Sempre meno indipendente. Il cinema italiano alla prova della Riforma Franceschini

Da gennaio 2017 entrerà in vigore la nuova legge sul cinema, di cui dallo scorso dicembre raccontiamo aspetti propositivi e criticità.

L’azione di riforma del Ministero fa discutere soprattutto i lavoratori dell’arte, che la scorsa settimana hanno organizzato due giornate di denuncia: una riuscita manifestazione e un convegno intitolato non a caso La storia dell’arte e la riforma Franceschini: ragioni di un conflitto. Secondo gli organizzatori, anche Franceschini è colpito dall’“annuncite” di Renzi e non ha ancora garantito il cambiamento promesso rispetto ai suoi predecessori.

Come abbiamo già visto anche nelle associazioni di cinema l’impressione comune è che il precariato non sparirà certo con le imminenti disposizioni. Da aprile, il Disegno di legge su cinema e audiovisivi collegato alla manovra di bilancio è al vaglio dei deputati con sei direttrici: un nuovo Fondo, il ruolo di tv e internet, i crediti d’imposta e i contributi (selettivi non oltre il 15%, e automatici), le sale, il riordino normativo, il Codice dello spettacolo (per lo spettacolo dal vivo). Le associazioni di categoria hanno concentrato le proprie critiche sulla distribuzione dei diversi contributi e sul futuro delle sale.

Per quanto riguarda ciò che succede in Rai, Mediaset, Sky, Netflix, Chili, tutti attenti a non farsi scappare le opportunità che la legge riserverà loro, pubblicheremo presto un contributo in proposito. Della Rai si occuperà anche il Ministero dello Sviluppo Economico, passato a Carlo Calenda (ex Confindustria e Sky, nipote di Luigi Comencini) dopo le dimissioni forzate di Federica Guidi.

Un altro aspetto che va approfondito è legato ai diritti degli artisti, perché grazie ai documenti presentati da Artisti 7607 e Itsright, l’Antitrust ha avviato un’istruttoria sulle «presunte condotte anticoncorrenziali di NuovoImaie» e gli «accordi con importanti utilizzatori italiani delle opere audiovisive (ad esempio Sky e Fox), con l’effetto di privare i concorrenti della possibilità di stipulare analoghi contratti».

Decideranno tutto i grandi imprenditori e le tv?

Per quanto riguarda i crediti d’imposta, spacciati per strumento con cui sempre più imprese riuscirebbero a finanziare il cinema, l’Anac – Associazione Nazionale Autori Cinematografici scrive:

le imprese il cui fatturato annuo sia inferiore a 8/10 milioni (vale a dire la maggior parte di quelle che non producono commedie) non riusciranno mai ad utilizzare l’opportunità offerta loro dalla norma che vuole elevare al 30% il tax credit interno, perché non avranno abbastanza imposte da compensare. Quindi il suddetto credito d’imposta sarà ad esclusivo beneficio dei grossi gruppi imprenditoriali con fatturati di 40/50 milioni annui che lo utilizzeranno per continuare a produrre film e televisione commerciali, erodendo in pochi gruppi (6/7) gran parte dell’intero plafond. Un’altra conseguenza dell’impostazione data da Franceschini è che il tax credit esterno sarà utilizzato pochissimo dalle grandi società: infatti, potendo scegliere tra questo tipo di tax credit e quello interno, non avranno dubbi ad utilizzare il secondo proprio in quanto assegnato con assoluto automatismo, senza l’obbligo di confrontarsi con l’investitore esterno sulla sceneggiatura, sul cast e sul piano di distribuzione e non avendo problemi di accesso alla “finanza”, come le piccole e medie imprese […] Sarebbe stato invece auspicabile introdurre un tax credit interno in favore dei produttori per le attività di sviluppo editoriale nella misura minima del 30/40% al fine di consentire ai produttori stessi di mantenere i diritti sulle opere evitando la pratica dell’attivazione che ha come risultato la spoliazione dei suddetti diritti da parte delle reti televisive. I crediti d’imposta, secondo 100autori, vanno implementati «affinché i benefici non siano a totale appannaggio dei broadcaster ma piuttosto a favore dei produttori indipendenti, esistenti e nuovi entranti». Riguardo ai contributi automatici, va chiarito il “peso” da attribuire ai risultati artistici (premi, partecipazione ai festival etc.) e andranno studiati parametri oggettivi di rilevazione dell’eventuale successo di un’opera, non solo dal punto di vista economico. Va individuato un meccanismo che garantisca la possibilità anche per i nuovi soggetti produttivi di accedere ai contributi meccanici allo sviluppo. 

Una legge per ricchi? La bufala delle imprese che si tufferebbero nel cinema

I contributi selettivi [qui per leggere come sono normati ora, e qui per leggere la proposta di cambiamento] non potranno superare il 15% degli importi erogati con il nuovo Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo: «Sono altresì abolite le commissioni ministeriali che avevano il compito di stabilire la misura dei contributi riconosciuti alle imprese».

