Una riflessione a tempo indeterminato a proposito dell’uscita di “In bici senza sella”

In attesa dell’uscita dell’ebook sulla Legge di Riforma del cinema e degli audiovisivi, Chiara Zanini è andata al cinema per vedere la prima di In bici senza sella di Alessandro Giuggioli.

25 ottobre 2016, Cineteca di Milano.

Complice l’entrata gratuita, i duecento posti della sala Alda Merini sono quasi tutti occupati. È qui che Inail organizza Sguardi al lavoro, una rassegna quest’anno preceduta da uno spot che visivamente richiama un po’ troppo quelli della Nivea più che i diritti dei lavoratori, ma i film scelti meritano, a partire da Il Successore di Mattia Epifani.

Capita che la Cineteca nonostante tutto non si riempia, perché come è evidente gli sforzi delle istituzioni sono al momento indirizzati piuttosto a far conoscere in maniera capillare altre iniziative spacciandole per novità assolute. TeatriAperti (lo scorso 22 ottobre) o la Festa della Musica (22 giugno) hanno indotto in tutta la penisola centinaia di prestazioni di lavoro gratuito, che grazie alla propaganda renziana sarebbero ampiamente ripagate dalla visibilità ottenuta. Persino un esponente del PD, Massimo Puliani, ha definito un errore simili operazioni. Un gioco di chiaroscuri dove la notte è quella dei tanti beni culturali abbandonati a se stessi. Se le cineteche offrono spettacoli gratuiti, è bene precisare che molti piccoli cinema non possono farlo, né giova loro aderire ai mercoledì a due euro. Alcuni esercenti stanno riuscendo a spiegare al pubblico più affezionato perché rifiutano Cinema2Day, ma dato il successo dell’iniziativa le dedicheremo uno spazio a breve, magari nell’e-book che stiamo preparando sulla Riforma Franceschini insieme a registi e produttori indipendenti.

Questa sera a vedere In bici senza sella siamo tantissimi. Ci sono molti crowdfunders (più di 22mila euro sono stati raccolti), si respira un’aria diversa. Un po’ come alla Festa del cinema di Roma, quando il regista-non-solo-regista si è sentito dire da dei ragazzi: “Questo film lo devono vedere tutti, perché è il nostro film. Ci riguarda.”

A quanto pare le voci corrono e ora devo cercare un bel po’ prima di individuare un posto libero. Finalmente lo trovo. Un attimo dopo si avvicina un tipo gentile che chiede con accento romanesco “Se mi siedo qui… Disturbo?” “Lo scopriremo subito, se disturba. Qui in Cineteca purtroppo si usa”, rispondo. Due battute più tardi dice che il regista è lui. Molto bene. E ora che faccio se il film non mi piace? È una commedia: finirò a ridere per pura cortesia? Buio in sala.

In bici senza sella è una bella sorpresa, e mica solo perché parla di noi. Se nel prologo i protagonisti possono sperare di continuare a campare solo grazie ad un evento fortuito e senza mai raggiungere l’oggetto del desiderio che li accomuna agli altri personaggi del film – ossia il contratto a tempo indeterminato – nei successivi episodi il medesimo oggetto è avvicinato, sognato, descritto nei modi più diversi.

L’idea nasce quattro anni fa. Di ritorno a Roma dopo aver fatto i lavori più diversi a Londra, Giuggioli propone un cortometraggio da lui diretto ad un produttore, il quale fa capire che non lo produrrà, ma gli propone di imparare il mestiere. Compresa la difficoltà di realizzare un’opera prima in Italia e dopo aver visto uno dei cortometraggi che ora fanno parte di questo lavoro collettivo (quel corto è “Precari della notte”, che cita I Guerrieri della notte di Walter Hill, più di qualche analogia con l’Anabasi di Senofonte) Giuggioli convoca otto registi. Spiega loro di non avere soldi per fare un film alla maniera tradizionale: produrrà un episodio alla volta. Siate propositivi, ripete.

