Disastri, politiche pubbliche e cambiamento sociale in un comune siciliano.
Pubblichiamo le riflessioni di Pietro Saitta che recensiscono un unicum nel panorama italiano delle scienze sociali dedicate allo studio dei rischi e dei disastri nel nostro Paese: Smottamenti. Disastri, politiche pubbliche e cambiamento sociale in un comune siciliano, appena pubblicato dall’antropologa Irene Falconieri per CISU.
La vocazione italiana al disastro – ossia al prodotto di vulnerabilità ed esposizione del territorio nazionale per effetto di scelte organizzative a una pluralità di eventi indesiderati, che variano dai sismi alla contaminazione di matrice industriale, passando per frane e allagamenti – è ormai da tempo evidente ai più. Meno evidente, probabilmente, è la crescita esponenziale negli ultimi anni di quel segmento del lavoro culturale dedito alla comprensione e analisi di questi stessi eventi.1 L’interesse, cioè, di un numero ragguardevole di giovani studiosi di scienze sociali (sociologi, antropologi e storici, in primis) verso un tema – quello delle calamità – che funge a ben guardare da crocevia di dinamiche di matrice economica, politica, culturale, tecnica, sanitaria, urbanistica e chissà quant’altro, dispiegate nell’arco di tempi storici spesso molto lunghi, che convergono per l’appunto nell’“evento”. Il disastro, insomma, come pretesto per parlare d’altro.
Le analisi offerte da questa nuova ondata di autori sono state sino a ora per lo più confinate nello spazio sintetico ed elitario delle riviste scientifiche o dei volumi collettanei; tutt’al più nel web (in spazi, magari, come quello di “Sismografie”) e negli interventi agili di autori sempre più interessati a conferire un carattere “pubblico”, anziché strettamente accademico, alla propria ricerca2. Tuttavia se anziché di libri stessimo parlando di dischi, potremmo anche dire che sino ad adesso abbiamo assistito alla prima formazione di una scena e alla produzione di promettenti singoli ed Ep. Ciò che mancava, insomma, era la prova sulla lunga distanza: l’album; ovvero il libro.
Ed ecco che, trascorso il tempo, terminata la fase del dottorato di ricerca, le prime prove sulla lunga distanza iniziano finalmente ad arrivare. Così, dopo Silvia Pitzalis, con Politiche del disastro (Ombre Corte, 2016), votato al sisma emiliano del 2012, è ora il turno di Irene Falconieri, autrice di Smottamenti (CISU, 2017) un prezioso volume dedicato, se così vogliamo dire, a un evento “minore”: l’alluvione di Giampilieri e Scaletta Zanclea, situate nell’estrema periferia sud di Messina, che l’1 ottobre 2009 ha causato la morte di 37 persone, disseminato ingenti danni e stravolto la vita di una comunità.
Se è possibile definire minore un evento come quello dell’hinterland messinese di fine decennio scorso non è evidentemente in ragione dell’entità del disastro, ma in quello della sua incapacità di generare reazioni pubbliche opportune, oppure di fissarsi nella memoria collettiva nazionale. Per lo meno, non in misura comparabile con altri disastri occorsi grosso modo nello stesso periodo. Proprio questa differenza – fondamentale anche ai fini della comprensione delle risposte politiche all’emergenza – segna l’inizio dell’analisi condotta dall’autrice, incentrata sui “quadri interpretativi” che fondano gli “scenari” entro cui si dispiegano i discorsi, i processi di individuazione di responsabilità e le reazioni. Un complesso apparato che – considerato il caso in questione – si sviluppa nel contesto di una lunga durata della Questione Meridionale e degli assunti connessi (l’abusivismo, la corruzione, la connivenza della società civile con il malaffare politico etc.), oltre che della ristrutturazione della Protezione Civile negli anni di Berlusconi e Bertolaso.
Parte del lavoro dell’autrice è dunque necessariamente costituito dalla decostruzione dei discorsi pubblici accavallatisi in prossimità del disastro. Un lavoro non facile, che si gioca sull’analisi delle sfumature linguistiche, sullo svelamento delle tattiche e degli interessi racchiusi nei discorsi degli attori istituzionali e sui significati locali di pratiche sociali esposte al ludibrio da parte di stampa e tecnici. Come fare, per esempio, a smontare gli assunti di apparente buon senso contenuti nelle parole del responsabile della Protezione Civile di quegli anni, Guido Bertolaso, il quale, commentando a caldo il disastro, nota che «l’acqua fa il suo corso e se le case sono distribuite dove non si dovrebbe cosa vogliamo aspettarci? […] Servono meno fiere e propaganda […] Meno sagre della salsiccia?» (pp. 53-54 del volume).
Proprio questo genere di affermazioni di “buon senso” – apparati discorsivi solidissimi benché parziali, che antepongono il giudizio ai fatti, e che si distinguono spesso per proiettare la colpa sulle vittime – costituiscono un repertorio discorsivo ormai naturale e consolidato, utile ai fini della deresponsabilizzazione istituzionale così come a quelli di una narrazione consolatoria. Una ricostruzione degli eventi, insomma, che glissa sui tagli pubblici alla sicurezza dei territori (magari per riversarli sulle insicurezze “percepite”, in settori, come quello del contrasto al crimine, che vede da decenni una tendenza negativa ed è ormai un falso problema)3 e che, contemporaneamente, riduce l’angoscia collettiva suggerendo che, in fondo, il disastro è stato meritato.
