Storie dal S. Niccolò: ritratti da un futuro remoto #7

Il settimo racconto di Simone Ghelli, dedicato ai frammenti di biografia di uomini e donne che furono ricoverate al S. Niccolò, l’ex manicomio di Siena. La serie #storiedaunexmanicomio è ospitata da MILLEUNA e REPARTO AGITATI.

G.

Nel suo appartamento G. ci aveva lasciato un esercito di svastiche. Il primo giorno, quando arrivai, mi dissero che mi ci sarei potuto traferire. Con G. ci avevano provato, ma non era stato in grado di cavarsela da solo.

Durante i pomeriggi assolati, quando si stendeva sul muretto come una lucertola, poteva dare l’idea di essere un tipo docile. In certi momenti non riusciva neanche a tenere gli occhi aperti e uno spesso rivolo di bava filamentosa gli colava dall’angolo della bocca sul mento. Lo avevano soprannominato lo Sceriffo perché gli piaceva girare con una pistola giocattolo infilata tra la cinta e la vita dei pantaloni. Quando lo incontravo alzavo le mani in segno di resa. «Pum! Pam!» mi faceva lui, «Sei morto». I primi tempi, quando venne a sapere che avevo preso il suo posto, si mise a farmi la posta. Nell’attesa che si spostasse, lo spiavo da dietro le spesse tende di velluto verde. G. alzava il suo bastone di legno sopra la testa e mi minacciava con la bocca impastata. La quantità di pillole che ingoiava avrebbe steso a terra un toro. Ci misi diversi giorni a togliere tutte quelle svastiche. Alcune erano così profonde che rifiorirono anche dopo due mani di vernice. Quelle incise nel legno dei mobili e delle porte mi fu impossibile rimuoverle. Lo Sceriffo ne aveva disegnata una anche sul berretto dei New York Giants che teneva sempre in testa. Una volta provai a chiederglielo: «Ma che significa quella?» G. brontolò qualcosa, probabilmente mi maledisse. Non smise mai di farmi i dispetti. Quando, in estate, mi venne l’idea di fare l’orto, il suo passatempo preferito divenne quello di farmi sparire la zappa, salvo poi fingere di ritrovarla nei posti più impensabili. I suoi scherzi, però, non duravano che poche ore. Con forza negò più e più volte di essere responsabile del tanfo di urina che aleggiava tra le piante di pomodori e quelle di zucchine. Alla fine dovetti arrendermi e lasciare che andasse tutto in malora. Gli ultimi tempi era cambiato, a fatica si teneva in piedi sotto il peso della gobba sempre più vistosa. Con gli occhi socchiusi non faceva che mandare imprecazioni a denti stretti. Ormai non lo temevo più, mi faceva addirittura tenerezza. Qualcuno mi raccontò che non migliorò affatto, neanche quando lo mandarono in casa famiglia. Anzi, c’è chi giurò che avesse persino smesso di mangiare e che stesse per salutare questo mondo. Alla fine della storia, lui non poteva che essere lo Sceriffo di un mondo senza regole e senza stelle. Mi piace immaginarlo così, mentre si arrende senza alzare le mani.

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