È arrivato il momento di raccontare il precariato senza soffermarsi troppo sulle colpe e gli aspetti più difficili da sopportare, puntando piuttosto sull’ironia e provando a immaginare soluzioni. E lo fanno, insieme. Scrivono “ricette anticrisi e altri esercizi di sopravvivenza”. Nasce un film libero e indipendente, con una struttura che comprende la metamorfosi dei suoi personaggi. Ben quattordici autori hanno lavorato a partire da una sceneggiatura iniziale.

Come ricorda Giuggioli conversando con Enrico Nosei della Cineteca “Rulli, Petraglia, Monicelli si incontravano nei bar, mangiavano insieme, litigavano, si tiravano i copioni addosso… Oggi gli sceneggiatori scrivono nei loro attici a Trastevere” – dice citando quello che considera un maestro. Quello non succede quasi più. “C’è una sorta di isolamento. Invece io credo che dall’unione di più menti nasca una creatività che da soli non si può esprimere.” Nosei sottolinea come il film sia stato girato in tempi brevi, con pochi mezzi e macchine poco costose rispetto alla maggior parte dei film che arrivano nelle sale. Giuggioli aggiunge: “Volevamo dimostrare che in questo momento c’è un gran numero di persone che non ha la possibilità di lavorare e fare cinema”. E racconta un aneddoto: per l’episodio Il Parassita (di cui è anche protagonista) il regista e amico Francesco Dafano confidava di poter avere una “macchina della pioggia”, la quale non rientrava nel budget. Così gli attori Luca Scapparone e Michele Bevilacqua – interpreti di altri due episodi – ne hanno costruita una personalmente, con pochi euro, usando legno, cacciavite, fasce e un tubo dell’acqua. Analogamente, quando si è resa necessaria la presenza di un professionista con qualità da stuntman, un altro membro della troupe ha ingaggiato un esperto di cordata e di restauro che stava lavorando in quei giorni nella vicina San Pietro.

In molti hanno visto in quest’opera dei riferimenti a I mostri di Dino Risi e ai western, e un altro elemento degno di nota sono le musiche originali, composte da un esordiente che non sembrerebbe affatto esserlo, Francesco Catitti. Non meno interessante la rassegna stampa in progress. «La Repubblica», ad esempio, non chiede al regista qualcosa di più sullo spunto iniziale (La Via di Edgar Morin), né sul risultato di Toronto (Best Feature!) ma ritiene fondamentale descrivere così l’aspetto del cineasta: «Alessandro incarna l’immagine del trentenne un po’ alternativo (è stranamente senza tatuaggi), intrappolato in quel limbo tra una “adolescenza responsabilizzata” e il “vorrei metter su famiglia ma non posso”».

Anche altri insistono sulla famiglia: il cognato Colin Firth è un sostenitore. A leggere la stampa mainstream pare che nessuno chieda come possano, in concreto, dei precari realizzare un film. A fine proiezione Giuggioli dichiara agli spettatori rimasti un po’ di più di non sopportare il sistema assistenzialista su cui si basa il cinema italiano, ed è preoccupato per lo spazio sempre più risicato che avranno i cineasti indipendenti con la nuova legge (come scriviamo qui da ormai quasi un anno).

Alessandro Giuggioli si aggiunge agli autori dell’e-book che stiamo preparando sulla Legge Cinema. Sì, quella cosa che Renzi e Franceschini hanno presentato con i soliti slogan formato slides alla prima di Inferno di Ron Howard. Dev’essere davvero gratificante fare cinema oggi in Italia con un primo ministro che impone un film commerciale americano – il quale non necessita di alcun aiuto di stato né di promozione e distribuzione – per raccontare l’ennesima riforma. Alla faccia delle opere prime e seconde, del sostegno alle sceneggiature, dell’alfabetizzazione del pubblico, dell’abbattimento delle barriere, dello sguardo sulla società plurale.

Se In bici senza sella ha qualche mancanza la si deve precisamente alla disparità di mezzi che autori e troupe hanno a disposizione. Uno dei loro meriti è proprio metterci di fronte a tutto questo senza rinunciare a dare vita ad una commedia. Dal 3 novembre le sorti di questi creativi (sì, creativi) dipenderanno molto dal passaparola: facciamolo. Per vedere di nascosto l’effetto che fa.

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