Un tour tra i veleni di Tulkarm

Incontro i membri della Society of Social Work Committee nel centro di Tulkarm, cittadina della West Bank tra Nablus e Jenin e l’israeliana Natanya. L’associazione si occupa dei problemi causati dall’inquinamento ambientale e si offre di far fare a me, e un giovane gruppo di donne palestinesi, un tour tra i veleni della città.

Si perché a qualche chilometro da Tulkarm sorge un complesso industriale israeliano. Prima alcune di queste fabbriche si trovavano nella vicina Natanya, ma gli abitanti intentarono anni fa una causa legale contro la Geshuri, la corporation israeliana proprietaria degli stabilimenti, per presunte irregolarità nella tenuta degli impianti. Preoccupati per la salute dei loro figli, gli abitanti di Natanya, riuscirono ad ottenere che la fabbrica fosse spostata.

Così, a metà degli anni Ottanta, la Geshuri trasferì i suoi stabilimenti vicino a Tulkarm. Seguendo l’esempio della corporation, molte altre aziende spostarono i loro stabilimenti nei pressi della città (l’ultimo stabilimento è stato inaugurato nel 2007). Principalmente queste aziende producono fertilizzanti e pesticidi, sostanze che emettono moltissimi rifiuti tossici per la salute dell’uomo.

Se le industrie non dispongono di adeguati depuratori di aria e acqua, le tossine provocano danni gravissimi all’ambiente e alle persone circostanti. Ed è quello che sta succedendo a Tulkarm ormai da anni, con la garanzia di restare impuniti. Le industrie israeliane ricavano un evidente vantaggio nella collocazione degli stabilimenti al di fuori di Israele. Il complesso si trova in quella che viene definita “seam zone’’ ossia una striscia di terra tra la green line, i confini di Israele del 1967, e il muro di separazione, costruito da Israele nel 2002 nella West Bank. La “seam zone’’ è stata dichiarata dall’esercito zona militare.

Per gli imprenditori israeliani questa posizione è una manna dal cielo: da un lato abbattono i costi del lavoro, impiegando i palestinesi che percepiscono un salario molto più basso rispetto a quello minimo israeliano, dato che sono soggetti ad una legislazione diversa, quella giordana del 1964; dall’altro godono di moltissime esenzione fiscali, dato che gli stabilimenti non sono in Israele. Per questo stesso motivo possono scegliere di non disporre di depuratori di acqua e aria. Il disagio che il complesso ha portato a Tulkarm è evidente.

Il terreno tra la famosissima Palestine Technical University – Kadoorie e il muro è completamente morto e presenta delle profonde spaccature, come se fosse prosciugato. L’università è vicinissima al complesso industriale e gli abitanti hanno paura che possa perdere molti dei suoi studenti. Istituita nel 1930 è una delle più antiche università della Palestina. Molti studenti accusano problemi di salute e le finestre rimangono sbarrate per evitare di respirare le tossine portate dal vento. Il vanto della città di Tulkarm è in pericolo, dicono gli abitanti. Se gli studenti si ammalano come biasimarli se non vogliono restare?

Ma non soffrono solo gli studenti dell’università. La Society of Social Work Committee denuncia che molti abitanti di Tulkarm soffrono di infezioni agli occhi e problemi respiratori, tra cui l’asma è il più comune. Questo è dovuto al fatto che respirano per buona parte del giorno, a volte anche della notte, le tossine emanate dalle fabbriche. Inoltre denuncia il fatto che, per densità di popolazione, Tulkarm ha la più alta percentuale di persone ammalate di cancro. Uno studio presso l’Università Najah (Nablus) sostiene che il cancro e altre malattie sono strettamente connesse all’inquinamento chimico nel 77 per cento dei residenti palestinesi della zona. Gli anziani e i bambini sono i soggetti più colpiti e le famiglie per proteggere i propri cari abbandonano l’area.

La situazione a Tulkarm potrebbe sembrare un malaugurato caso e una conseguenza isolata dell’occupazione, ma i dati allarmanti provengono da tutte le associazioni e municipalità della Cisgiordania. È un fatto oramai dato che, nel corso degli anni dell’occupazione, Israele ha utilizzato i Territori palestinesi come luogo privilegiato per sbarazzarsi dei propri rifiuti pericolosi (tra cui rifiuti medici solidi e liquidi, rifiuti radioattivi) e ha fatto ricorso alla pratica di trasferire molte delle sue fabbriche negli insediamenti illegali nella West Bank e nella Striscia di Gaza.

Sono più di cinquanta i siti palestinesi utilizzati dai Israele come discariche sia a cielo aperto che sotterranee. Si stima che il numero di fabbriche situate all’interno dei settlements illegali in Cisgiordania è all’incirca duecento. Questi stabilimenti producono principalmente alluminio, pile, plastica, gomma, cemento, detergenti chimici. I liquami prodotti dagli stabilimenti vengono scaricati nei territori palestinesi e contribuiscono all’inquinamento del suolo, provocandone la desertificazione, e delle riserve di acqua potabile, poiché quando penetrano nel terreno, avvelenano le falde acquifere sotterranee.

A Tulkarm in particolare vengono prodotti pesticidi, tessuti sintetici ricavati dal poliestere, fertilizzanti, tubi e filtri per l’acqua. Gli abitanti, qui e altrove, sono letteralmente invasi da ogni tipo di rifiuto. Gli alberi e le verdure coltivate nei campi, negli immediati pressi delle fabbriche, sono morti a causa dei liquami che contaminano la terra. La pratica di smaltire i rifiuti tramite inceneritori causa inquinamento atmosferico. Le immense colonne di fumo nero che invadono la città e rendono l’aria irrespirabile sono dovute a questo.

Queste aziende non vengono multate né controllate dalle autorità israeliane. I dati che riguardano come gli stabilimenti smaltiscono i loro rifiuti non sono disponibili per le autorità palestinesi, nonostante questi operino a pochi passi dai centri abitati. Gli abitanti non sembrano avere il diritto di sapere che cosa li stai danneggiando, sia fisicamente sia economicamente. A nulla è valsa la ribellione e nemmeno il tentativo di collaborazione. Entrambi i tentativi sono stati respinti violentemente da Israele. Evidentemente la salute degli abitanti e dell’ambiente della West Bank non è importante come quella degli abitanti di Israele.

[Una versione ridotta di questo articolo è già apparsa su il manifesto sardo]

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