Pubblichiamo il “Prologo” di Virginie Despentes e Paul B. Preciado a Diventare cagna di Itziar Ziga (Golena Edizioni, introduzione all’edizione italiana di Slavina).
Impermeabile rosa. Abito scollato di mussola nera con una scucitura sulla spalla. Unghie corte ma smaltate. Capelli lunghi, extensions, capelli corti. Capelli scuri. Tinti di rosso, di biondo. Parrucca fucsia. Un’intelligenza comparabile solamente alla capacità di seduzione. Una resistenza all’abuso paragonabile unicamente alla capacità di organizzare orge. Una borsettabarboncino, tra i ricci si apre una cerniera dalla quale esce un portamonete a pois e l’ultimo flyer delle jornadas transmaricaputabollo (“giornate lesbotransfrocioputtane”, N.d.T). Glitter azzurro sulle palpebre. Anelli con diamanti di plastica. Recupero. Accumulazione. Risignificazione. Un programma per diventare cagna.
Itziar Ziga conosce la città come chi vive sempre in giro. Percorre le strade come se le appartenessero. Scarpe da principessina, ma con la suola consumata. È evidente che ha fatto tutti i tragitti di notte come di giorno, lucida o sfatta, con gli occhi pieni di lacrime o di rabbia, in gruppo, in coppia, in trio, da sola, ma sempre parte del branco. Donna nell’aspetto esteriore, frequentatrice di bar, zoccola di librerie, maratoneta nelle manifestazioni. Itziar Ziga è un turbo mix politico-culturale: la campagna e la città, sua madre e le sue amiche, Euskal Herria (Paesi Baschi) e Catalogna, la copla e il femminismo iracheno, Judith Butler e Manuela Trasobares, la teoria queer e i workshop di pantojismo, la cultura trans e le nonne puttane, Alaska e Benedetti, Santa Agata e la Dulce Neus.
Itziar Ziga è una drag-bitch, una cagna travestita, una bio-donna capace di produrre una versione puttaneggiante della femminilità non tanto come artificio teatrale (ad altre il teatrino costa piuttosto caro!) ma come strategia di lotta guerrigliera. Ma non si nasce cagna, lo si diventa. Si tratta di una femminilità riciclata dove non rimane nulla di bio né di crudo, dove tutto è già precotto per non dire vomitato, una femminilità fatta dei rimasugli di genere scovati nella spazzatura dell’eterosessualità normativa o degli invendibili del merchandising “tutto a un euro” al chiosco del patriarcato.
Coloro che hanno sempre sostenuto che nessuna politica o estetica camp è nata in seno alla cultura femminista o lesbica (eccezion fatta per la sovversione di genere proposta dalle lesbiche butch e dalle drag king) dovranno riconsiderare le proprie antiquate etichette e creare un nuovo concetto se vogliono comprendere la sfida proposta da Diventare Cagna.
Dalla spazzatura dell’etero-capitale Itziar Ziga recupera il boa di piume radioattive, il vestito strappato da ballerina di flamenco che ricorda quello che un giorno aveva indossato Ocaña per camminare per le Ramblas, il tacco alto ma largo da puttana che batte le strade e persino la cipria costosa e le bottiglie di birra. Itziar Ziga inventa un mondo nel quale le zoccole dei bassifondi e dai gusti perversi, coloro che sono state storicamente escluse dai circuiti di potere (ai quali si accede solo tramite l’eterosessualità bianca di classe media), intervengono nei processi di produzione di significato introducendo i propri codici. Il glamour trash delle cagne senza lavoro e senza prospettiva di averlo, si manifesta contro le nuove forme di sottomissione sociale che derivano dall’imperativo del mercato. Itziar Ziga e le sue cagne compagne sostengono che c’è vita intelligente ben oltre l’etero-pianeta della dieta miracolosa e della lavastoviglie che lascia impeccabile il tupperware, ma anche ben oltre la donna liberata e l’uguaglianza di genere, ben oltre il gay riconvertito in caporeparto e la lesbica discreta e laboriosa. Le cagne se la ridono dei codici dei ricchi (ora nuovi poveri?), delle loro borse di Prada mezze vuote e delle loro facce spaventate di fronte alla crisi. Le cagne la cavalcano la crisi, perché la crisi è l’unico stile di vita che conoscono.
Ciò che rende singolare la scrittura di Itziar Ziga, allo stesso tempo collettiva e radicalmente personale, non ha a che vedere con l’essere nati donna o uomo, ma con il provenire dagli ambiti nei quali tradizionalmente non si scrive. Scrittura-cagna: lingua precisa formata dalla pratica del giornalismo, e contemporaneamente lingua politica, ma anche lingua lasciva. Questo libro si scontra con la tradizione che esige che il potere della pubblicazione scritta continui a essere detenuto da una classe privilegiata, una comunità chiusa autorizzata a esprimersi. Ma anche con il processo di produzione di egemonie attraverso l’esclusione discorsiva, messa in atto all’interno dello stesso movimento femminista. La scrittura di Itziar Ziga nasce dalla periferia della grande città, dai casermoni della Rentería, dalla periferia del linguaggio universitario, ma anche dalla periferia del femminismo. Dalle periferie vengono i branchi.
Dalle periferie vengono i branchi. Quando la femminilità si costruisce in branco, diventa una femminilità sovversiva. Una cagna sola è una cagna morta, un branco è un commando politico. Le cagne non si occupano della cucina, né di badare ai bambini della patria. In branco ogni cagna è capace di mordere, di organizzarsi per vivere fuori dal focolare. Le cagne di Itziar Ziga sono animali di frontiera, zoccole transnazionali o frocie senza documenti, per le quali il glamour trash è una forma di resistenza alle costruzioni normative di genere, classe, sessualità o appartenenza nazionale. Il branco non è né la comunità, né il ghetto, né il partito politico. Nel branco di cagne non c’è legge di genere né di identità sessuale, i tacchi non valgono più dei baffi (naturali o appiccicati con la colla che siano). E siccome il branco è una macchina collettiva per fottere, indispensabile per resistere e inventare altre forme di piacere, ne entrano a far parte anche i ragazzi trans e le camioniste butch.
Scrittura-cagna. Ma anche scrittura-branco. Come se si trattasse di un album hip-hop, Itziar Ziga è la voce solista inframmezzata dalle voci di cagne famose, capace di risignificare i generi della sociologia e dell’antropologia per realizzare un femminismo bastardo e senza padroni. Parole mitraglietta che aprono un corridoio attraverso il quale corrono, per non dire saltano, tutte le immagini della femminilità abitualmente definite in quanto vittime: donne con il velo, con le teste rasate, violentate, donne transessuali, donne coperte di lividi, lavoratrici sessuali, ninfomani…
Quelle che qui parlano sono cagne sapienti: a differenza delle pioniere dell’attivismo travestito e frocio-trash dell’immediato postfranchismo, per le quali la precarietà economica era aggravata da una forte esclusione culturale, le cagne di Itziar Ziga collezionano lauree (inutili per il mercato del lavoro, ma efficaci come forma di accesso a forme di potere che derivano dalla conoscenza), parlano diverse lingue e hanno penetrato (in tutti sensi) le comunità queer di vari continenti. Questo libro saprà avvicinare tutte coloro che ancora non hanno avuto la fortuna di incrociare sul proprio cammino Itziar Ziga alla la vena più licantropa dell’attivismo femminista contemporaneo. E forse, morse dalle sue parole, diventeranno anch’esse cagne.