Accordi di riammissione e diritto di polizia

Nella “guerra contro l’immigrazione illegale” è stato rimesso in discussione il principio di divisione dei poteri, principio fondante dello stato democratico inteso come stato di diritto.

Fulvio Vassallo Paleologo [*]

Legittimate dal continuo richiamo alla figura del “clandestino”, e alla lotta contro “l’immigrazione illegale”, le intese internazionali bilaterali e le pratiche amministrative, come la cd. “cooperazione pratica” di polizia, si sottraggono a qualsiasi controllo giurisdizionale e sono rivolte sempre più spesso contro quelli che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) definisce “flussi misti”, composti sia da potenziali richiedenti asilo che da migranti economici, mentre la distinzione di tali categorie diventa sempre più difficile, tanto nei paesi di transito che nelle acque internazionali.

La guerra civile in Libia e l’esodo forzato di centinaia di migliaia di migranti da quel paese ha posto le condizioni per il superamento di una distinzione (quella tra rifugiati e migranti economici) che appare legata alla divisione del mondo in blocchi, anteriore alla caduta del muro di Berlino nel 1989, ma che oggi ha perduto senso, anche a fronte del numero crescente di profughi ambientali. E si profilano ancora nuovi casi di ricorso all’immigrazione come arma di ricatto praticata da alcuni paesi di transito (esemplare il caso della Libia di Gheddafi) verso i paesi di destinazione. L’assenza di canali legali di ingresso in Europa, che si è riconfermata ovunque con l’aggravarsi della crisi economica e con lo smottamento del senso comune che individua ormai negli immigrati i responsabili di una crisi che ha invece origini ben diverse, continua ad aggravare la condizione di tutti coloro che comunque si sono decisi o sono stati costretti a percorrere le rotte, sempre più pericolose, dell’immigrazione clandestina, tra questi molti richiedenti protezione internazionale, con un continuo aumento del numero delle vittime, a mare e nei paesi di transito [1].

I differenti processi di transizione verso la democrazia, che in questa sede non si possono analizzare compiutamente, ma che presentano comunque caratteristiche non facilmente omologabili, né allo stato prevedibili, non hanno ancora apportato modifiche sostanziali ai rapporti di carattere bilaterale – che i paesi del Nord-Africa avevano instaurato con l’Italia e con altri paesi europei. Gli accordi stipulati dall’Italia a partire dal 1998, dall’allora ministro dell’interno Napolitano, con la Tunisia e con il Marocco, prima, con l’Algeria e con l’Egitto in un secondo tempo, sono rimasti sostanzialmente immutati anche dopo le cd. primavere arabe. Un caso a parte, e dagli sviluppi ancora imprevedibili, è costituito dalla Libia, paese con il quale l’Italia aveva al tempo di Gheddafi i rapporti più stretti di collaborazione nelle attività di contrasto dell’immigrazione clandestina, prima con i protocolli operativi sottoscritti nel dicembre del 2007 e poi con il Trattato di amicizia del 2008 che li recepiva integralmente. Ratificata dai due Paesi tra febbraio e marzo del 2009, l’intesa Italia-Libia sancisce all’articolo 19 la collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina. Tra le altre cose, inaugura “un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche”, esattamente lo stesso punto di intesa raggiunto da Monti nel suo ultimo incontro a Tripoli, mentre sembra rimessa ad un successivo viaggio in Libia del ministro dell‘interno la futura attuazione dei protocolli firmati nel dicembre 2007 dal governo Prodi, che prevedevano il pattugliamento delle coste libiche con motovedette italiane.

L’accordo del 2008 prevedeva inoltre l’impegno del governo italiano a realizzare infrastrutture in Libia per un valore di oltre 5 miliardi di dollari con un esborso di 250 milioni di dollari all’anno per 20 anni. Non si sa oggi se queste intese verranno mantenute, ma appare sempre più evidente come gli accordi in materia di immigrazione costituiscano sempre più una parte interna di più ampi accordi di coperazione economica. Per effetto di questi accordi bilaterali, soprattutto nel caso dei rapporti tra Italia, Libia e Tunisia, si sono sperimentate forme sempre più drastiche di rimpatrio sommario e di respingimento in acque internazionali, con la cessione gratuita di unità militari ai governi dei paesi di transito, da ultimo alla Tunisia, per intercettare le imbarcazioni in partenza verso l’Europa, o per imbarcare a bordo in acque internazionali e ricondurre verso il porto di partenza migranti segnalati da unità militari italiane [2].

