenza di alcun lancio di pietre da parte dei manifestanti.
Infatti, chi segue da vicino il movimento No-Tav conosce quella pratica che viene chiamata “battitura delle reti”. Gli attivisti si recano ai confini del cantiere e qui, con sassi e bastoni, percuotono le reti metalliche facendo rumore. Quella ritratta nella foto è proprio una battitura delle reti.
Per questo motivo i manifestanti hanno in mano dei sassi, ma nessuno di loro sta compiendo il gesto di lanciarli all’indirizzo del cantiere. Tuttavia la didascalia e il gesto dell’operaio (le spalle ricurve, il volto nascosto dal braccio, la gamba sinistra piegata ad angolo retto), che si può leggere come una fuga, inducono subito a pensare che quella in atto sia una sassaiola.

All’interno del dispositivo spaziale descritto poco fa è necessario collocare anche le scritte e le didascalie che compongono la foto. Infatti la tripartizione spaziale si applica anche a questo materiale espressivo. La frase “c’è chi tira pietre e sfascia il paese” è posta nella banda orizzontale superiore, quella che mostra i manifestanti dietro la rete metallica, mentre quella che recita “noi stiamo con chi lavora” è posta nella banda orizzontale inferiore, quella in cui si trova l’operaio.
L’effetto dicotomico di separazione dei due spazi è rimarcato anche dalle didascalie.

Resta però aperto lo spazio centrale, quello occupato dalle barriere in cemento. Non sembra scorretto considerare questa come una zona neutra o perlomeno come una zona indifferente a quanto accade negli spazi che cerca di separare. La natura omogenea del colore e del materiale rafforzano l’effetto di neutralità.
All’interno di questo spazio vi è però un elemento d’interferenza che rompe con l’apparente neutralità della barriera. Si tratta della scritta “la valle non vi vuole”, vergata sul cemento con della vernice nera. Si tratta verosimilmente di una scritta rivolta verso il cantiere ma che inserita all’interno del dispositivo retorico qui descritto produce un cortocircuito piuttosto importante.
Si verifica infatti una saldatura tra questa scritta, di natura testuale, e la scritta “noi siamo dalla parte di chi lavora”, di natura extra testuale/para testuale. L’opposizione tra il noi mobilitato nella parte bassa dell’immagine e il voi mobilitato in quella centrale rafforzano la separazione tra gli spazi e i soggetti rappresentati che, come ormai dovrebbe essere chiaro, è l’obiettivo dichiarato del manifesto.
Inoltre all’interno di questo dispositivo la scritta cambia il proprio oggetto e, posizionata a mò di didascalia proprio sotto ai manifestanti, sembra essere rivolta a loro, descrivendoli come corpi estranei a un territorio e a un movimento.

Muovendosi dall’analisi semiotica del manifesto e della retorica che questo chiama in causa resta da domandarsi quale giudizio politico si possa dare di un partito (e delle istituzioni che questo è chiamato a governare) che di fronte al dissenso di una parte consistente dei cittadini risponde convocando immagini di chiusura ed esclusione in luogo di immagini di dialogo e mediazione.

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