È tempo di ricostituenti

A volte arrivare in ritardo non significa necessariamente aver perso qualche cosa. manifestazione costituzione

Chi è arrivato in ritardo, camminando di buon passo perché temeva di perdersi anche il momento dell’arrivo, ha avuto modo di imbattersi in una linea incredibilmente continua di volti che hanno unito, senza interruzione, Piazza della Repubblica a Piazza del Popolo. Ed è proprio in momenti come questi che si capisce quanto sia poco importante investire in conteggi e grafici la stima fedele del numero dei partecipanti ad un incontro. Perché quello che davvero conta è che i luoghi siano pieni al punto tale da diventare persone. Come “la Roma” di ieri: tutt’una.

Inaspettatamente silenzioso, il corteo che per più di due ore ha sfilato per le vie della Capitale, ha mescolato le anime di quest’Italia affranta in un’amalgama di bandiere verdibiancorosse. Scavalcando il timore e la diffidenza nei confronti di un patriottismo che ritrova nel volto di una bandiera il suo emblema, la Costituzione è riuscita a ricordare a molti di quelli che ieri si sono ritrovati a camminare per le strade delle proprie città in suo nome, che la ricetta per rendere l’Italia un luogo migliore da attraversare e vivere, già la possediamo. Parità di diritti, diritti alle differenze, rispetto delle minoranze, separazione dei poteri, centralità dell’istruzione pubblica, pari accessibilità alle risorse: è stato scritto tutto da un gruppo di uomini e donne che nel 1948, sulle macerie del Fascismo, intrecciarono in un libro di una manciata di pagine – tanto piccolo quanto fondamentale – i presupposti necessari alla fondazione di un paese che facesse del rispetto e della parità di diritti e doveri i suoi capisaldi. Il 12 marzo 2011 centinaia di migliaia di persone si sono riversate per le strade di Roma rivendicando il diritto di cittadinanza di quelle pagine nelle loro quotidianità.

La scelta degli organizzatori di invitare tutti i partecipanti a non vestire i colori del loro partito, del loro sindacato, della loro lotta di categoria, ha dato la possibilità di intravvedere e mettere a fuoco una cosa molto importante. La Costituzione è il più potente trait-d’union tra tutte le battaglie politiche, sociali e culturali che possono essere fatte. In questi anni si stanno portando avanti in Italia lotte necessarie che, anche a causa della frammentazione, non riescono mai a produrre soggetti dotati di veri poteri contrattuali attraverso i quali agire un cambiamento reale.

Anche se a tratti con estetiche e tempi molto televisivi, il palco di Piazza del Popolo è riuscito a suggerire questa immagine di intreccio e cooperazione tra contesti, pratiche, profili e linguaggi. Il procuratore aggiunto di Palermo Pietro Ingroia ha rivendicato l’importanza di opporsi alla riforma della giustizia in nome della divisione dei poteri, unica forma di tutela di cui disponiamo per metterci in salvo da un abuso di potere grave che sancirebbe per legge l’inuguaglianza tra i cittadini; Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, ha denunciato i tagli inflitti alla cooperazione e alla cultura del Paese; Santo della Volpe, giornalista di Rai 3 e moderatore del pomeriggio, ha sventolato alla piazza i numeri disarmanti dei tagli fatti alla scuola pubblica e delle integrazioni fatte invece alle scuole private: 8 miliardi di tagli negli ultimi due anni, 1 miliardo e mezzo di finanziamenti alle scuole private. Non sono mancate parole sulla Libia e i diritti dei rifugiati politici, sia dal palco che dalla Piazza. Verso la fine della manifestazione infatti, un nutrito corteo di bandiere libiche si è unito alla Piazza: “Stiamo assistendo al processo di liberazione di alcune popolazioni e alla violenza dei loro rappresentanti. Ci sono paesi che non hanno una costituzione ma che lottano per averla. Voi lottate per non perdere la vostra”.

Come contraltare agli interventi sono stati letti alcuni degli articoli più emblematici della Costituzione e alcun passaggi dell’Antigone che, assieme alle parole della “Profezia” sulla scuola scritta da Calamandrei nel 1950, hanno lasciato il palco a Roberto Vecchioni. La risposta corale della Piazza all’intonazione delle prime note di “Chiamami ancora amore” mentre le copie della Costituzione sventolavano a fianco alle bandiere tricolore, ha prodotto un certo sgomento, vedendo in un contesto di lotta la piazza, un tempo sempre animata di “Bella ciao”, riempita diversamente. Con parole orizzonti, scenari differenti.

In quel momento sarebbe stato facile cedere alla dissonanza raccolta, all’interstizio dei significati che fanno la differenza, alle semantiche che producono un mondo anziché un altro. Sarebbe stato più immediato applaudire l’ingresso di alcuni gruppi studenteschi che, sulla scia di una complessa riflessione sulle riforme che hanno messo in ginocchio l’istruzione pubblica in questi anni, hanno protestato contro gli organizzatori del palco di Piazza del Popolo perché “Oggi la difendono, ieri l’hanno distrutta”. Ma il dubbio, unico luogo possibile per il confronto, è forse oggi La Piazza in cui in tanti, diversi, possiamo incontrarci e provare ad ascoltarci. Per fare oltre che pensare un’Italia diversa. Non da quella che dovrebbe essere ma da quella che è. La Costituzione è un passo in questa direzione: sfogliamola, leggiamola, applichiamola.

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