No, i libri non dialogano fra loro. Ma questi tre, stavolta, sì. Un montaggio.
Quando vi dicono dei libri che dialogano fra loro, non credeteci. I libri non dialogano fra loro. A volte un libro non dialoga neanche con sé stesso, figuriamoci, e neanche i capitoli fra loro. Ma stavolta credeteci. Lasciatemi tentare di far dialogare fra loro tre opere che, senza nessuna ragione particolare se non i nostri ordinari e talvolta bislacchi percorsi di lettura, mi è capitato di leggere in questi ultimi due o tre mesi: Underland. Storie dal tempo profondo, di Robert Macfarlane, tradotto da Duccio Sacchi (Einaudi), Un mondo a portata di mano di Maylis De Kerangal, tradotto di Maria Baiocchi (Feltrinelli), e Apparizioni, di Andrea Gentile (nottetempo). Peraltro, ho letto questi libri fra febbraio e aprile e, appena finito di farlo, mi sono accorto per caso che sono stati tutti e tre pubblicati nei primi giorni di ottobre 2020. È una coincidenza con una qualche rilevanza e significato? No. E per questo va presa sul serio e indagata.
Underland, di Robert Macfarlane, è un libro che reagisce a una delle anomalie e mancanze più diffuse nella nostra percezione dello spazio geografico: lo squilibrio verso una visione orizzontale del mondo che ci circonda, a scapito di una concezione parimenti verticale e profonda. È proprio su alcuni luoghi rappresentativi di quella dimensione verticale del mondo che Macfarlane, in questa sua recherche del tempo profondo, punta l’attenzione in questa raccolta di reportage sotterranei: dalle sepolture preistoriche in Inghilterra alle catacombe parigine, dai fiumi sotterranei del Carso alle miniere abbandonate, dai laboratori scientifici sotterranei alle reti di funghi delle foreste, e così via. In una delle parti più appassionanti del notevole Underland, Macfarlane racconta di una sua visita solitaria in una grotta, raggiungibile o dal mare sempre burrascoso o dopo un’impervia camminata, dell’estremo nord della Norvegia. Lì, «tra i settemila e i duemila anni fa, furono scolpite sulle rocce spianate dai ghiacciai più di seimila immagini – in gran parte petroglifi – raffiguranti renne, orsi, esseri umani, scene di caccia e aurore boreali».
Nel suo bel romanzo Un mondo a portata di mano, Maylis De Kerangal racconta di Paula Karst e dei suoi studi all’Istituto superiore di pittura a Bruxelles. È lì che Paula impara la tecnica del trompe-l’œil, che affinerà lavorando per esempio negli studi di Cinecittà e in Russia. Ed lì che, oltre il trompe-l’œil, Paula impara anche ad amare il suo collega Jonas, benché l’amore si riveli talvolta una tecnica di trompe-le-cœur. Sarà proprio Jonas a passarle una commissione che non può accettare: la realizzazione della fedelissima copia delle pitture parietali della grotta di Lascaux, per il museosorto proprio accanto al sito originale, chiuso al pubblico. Come in Underland, si parla dunque anche di grotte, di pitture parietali e di visioni.
C’è infine Apparizioni, di Andrea Gentile, un saggio su quelle scintille di visione e d’inconsapevole consapevolezza che, inattese e nascoste, sfavillano in certi momenti densi nella nostra mente e nel nostro vissuto quotidiano, trasformando tanto quello stesso quotidiano quanto noi stessi. Oltre a una lirica teoria dell’apparizione, il libro consta anche in un percorso fra opere d’arte, narrazioni e momenti di contemporaneità a noi stessi e al nostro mondo là fuori – quasi dei provvisori ed euristici momenti di resistenza all’ethos dell’inattualità – che diventano a loro modo addestramento all’apparizione e tentativo di ampliamento della predisposizione e delle possibilità di viverne. E Apparizioni finisce per farsi apparizione in sé.
Ecco, nel leggere questi tre libri – fra grotte, visioni parietali e apparizioni dal tempo profondo – mi è parso di sentirli dialogare fra loro, forse alle mie spalle, e non resisto alla tentazione di verificare se per caso da quei loro comizi privati non spuntasse qualcosa d’interessante. Lo faccio attraverso un breve montaggio di alcuni passaggi dalle tre opere: Underland in tondo, Un mondo a portata di mano in corsivo e Apparizioni allineato a destra. Gli a capo sono trasformati in “/”, come si fa con le poesie.