Gli accordi di riammissione si basano soprattutto sulle prassi di polizia che permettono i rimpatri. Il 28 gennaio 2009 veniva raggiunta a Tunisi una intesa tra il ministro dell’Interno Maroni, accompagnato dal capo della polizia Manganelli, ed il collega tunisino Rafik Belhaj Kacem al fine di garantire identificazioni più rapide per i cittadini tunisini presenti nei Cie italiani e il rimpatrio dei migranti provenienti dalla Tunisia che in quel periodo erano riusciti a raggiungere Lampedusa. Persone che fuggivano dalla durissima repressione seguita alla protesta dei minatori e degli strati emarginati della popolazione di Gafsa, uno dei distretti più poveri del paese governato da Ben Alì. L’incontro consentiva di raggiungere un’intesa su alcuni punti specifici (fonte Ministero dell’interno): “1) intensificazione della lotta al fenomeno della tratta degli esseri umani e di ogni forma di organizzazione criminale che sfrutta l’immigrazione clandestina; 2) definizione di un piano che prevede da un lato la semplificazione e l’accelerazione delle procedure necessarie all’identificazione degli immigrati tunisini presenti nei Cie italiani, e dall’altro il rimpatrio graduale e costante di coloro che sono già stati identificati e che si trovano attualmente nelle strutture di Lampedusa, entro il termine massimo di due mesi; 3) prosecuzione dell’azione di sostegno alla Tunisia, come già previsto dagli accordi che si sono succeduti a partire dal ’98, per prevenire e contrastare il fenomeno dell’immigrazione illegale”. Veniva inoltre, avviato un progetto che, attraverso l’utilizzo di fondi europei e il sostegno di organizzazioni internazionali, doveva incentivare forme di rimpatrio assistito. Una prospettiva che sembra tornare di attualità ancora oggi, mentre la Tunisia è impegnata in un difficile processo di transizione. Dopo quell’intesa i rimpatri verso la Tunisia si sono moltiplicati, malgrado crescesse il numero dei migranti che presentavano una richiesta di protezione internazionale.

Il 22 luglio 2009, la conclusione ad Algeri di un memorandum of understanding a firma dei capi delle polizie dei due Paesi costituiva, secondo il ministro Maroni, “il rafforzamento della già ottima collaborazione in atto in materia di lotta alla criminalità transnazionale sotto ogni forma e in particolare al traffico di esseri umani. Sin ora infatti si è registrata massima collaborazione nel rapido svolgimento da parte delle rappresentanze diplomatico-consolari algerine in Italia delle operazioni di identificazione dei loro connazionali giunti clandestinamente nel nostro Paese, operazioni propedeutiche al loro rimpatrio, unitamente al rafforzamento dei dispositivi di sorveglianza marittima algerini”. Sempre secondo lo stesso Maroni ,“la collaborazione si è tradotta nell’azzeramento degli sbarchi in Sardegna e nella disponibilità a riaccogliere gli immigrati partiti dalle coste algerine e intercettati in mare. Ben 51 clandestini intercettati in acque internazionali sono stati consegnati all’Algeria nel corso di due distinte operazioni nel giugno e agosto 2009. Il memorandum prevede uno scambio di informazioni e di esperienze, formazione, visite di studio e stage tematici, nonché attività di consulenza e assistenza nei diversi settori di interesse. Avrà una durata di due anni rinnovabili e consentirà il distacco in Italia di ufficiali di polizia algerina”. E’ evidente che l’esempio da seguire per il governo italiano è quello della “collaborazione” tra Italia e Libia. Per tutto il 2011 quindi, in Algeria sono stati dislocati agenti di collegamento tra la polizia italiana e quella algerina per contrastare la partenza degli “harragas”, i ragazzi che cercano di bruciare la frontiera per raggiungere l’Europa, per molti di loro l’unica prospettiva di sopravvivenza.

Dal 2005, tra il governo italiano e quello egiziano esisteva un “Accordo di cooperazione in materia di flussi migratori bilaterali per motivi di lavoro”, siglato al Cairo il 28 novembre 2005 dall’allora ministro del lavoro Roberto Maroni. Nel testo dell’accordo si prevedeva che i due governi, al fine di “gestire in modo efficiente i flussi migratori e prevenire la migrazione illegale”, si impegnano a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoratori migranti da e per l’Egitto. Il governo italiano, dal canto suo, si impegnava a valutare l’attribuzione di una speciale quota annuale per lavoratori migranti egiziani. Nel protocollo esecutivo si legge che il ministero del Lavoro e delle politiche sociali italiano comunicheranno all’omologo egiziano i criteri, ai sensi della normativa italiana, per redigere una lista (da pubblicare) di lavoratori egiziani disponibili a svolgere un’attività lavorativa subordinata anche stagionale in Italia. Basta verificare l’andamento dei decreti flussi adottati in questi ultimi anni e i ritardi accumulati, e poi controllare il numero di lavoratori egiziani effettivamente entrati in Italia con un visto di ingresso per ragioni di lavoro, per scoprire quanto questo accordo possa avere “giovato” ai lavoratori egiziani, ancora costretti in gran parte a tentare la via dell’ingresso irregolare.