Se la destrutturazione è in generale un compito non facile, perché critico e volto allo sradicamento di strutture di senso e interpretazione a cui non sono estranei gli stessi ricercatori, quest’opera diviene ancora più ardua se si considera che Smottamenti è non soltanto un’analisi antropologica, ma un’auto-etnografia. Un lavoro, cioè, che parte dall’esperienza, dal dolore e dal ruolo interpretato dal narratore nella vicenda posta al centro della sua stessa analisi. Irene Falconieri, infatti, è una sopravvissuta al disastro (una “miracolata”, nelle parole dei locali), trascinata dal fango ed emersa da esso per caparbio attaccamento alla vita. Tutto questo rende ancora più complessa e affascinante l’analisi; che, per inciso, nel caso in oggetto va ben oltre il semplice testimonio4. Qui, infatti, attraverso un delicatissimo bilanciamento tra esperienze personali e familiari, l’appartenenza al contesto e la conoscenza di prima mano delle relazioni, della storia e delle culture locali si rivelano uno straordinario mezzo per fornire un ritratto intimo della vicenda e delle comunità coinvolte.
Contrariamente alla credenza di origine weberiana trasmessa nelle scuole di scienze sociali, incentrata sulla nozione di distanza dall’oggetto, la prossimità appare qui come un posizionamento ideale ai fini di quella destrutturazione del senso a cui si è fatto riferimento poco prima. Ma esso è anche un modo di andare oltre la normale antropologia del disastro, realizzando invece uno studio autenticamente “di comunità”, la cui profondità è data da questo continuo sovrapporsi di fonti, testimonianze di terzi, discorsi pubblici e appartenenza dell’autrice. Infatti, se nella ricerca qualitativa le parole dei testimoni sono in fondo sempre sibilline e necessitano del lavoro ermeneutico ed esegetico dell’interprete, nel caso di Smottamenti questa normale opera di mediazione appare quasi assente: la voce dell’autrice e quella della comunità procedono all’unisono. Il che, però, non dovrebbe fare pensare a una volontà apologetica nei confronti della comunità, dacché la (auto-)critica non manca e il ritratto di quest’ultima è tutt’altro che agiografico. Qualcosa che appare chiaro soprattutto nelle vaste parti dedicate ai processi reattivi, alle politiche “dal basso” e alle “politiche personali” (gli aspetti della “resilienza”, direbbero molti; ma è questo un vocabolo bandito dal mio dizionario). È solo che la qualità dell’analisi è in questo libro qualitativamente diversa rispetto alla norma, e lo si nota.
In apertura alla recensione si notava inoltre come il disastro sia per lo più un “crocevia” in cui convergono dimensioni economiche, politiche urbanistiche, etc. Ciò appare senz’altro confermato nel presente volume, che, difatti, si confronta ampiamente con tutte queste tematiche; ma anche con vicende come il tradizionale carnevale di Scaletta Zanclea oppure con il processo penale che segue l’alluvione. Tale notazione serve a richiamare un ulteriore carattere dello studio: la sua natura antropologica “a tutto tondo”. Cioè di indagine, oltre che intorno a un evento calamitoso, relativa tanto ad aspetti tradizionali dell’indagine antropologica o folklorica (per l’appunto, il Carnevale, sia pure nelle sue risignificazioni post-disastro) quanto a spazi di osservazione parzialmente nuovi nel contesto antropologico italiano come i tribunali, osservati nel loro rapporto con la scienza.
In conclusione, Smottamenti appare come un libro maturo e anche pressoché unico dal punto di vista metodologico, in ragione del posizionamento biografico dell’autrice rispetto alla vicenda discussa (per quanto nella letteratura internazionale non manchino degli importanti precedenti). Tuttavia ciò che preme sottolineare è che il merito di questo volume sta nella sua complessità e nella sua capacità di andare oltre un evento particolare per scandagliare una serie di dimensioni che esulano dal contesto della “disastrologia” e che risulteranno di interesse per studiosi della questione meridionale, del sistema giuridico o della metodologia della ricerca.
Note
- Esaustive panoramiche su questi nuovi studi sono presenti in: Alfreda Mela, Silvia Mugnano, Davide Olori (a cura di) Territori vulnerabili. Verso una nuova sociologia dei disastri italiani, Milano, Franco Angeli, 2017; Pietro Saitta (a cura di) Fukushima, Concordia e altre macerie, Firenze, Editpress, 2015; Mara Benadusi (a cura di), “Antropologia dei disastri. Ricerca, Attivismo, Applicazione”, numero monografico di Antropologia Pubblica, n.1, 2015
- Si vedano per esempio i molteplici contributi a blog, riviste e pagine Facebook di studiosi e autori sospesi tra ricerca e narrazione come Fabio Carnelli, Giovanni Gugg, Giuseppe Forino o Alberto Prunetti
- Sul problema delle “sicurezze ignorate” e dei loro contraltari – per esempio le “inutili” politiche di contrasto del crimine o delle migrazioni – si veda: Salvatore Palidda (a cura di) Governance of Security and Ignored Insecurities in Contemporary Europe, Oxon-New York, Routledge.
- Per una sintetica definizione del termine si veda qui