Mi fermo sulla soglia della grotta ed esco all’aria aperta. Piove più forte adesso. Il paesaggio ritorna se stesso: prima luminosità, poi colore. Acqua che si infrange, l’eco dell’onda nella cavità alle mie spalle. Rifaccio la strada lungo la baia, verso i resti dell’insediamento. / Ho la netta e assurda sensazione di essere osservato.
Ma tu, la vera grotta, l’hai vista tu? Paula interroga bruscamente come sempre sotto l’effetto dell’emozione, e l’altra, soddisfatta, sì, per venti minuti. Ma quei venti minuti le avevano cambiato la vita. / Aveva vissuto con i pittori della Preistoria, si era messa nei loro occhi; un contatto durato venti minuti dopo ventimila anni.
Che cos’è un’apparizione?
Dovevano condurre vite brevi e difficili, e sembrerebbe ragionevole pensare che un’esistenza così lasciasse poco spazio alla creazione artistica. Eppure quelle figure rosse danzanti esistono.
La grotta è là, nessuno la può vedere ma tutti ci pensano, tutti ci pensano in continuazione.
Un’apparizione, senza dubbio, è generata da una novità o da un ritorno. Venire alla luce, forse da un’ombra. Un’apparizione può plasmare non solo il tempo ma anche lo spazio. Distorcere l’immaginazione. / In ogni caso, l’apparizione, per essere tale, genera un mutamento.
Le pareti della nuova sala rimandano echi e riflessi di luce, e dove cade la luce vedo nuove scene provenienti dal mondo di sotto animare la roccia. Sono scene di occultamenti, di ricerche di rifugio, di scoperta: sparse nel tempo e nello spazio ma collegate tra loro da echi inattesi.
Paula ha immaginato la grotta sotto terra, la sua chiusa bellezza, la cavalcata degli animali nella notte magdaleniana, e si è chiesta se le pitture continuavano a esistere quando non c’era più nessuno a guardarle.
(si possiedono le apparizioni? O si subiscono? Si inabissano dentro di noi e vi nuotiamo dentro? O troneggiano come dèi greci nella nostra mente? Vivono anche quando dormiamo? Certo che sì! Vivono anche quando moriamo? Certo che no!).
Le figure attraversano l’ingresso della grotta, e il mondo cambia. La grotta si insinua nella scogliera. Il tempo fa andare in senso inverso lo spazio: più avanzano, più giovane è lo spazio della grotta. Il viaggio nell’oscurità è un viaggio verso il presente.
Un foro profondo, cinque metri, la corda è troppo corta, bisogna saltare nel vuoto, senza mollare la lampada, è folle ma Marcel salta, quando si rialza e illumina la parete, una creatura appare, un uomo dalla testa d’uccello.
Un’esperienza artistica è un’esperienza estrema fatta di apparizioni. Luogo tranquillo della dismisura. Al centro di ogni tempesta. / Ogni parola una pietra. / Ogni istante un istante.
La scoperta – racconterà l’archeologo Bjerk successivamente – è come ‘una stella cadente’: inattesa, immeritata, sontuosa, e lo lascia con un desiderio travolgente di rivivere ancora un momento così, di essere ancora la prima persona dopo migliaia di anni a posare lo sguardo su queste figure danzanti nel buio.
Quelli che camminano non sono più bambini ma cercano un tesoro – è questa la persistenza dell’infanzia?
Per un’apparizione non abbiamo, non possiamo avere, un apripista, una guida turistica. Neanche dio. Se una tentazione è spesso un’apparizione, è altrettanto vero che non siamo che soli, sempre soli, di fronte alle apparizioni.
E quando riapro gli occhi e guardo di nuovo, ecco là – sì, proprio là, vedo baluginare una linea che non è pura creazione della roccia. Ce n’è un’altra che la incrocia e poi la prima linea si unisce a un’altra linea ancora e là, là, proprio così, c’è un danzatore rosso, appena visibile ma inequivocabile, uno spettrale danzatore rosso che salta sulla roccia. E ce n’è un altro, un altro ancora, qui, ce ne sono almeno una dozzina, sempre spettrali ma adesso presenti, che saltano e danzano sulla roccia, a braccia aperte e gambe larghe, che si muovono e si stendono appena sbatto le palpebre.
