“Scegliere se stessi”. Intervista a Valentina Pedicini

L’esordio di Valentina Pedicini nel cinema di finzione s’intitola Era ieri ed è stato presentato alla Settimana della Critica di Venezia e alla Festa del cinema di Roma con queste parole:

Fotogramma da Era Ieri

 

Giò è una ragazza di 13 anni che vive nel sud Italia. È a capo di una banda di ragazzi ed è segretamente innamorata della giovane Paola. È pronta a competere con i rivali maschi pur di conquistare il suo cuore. Poi, l’ultimo giorno d’estate, l’innocenza volge al termine.

Ne abbiamo parlato con la regista.

Chiara Zanini: Era ieri è un cortometraggio che come tutti i tuoi film tratta il tema dell’identità. È il primo di finzione all’interno del tuo percorso ed è vagamente autobiografico. I tuoi film hanno anche una valenza politica, non sono semplici film di denuncia. E il produttore questa volta è Alfredo Covelli, che ha prodotto Fuoristrada di Elisa Amoruso. Come hanno reagito le famiglie dei protagonisti alla vostra proposta di lavorare con i figli sapendo che si sarebbe trattato anche di un lavoro sul linguaggio e sull’omofobia, e che per i ragazzi il set poteva comportare un impegno sul piano emotivo?

Valentina Pedicini: La lavorazione del cortometraggio Era Ieri ha rappresentato per me un “attraversamento”, una sorta di battesimo. Sono una documentarista per formazione e per passione, eppure laddove ho deciso di raccontare una memoria intima ho utilizzato il linguaggio della finzione. Nel documentario gran parte del lavoro è concentrato nella descrizione e nell’“attraversamento”, come dicevo, dell’altro. In questo nuovo lavoro ho dovuto scavare nei miei ricordi e infondere gli odori, i respiri, la delusione, il coraggio di quegli anni nei gesti e nei corpi dei ragazzi scelti attraverso un lunghissimo casting. Sono tutti attori non professionisti, fotografati in una delle fasi più difficili e più significanti: l’adolescenza.

Devo molto, rispetto alla scelta di questi volti, al mio casting director Luca Joe Cucci, che ha compreso fin dal principio l’importanza del tema che volevo raccontare e la delicatezza necessaria perché questo tema arrivasse con orgoglio e forza alle famiglie dei piccoli protagonisti. Io e Luca abbiamo lavorato a stretto contatto, ma come spesso accade nei film è suo il piccolo miracolo di aver individuato Giorgia, la protagonista. Ho costruito, seppur con poco tempo a disposizione, un bellissimo rapporto con i sette protagonisti. E questa intimità, questa fiducia si sono rivelate condizioni necessarie per il proseguimento del lavoro. Insieme abbiamo discusso della sceneggiatura e più in generale della tematica del film.

Le famiglie hanno accolto molto bene l’idea che i volti e i corpi dei loro figli portassero addosso e dentro un tema così importante. Loro sono stati orgogliosi che una regista donna raccontasse da una diversa angolazione la terra pugliese e un tema come quello dell’omofobia, io sono stata e sono tuttora orgogliosa di loro e delle sorprese che la mia terra continua a regalarmi.

C.Z.: Il tuo primo lungometraggio Dal Profondo invita a rivedere alcune nostre convinzioni di partenza, in particolare rispetto alla miniera e chi ci lavora. È un percorso che fai assieme al pubblico, e si può dire lo stesso lo stesso degli altri tuoi film. Vale anche per Era ieri? Come giudichi la lotta ai pregiudizi e al patriarcato nei film usciti negli ultimi anni?

V.P.: Era Ieri si apre e si chiude con l’inquadratura di un mare capovolto. La scelta di questa immagine non è solo metaforica (il mondo di Jo, la protagonista, verrà stravolto in una sola lunga ultima giornata d’estate), ma credo rappresenti anche un mio modo di fare cinema.

Fare un film per me vuol dire scoprire, ancor prima di raccontare, qualcosa di nuovo ed inaspettato su di me e sull’ambiente e le persone con cui entro in contatto. In Dal Profondo la miniera, uno dei luoghi più ostili della terra, è stato trasformato visivamente in una cattedrale, un lavoro che distrugge occhi e polmoni è stato raccontato anche da una diversa angolazione, una tradizione di famiglia, una dipendenza, una necessità, una scelta. Da documentarista ho dovuto battermi contro i miei stessi pregiudizi interiorizzati rispetto all’affezione dei minatori per un lavoro così massacrante.

Così anche Era Ieri parte con una condizione di fatto: Jo conosce la sua natura ed è a capo di una banda con il suo amico Matteo. Quando l’amore arriva e forza Jo a fare una scelta tra le sue identità (la fratellanza con Matteo oppure l’essere se stessa e seguire il desiderio) il mondo di ieri si frantuma, il presente è una maglietta gettata in acqua e una rinascita. Volevo che lo spettatore facesse un percorso insieme a Jo, che vivesse con lei la difficoltà dello scegliere se stessi e della non omologazione. Volevo che lo spettatore crescesse insieme a Jo in questa giornata d’estate piuttosto che essere ideologica e didascalica e indicare fin dal principio cosa è giusto e cosa no. Jo rifiuta un certo modo di stare al mondo e un certo mondo maschile che si esprime attraverso il tradimento, la rabbia, una pistola. Da Jo ci aspettiamo tutti una rinascita. Ed è a lei, al suo coraggio, che è affidato il finale del film e dunque il futuro.

Al cinema affido la mia speranza che il tema del patriarcato e della lotta ai pregiudizi diventi sempre più centrale. Fatte rare eccezioni, come Vergine Giurata di Laura Bispuri [ndr: La sceneggiatrice è Francesca Manieri, che ha anche scritto Era Ieri insieme a Valentina Pedicini], i film di Alice Rochwacher, quelli di Claudio Giovannesi e di pochi altri mi sembra invece che il cinema italiano continui a costruire un immaginario di periferie, droghe, machismo, che vede come protagonisti sempre e solo gli uomini e in cui raramente si mette in discussione l’ordine precostituito.

[Valentina Pedicini nasce a Brindisi nel 1978. Si diploma in regia alla scuola Zelig e realizza i documentari Mio sovversivo amor (2009), My Marlboro City (2010) e il pluripremiato Dal Profondo (2013). Il cortometraggio Era ieri è il suo esordio nel cinema di finzione].

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