Il presente si rivolge al passato, un rifugio rassicurante, mentre il futuro non riserva altro che crisi e incertezza perenne. Alcune riflessioni sulla temporalità tra corpi e fotografia di moda.
Natalia Vodjanova è russa, da ragazzina ha lavorato come fruttivendola ambulante e oggi fa pendere il proprio sguardo a destra, verso la luce fioca di una possibile finestra illuminata dalle prime luci dell’alba. La fotografia è in bianco e nero, Nadia indossa un maglione a pelle nuda, sembra scossa, forse un po’ infreddolita. La immaginiamo a piedi nudi, appena alzata, forse dopo una notte complicata o appassionata, non sappiamo. Di certo il suo sguardo e i suoi sentimenti volgono al passato e comunicano un presente possibile, ma senza prospettive future: le possibilità sono ora, non oltre, fissate per sempre nello scatto fotografico.
L’autore della fotografia, raffinata ed elegante, è Paolo Roversi, grande autore, star della fotografia di moda che da sempre contraddistingue i suoi lavori (tutti in studio) attraverso uno slittamento dello sfondo sul corpo delle modelle, una suggestione che mischia sguardo e prodotto (la campagna con protagonista Vodjanova è quella invernale per Aspesi) in un connubio inscindibile. Una messa in scena che ha richiami specifici esclusivamente intimistici, una sorta di ricerca del tempo perduto che viene fissata nel presente.
È la seduzione del presente caricato della certezza di un passato ricco, confuso e complicato ma da cui si è stoicamente sopravvissuti: il presente come filtro delle proprie paure perché risultato di qualcosa che si è superato. Il tempo è ora mentre il futuro non è nemmeno contemplato. Le angosce si tramutano così in desiderio liberando la solitudine scarmigliata di Natalia Vodjanova. Il desiderio di uno sguardo ricambiato che si fa necessità, una voglia compulsiva di possesso come unica via alla partecipazione (acquistare e desiderare maglioni e prodotti vari Aspesi, in sostanza).
“Se ti raccontassi la mia storia, altro che romanzi” è il tipico refrain dell’uomo della strada e il romanzo non sarebbe altro che la nostra possibile storia con la ragazza della porta accanto, non conta nulla che in realtà lei sia la compagna del multimilionario Bernard Arnault (almeno fino a oggi), perché quel filo che si è creato tra la sua icona nello scatto di Paolo Roversi e il pubblico cuce le notizie, anche le più terribili come quelle legate ad alluvioni, ebola e guerre. Le pagine del giornale si fanno così cornice di una fotografia che, unica, è davvero in grado di parlare direttamente al lettore e caricarlo emotivamente di una riconoscibilità di cui la quotidianità non ha più la forza.
Il passato è la terra comune, il mezzo per comunicare una via d’uscita oggi che il futuro si fa carico di angosce e precarietà.
Qualche anno fa Dior ha lanciato una campagna per l’acqua di colonia maschile con una fotografia del 1960 di Alain Delon, giusto ripulita dalla sigaretta che il divo francese teneva tra le dita e virata seppia. L’immagine si presenta come nuova e Delon appare non nella sua reale iconicità di divo anni Sessanta, ma come un qualunque modello che ne cita lo stile.
L’effetto è straniante e affascina perturbando. Delon è facilmente riconoscibile da un pubblico di mezza età, ma è riconoscibile esclusivamente per le sue qualità estetiche anche da un pubblico giovane che nulla sa di lui. Perturba ritrovarlo giovane senza motivo, affascina la sua bellezza carica di un’inquietudine erotica. Il riferimento è a un passato che non passa, a un presente immobile, ma possibile di occasioni: l’immaginazione è al potere perché gioca sulla credibilità di una realtà passata parimenti inesistente.
L’aspetto e il portamento, l’estetica del passato e una buona dose di cinismo fanno pensare che non sarebbe male una campagna pubblicitaria che rilanci anche altre forme di passato, magari che abbia per protagonisti personaggi dal lato oscuro particolarmente pronunciato.
Questa immagine di Renato Vallanzasca è del 1987, subito dopo l’arresto in seguito all’ennesima evasione. Basterebbe tagliarla ed escludere i carabinieri per farne una perfetta icona pubblicitaria. In fondo i mezzi di comunicazione hanno sempre pesantemente ostentato la bellezza e il savoir-faire del bandito milanese costruendone in maniera non del tutto innocente la mitologia.
L’azienda di turno potrebbe pregiarsi del bel volto e magari anche evidenziare che il compenso previsto per Renato Vallanzasca verrà devoluto interamente ai parenti delle sue vittime. Una soluzione condivisa, serena e soprattutto facile.
Con il futuro in perenne crisi, il presente è il tempo della salvezza, della messa in sicurezza. Ormai slegatosi dal futuro, ora il presente guarda al passato. La memoria si alimenta di tragedie e disgrazie che provengono da tempi e spazi lontani, ma non è più la costruzione di una consapevolezza per un futuro più accorto, bensì una consolazione necessaria a confortarci dalle nostre ingestibili paure paniche.
Il presente sembra a doppio filo ormai obbligato al passato. Lo sguardo di Natalia nata nel 1982 non si rivolge a noi, ma a quello che avremmo potuto essere, come Alain Delon nato nel 1935 e oggi splendido venticinquenne ci ricorda quanto comunque eravamo belli e quanto lo si può essere ogni volta. Un attimo che, ridotto spesso ad attimino, diviene un utopico per sempre.
Il terrore per il futuro nasce dalla sua mancanza di eternità, di consistenza e qui Vallanzasca fa il passo doppio. Con il bandito della Comasina il passato si fa presente e contemporaneamente futuro eterno e solido. La violenza diviene così a fronti capovolti la vera pena di un ergastolo privo di alternative.