In quell’istante, Jacques ha lanciato un grido indicando sulla volta bianca delle forme così potenti che si sono staccate dalle tenebre e fatte riconoscere alla luce delle torce di fortuna, quelle luci ondeggianti che hanno aumentato l’impressione di movimento del corteo animale. Non hanno avuto paura e hanno alzato la lampada davanti alle immagini: un cervo, dei piccoli cavalli, un toro.
La letteratura vive di apparizioni. Spesso le apparizioni giungono al buio.
Figure rosse, invariabilmente rosse, quasi sempre con la stessa forma di base, che saltano e danzano nel buio delle grotte lungo la costa, ormai familiari nel loro profilo e tuttavia ancora misteriose nella loro origini. Ogni volta che le scopre anche il suo cuore fa un balzo e il tempo collassa o instaura una coesistenza con altri tipi di tempo, mentre le figure danzano e tremolano nella luce fioca.
Penetrano in fila nella stretta gola, si lasciano scivolare lungo quel ripido laminatoio, e non è più l’emozione del giorno prima a dominare, la vertigine dello sbalordimento: adesso è l’incanto.
Non è possibile andare alla ricerca di apparizioni. Per mezzo della contemplazione e, più in generale, della consapevolezza, è possibile essere predisposti alle apparizioni, ma le apparizioni sono tali quando appaiono.
Per molto tempo, dopo quei giorni nella grotta dei danzatori rossi, non sono riuscito a scrollarmi di dosso la sensazione di aver lasciato una parte di me nella baia, di aver lasciato una figura sulla riva. è una sensazione intensa che mi accompagna ancora mentre dalle Lofoten mi spingo lungo le coste norvegesi più a nord, fin alla grande isola artica di Andøia nell’arcipelago delle Vesterålen, dove nel mondo di sotto, al di sotto del mare, infuria la battaglia.
Jonas, davanti a quella luce che brucia e diminuisce, immagina che le pitture hanno limitato il tempo di visione dei quattro ragazzi, un tempo di abbagliamento dopodiché si riforma l’oscurità su una traccia mnestica, una presenza come innata, e il desiderio di ritorno che segue.
Così la storia, che vuole sempre le sue verità, di fronte alle apparizioni, cade: le apparizioni sono sempre individuali, ognuno di noi le sente. Non importa affatto il loro tasso di realtà.
Complessivamente queste “grotte dipinte” contengono circa 170 semplici figure stilizzate, a braccia e gambe aperte come se danzassero o saltassero: figure umane per la maggior parte, ma ogni tanto anche di ibridi umano-animali, e in un caso di una mano da sola.
Replicare la grotta è renderla visibile per ritrarla. È farla riapparire. È anche sentirla, come si sente una replica poco dopo la scossa sismica.
Non sempre l’apparizione si presenta come tale. Talvolta è più sottile, emette qualche vibrazione e stop: qualcosa, dentro di te, ti dice che forse, per qualche ragione, questo momento ritornerà, ciò che hai visto riapparirà nella tua mente: è come un grande testo letterario, questa vita. Accade e basta. È contemplazione più che narrazione.
Le mani dei morti premono sulla pietra dall’altra parte e incontrano quelle dei vivi, palmo contro palmo, dita contro dita.
Jonas ha preso il volto di Paula tra le mani e le ha chiesto di immaginare un tempo in cui gli uomini non sarebbero stati altro che un lontano ricordo, un tempo in cui non sarebbero stati altro che miti, leggende, presenze nei racconti delle creature che avrebbero ormai abitato la Terra – chi può credere ancora gli uomini, Paula?
Le apparizioni, come abbiamo visto, possono giungere da tutte le parti: il passato grida aiuto, sempre.
Tutte queste figure sono fantasmi che danzano insieme, e sono un fantasma anch’io, e per tutti i millenni che hanno danzato insieme hanno – abbiamo – condiviso qualcosa.
Allora, colta dal fascio del retroproiettore, filtrata attraverso il calco luminoso della fotografia, tessuta di solchi e vene più chiare, integrata nelle campiture superficiali della pittura, lei stessa scavata di fiumi sotterranei, di gallerie oscure e di camere ornate, Paula si è fusa nell’immagine, preistorica e parietale.
Un’apparizione porta mutamento. Le apparizioni si insinuano ovunque: come microbi si nascondono nella flanella dei cuscini. Dobbiamo ringraziarle. È grazie a loro che ci sentiamo vivi.