Intanto la nuova Libia del Cnt torna a battere cassa con l’Europa per l’immigrazione clandestina, proprio come la vecchia Libia di Gheddafi. Tripoli “non sarà la guardia di frontiera dell’Europa”, ha detto il ministro dell’Interno Fawzi Abdelali, che ha chiesto l’aiuto della Ue e dei paesi confinanti per fronteggiare il flusso di immigrati. “La Libia ha bisogno di molti mezzi per controllare (l’immigrazione, ndr.) – ha detto il ministro dell’Interno -. La Libia non sarà la guardia di frontiera dell’Europa. Anche se volesse, non potrebbe”. Abdelali ha chiesto aiuto all’Europa e ai paesi vicini per fare fronte al flusso di immigrati. In particolare, ha chiesto un contributo per ristrutturare 19 centri di detenzione e per un sistema di sorveglianza delle frontiere. Il 30 agosto 2010, in occasione dei festeggiamenti a Roma per il primo anniversario del Trattato di amicizia italo-libico, Gheddafi aveva chiesto 5 miliardi di euro all’anno all’Ue per fermare i clandestini africani. Altrimenti, aveva detto, “l’Europa potrebbe diventare nera”. Adesso si ripropone la stessa richiesta.

Sembra così profilarsi la stessa politica basata sul ricatto migratorio che aveva caratterizzato i rapporti tra Gheddafi ed i paesi della sponda nord del mediterraneo. I toni sono sicuramente diversi, le parate militari sono un ricordo del passato, anche perché nelle città libiche le armi si usano ancora sul serio, ma la sostanza non cambia e la Libia, che continua a non sottoscrivere la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati, chiede aiuto per riattivare i numerosi centri di detenzione amministrativa nei quali i migranti rimangono esposti agli abusi più gravi.

Le conseguenze di questa rinnovata stagione degli accordi bilaterali sono rilevanti anche sul piano del diritto interno. Si è diffuso, anche tra i giudici, il richiamo esplicito agli accordi bilaterali stipulati dall’Italia con alcuni paesi come l’Egitto e la Tunisia, per giustificare vistose deroghe alla normativa interna in materia di allontanamento forzato. A partire dal mese di febbraio del 2011, dopo l’arrivo di un numero elevato di cittadini tunisini in Sicilia e nelle isole delle Pelagie, si è giunti ad invocare gli accordi internazionali bilaterali stipulati con i paesi di provenienza e transito quando erano governati dai dittatori che erano stati deposti, per sollecitare i giudici di pace (competenti in questa materia) a convalidare misure restrittive e di allontanamento forzato che apparivano chiaramente illegittime. In questo senso l’orientamento del Ministero dell’Interno e delle sue diramazioni periferiche. Esemplare al riguardo la lettere del vice-questore di Torino ad un giudice di pace che in quella stessa città avrebbe dovuto convalidare un decreto di trattenimento di un cittadino tunisino. Nella missiva si sollecitava il giudice ad una rapida convalida della misura di trattenimento per non creare “ostacoli” all’applicazione dell’accordo bilaterale tra Italia e Tunisia, che contiene clausole che non risultano neppure pubbliche, dopo le intese riservate raggiunte a Tunisi dal ministro Maroni il 5 aprile 2011, e tanto meno approvate dal Parlamento.

Rimpatri privi di basi legali, tentativi di blocco dei migranti nei paesi di transito, scarsa attenzione nei confronti dei soggetti più vulnerabili, come le donne ed i minori non accompagnati, sono tutti elementi negativi che continuano a caratterizzare i rapporti bilaterali tra i paesi del Mediterraneo in materia di riammissione. E chi auspica una rinnovata collaborazione non pensa al travaso della nostra esperienza democratica, a partire dalla libertà di circolazione, verso i paesi di emigrazione o di transito dei richiedenti asilo, come la Libia, ma si pone soltanto nell’ottica di un crescente sbarramento delle frontiere. Malgrado un sistema militare che ormai è in grado di tracciare la rotta di qualunque natante nel mediterraneo, e malgrado una rete sempre più fitta di accordi bilaterali, le vittime dell’immigrazione clandestina sono così destinate ad aumentare ed ancora oggi, dopo l’emergenza Nord Africa del 2011, centinaia di famiglie sono alla ricerca dei loro figli dispersi [2].

Note

[*] Università di Palermo.

[1] M. Spatti, I limiti all’esclusione degli stranieri dal territorio dell’Unione Europea, Torino, Giappichelli, 2011; S.Trevisanut, Le condizioni d’ingresso e La tutela dei migranti nell’ordinamento dell’Unione Europea, in A. Caligiuri, G.Cataldi (a cura di), La tutela dei diritti umani, Padova, Cedam, 2010; B.Nascimbene e A. Pascale, L’eccezionale afflusso di persone dal Nord Africa e l’Unione europea, in “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2011, n.1, p. 17.

[2] Cfr. R. Barberini, L’Italia condannata per tortura, in “I diritti dell’uomo”, 2010, n.2, p.62 ss.

[3] Per informazioni su queste stragi e sui tentativi delle famiglie di origine di rintracciare i propri parenti dispersi in mare o segregati nei centri di detenzione si rinvia a www.fortresseurope.blogspot.com ed a www.meltingpot.org.

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