Le associazioni (in particolare Anac) hanno spiegato in più occasioni come questa rischi di rimanere una legge che favorisce i più ricchi. Secondo Anac «un’equa ripartizione del sostegno automatico e del sostegno selettivo deve essere al 50%». Limitare al 15% i contributi selettivi del futuro Fondo significa «sostenere quasi esclusivamente il cinema e la televisione commerciale, confinando la produzione indipendente e il cinema d’autore in una riserva indiana tra le opere prime e seconde e i registi under 35». Anac è precisa nello spiegare perché questa possibilità ucciderebbe il cinema indipendente:

è il segno inequivocabile che la nuova proposta favorisca soltanto una parte del settore. Questo 15% oltretutto è il limite massimo, nel senso che il ministro di turno ha facoltà di ridurlo quanto vuole, fino ad annullarlo. Queste risorse (al max 60 milioni) sono divise tra produzione (anche di opere prime seconde e under 35), distribuzione ed esercizio. Il che significa che alla produzione del cinema cosiddetto “difficile”, quello che i francesi chiamano “audace” perché sfida le regole commerciali del mercato, andranno se va bene le stesse risorse previste dalle norme vigenti […] Il risultato sarà, alla fine, quello di portare il settore ad atrofizzarsi, riducendo al minimo le possibilità di ricambio artistico e produttivo. La storia del cinema (in particolare del cinema europeo) dimostra che, nella maggior parte dei casi, il rinnovamento degli stili, dei temi e dei linguaggi, è sempre arrivato a partire dalle piccole realtà che hanno creduto nei talenti al di là dei loro risultati commerciali.

Sulla necessità di indipendenza dei creativi era intervenuta anche l’Anart (Associazione Nazionale Autori RadioTelevisivi e Teatrali) nel corso dell’audizione in Senato. Congratulandosi per il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, film autoprodotto, l’ANAC ha inoltre spiegato perché il cosiddetto aiuto di stato può essere illegale secondo la normativa europea: il sostegno selettivo serve infatti, ad incoraggiare «la diversità nella creazione e a favorire la produzione indipendente […] tenendo conto della sceneggiatura» e la legge così com’è ora abbozzata non valuta l’interesse culturale «già eliminato per il credito d’imposta con l’ultima legge di stabilità. Un eccessivo sbilanciamento dei finanziamenti automatici alle imprese potrebbe oltretutto apparire come una forma di “aiuto di Stato” con la conseguente bocciatura della legge da parte della Unione Europea».

A proposito dei contributi selettivi per i produttori 100autori ricorda: «è proprio nella fase di Ricerca & Sviluppo che si registra una delle maggiori debolezze del sistema». Chiede inoltre un «sostegno alla scrittura» ed incentivi per i produttori che a loro volta lo incoraggiano. Quest’attenzione ci deve essere anche per documentari e film d’animazione, creando un bando apposito. Chiede poi che «gli esperti della commissione di selezione vengano scelti dal Ministro attraverso un bando pubblico – come avviene già adesso – che preveda la valutazione di titoli e curriculum e sia aperto anche gli autori». Infine, 1ooautori propone «un compenso per i commissari oppure, in alternativa, stabilire che vengano individuati non 5 ma 15 esperti suddivisi in 3 commissioni, che si alterneranno in turn over» e di definire «le modalità di funzionamento della Commissione, stabilendo regole chiare, trasparenti e condivise».

Asifa, l’Associazione autori di cinema d’animazione, condivide. Anche per l’Aamod (Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico) c’è il rischio che i contributi automatici, che finora provenivano solo dal Fus, d’ora in poi «consolidino le posizioni dominanti del mercato, premiando appunto i film che hanno la possibilità di uscire nelle sale con un numero talvolta esorbitante di copie o andare in prima serata televisiva». Sempre l’Aamod chiede «uno specifico finanziamento destinato ai progetti di raccolta, conservazione, restauro e valorizzazione dei patrimoni filmici e un ruolo di coordinamento del Centro in materia». In merito al cambiamento che il cinema italiano deve darsi, l’Anac ha poi proposto un emendamento per la promozione, la produzione e la distribuzione della cinematografia delle donne.

Nuove sale, ma perché? E di che tipo?

Il quarto punto concerne la creazione di nuove sale cinematografiche, e del potenziamento di alcune già esistenti. Ma come ha spiegato Roberto Roversi di Ucca nell’intervista che gli abbiamo rivolto e poi di nuovo al Meeting del Cinema Indipendente di Matera, aprire nuove sale dopo che molte hanno chiuso significa non averle valorizzate a tempo debito, e significa riempire le nuove di contenuti che non corrispondono a quella richiesta di rieducazione all’immagine che Ucca e altre associazioni promuovono.

La rassegna “Schermi di qualità”, ad esempio, dall’anno prossimo non ci sarà più. La bozza di legge afferma che è «necessario favorire le multisale, anche piccole, come richiesto dagli esercenti, per un profilo di sostenibilità economica».

Da tempo gli esercenti Agis, Anec e Anem chiedono che sia abolita l’Imu sulle sale in quanto insostenibile, cosa che si potrebbe fare subito con un apposito decreto. Per Luigi Cuciniello, presidente di Anec,  sono «assolutamente insufficienti» i fondi a disposizione. Persino il presidente dell’Associazione esercenti multiplex (ANEM), luoghi in cui le cose vanno meglio, ha detto che l’annuncio dei 400 milioni vantati dal Ministro è positivo ma è importante capire come potranno essere impiegati. Oltre a prevedere la demolizione di alcune sale, la bozza di legge non aveva mai nominato le sale d’essai, ossia il cinema di qualità, facendo così insorgere Anec, e SNCCI. La pressione inferta dalle associazioni pare, almeno su questo passaggio, aver funzionato: un emendamento sul cinema d’essai è stato presentato pochi giorni fa dalla senatrice Di Giorgi, prima firmataria del Ddl da cui muove la legge e che in una prima stesura l’aveva escluso.

Sugli altri macro-temi annunciati torneremo presto dopo la pubblicazione degli emendamenti con approfondimenti e interviste.

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