Paesaggi intermediali della memoria

Visages, villages: sguardi, fotografie e luoghi della memoria.

Molti interventi di arte urbana spingono ad interrogarci da un lato sul ruolo delle immagini nello spazio urbano e sociale, dall’altro sulle trasformazioni dei progetti artistici in testi ulteriori (video, documentari, mostre, cataloghi) e sulla migrazione all’interno di differenti cornici mediali. JR è stato uno degli artisti che negli anni è riuscito a costruire interessanti forme di storytelling facendo leva proprio su un’azione intermediale capace di riconvertire e ripensare i progetti fotografici urbani in narrazioni stratificate su più media.

L’artista francese a partire dal 2004 ha girato il mondo immortalando il disagio urbano, la marginalità, i conflitti e li ha narrati attraverso delle gigantografie affisse sui muri delle stesse città che li hanno generati. Dalle periferie di Parigi, passando per Israele e i Territori Palestinesi, Jr si è spinto in Kenya, Brasile, Liberia, India, Cambogia, Sierra Leone, Cuba lavorando a stretto contatto con le persone del luogo e costruendo di volta in volta azioni temporanee che hanno avuto un forte impatto mediatico. Armato della sua macchina fotografica ha realizzato ritratti fotografici che successivamente ha stampato in formato gigante e affisso sui muri, tetti, ponti, replicando e riadattando il format a paesi, contesti e persone diverse e costruendo un itinerario fatto di sguardi.

Dal 2009 con il progetto Unframed l’artista fa anche un lavoro di ricerca sulle immagini  fotografiche ricorrendo agli archivi o ancora attingendo agli album fotografici privati dei luoghi in cui si trova ad operare. Come un bricoleur compie un lavoro di remix e montaggio delle fotografie, ne preleva dei frammenti, le ritaglia, le ingrandisce fino a ricoprire intere facciate e le posiziona in maniera sempre differente in spazi emblematici. Le immagini che Jr utilizza sono interrogate non semplicemente per riattivare la memoria di eventi e luoghi ma per innescare meccanismi comparativi utili al rinvenimento di connessioni inedite.

A Marsiglia lavora all’interno dell’ex quartiere operaio Belle De Mai; a Ellis Island, punto di passaggio obbligatorio per gli oltre dodici milioni di migranti che tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento hanno tentato di raggiungere gli Stati Uniti, è intervenuto nell’area abbandonata che in passato fungeva da ospedale. Per ognuno di questi progetti realizza ulteriori testi che arricchiscono la narrazione, nel caso di Ellis Island chiama Robert De Niro a interpretare un cortometraggio e Art Spiegelman a disegnare alcune tavole per il libro che documenta l’azione artistica.

Il documentario Visages, villages realizzato insieme alla regista Agnès Varda, tra le principali esponenti della Nouvelle Vague, è un racconto affascinante che narra l’incontro  e la relazione che si innesca tra due creativi di generazioni differenti. A bordo di un furgone i due protagonisti compiono un viaggio tra i paesi della Francia, in uno scenario in cui si alternano schiere di case disabitate, piccoli borghi, in cui è forte il senso della comunità, o ancora paesaggi rurali. JR e Agnès Varda interrogano gli spazi che attraversano, li osservano e ne raccontano le storie partendo proprio da chi quei luoghi li attraversa e li vive quotidianamente. Dalla relazione tra luoghi e abitanti nascono le affissioni fotografiche, gli interventi monumentali ed effimeri che trasformano temporaneamente le superfici giocando con la poetica del quotidiano e il recupero della memoria.

Il documentario restituisce il processo che porta alla realizzazione degli interventi, gli incontri e le relazioni che si determinano con i soggetti delle fotografie, le storie che si nascondono dietro ai volti. JR sin dai suoi primi lavori ha posto sempre l’attenzione su questo aspetto. Dare un nome ai volti vuol dire assumere una posizione critica contro quel tipo di rappresentazioni che pur usando i volti ne annullano la soggettività in favore di una lettura che insiste sull’appartenenza etnica o sull’espressione di una condizione di disagio. Sontag scrive a questo proposito:

Un ritratto che rifiuta di fare il nome del proprio soggetto diventa complice, sia pure inavvertitamente, di quel culto della celebrità che ha alimentato un’insaziabile fame di fotografie di genere opposto: concedere il nome solo a chi è famoso equivale, infatti, a ridurre tutti gli altri a esempi rappresentativi di un’etnica, di un’occupazione o di una condizione di disagio». 1

A Bruay-la-Buissière si racconta la storia di Jeannine, ultima abitante di un paese di minatori, e si rende omaggio alla memoria di questo luogo attraverso il recupero di immagini d’archivio che ritraggono gli ex abitanti-lavoratori. JR rovista nelle potenzialità semiotiche che gli spazi racchiudono cercando di aprire nuove letture in grado di riportare a galla racconti che sembrano essersi inabissati e usurati con il tempo. L’incontro tra la superfici dei muri e l’immagine d’archivio costruisce un terzo oggetto, un luogo-immagine in grado di evocare forme di immaginazione e di memoria all’incrocio tra testimonianza storica e riattivazione estetica.

Il viaggio di JR e Agnès Varda tocca poi Pirou-Plage, un’area completamente abbandonata sul mare dove a fare da sfondo ci sono gli scheletri di 120 abitazioni mai terminate divenute con il tempo supporto ideale per i graffiti. Quello che doveva essere un resort con hotel, piscine e ristoranti di lusso si è trasformato in un desolante villaggio fantasma. Con le sue azioni JR guarda così alle città e ai fatti urbani e si sofferma sulle fratture sociali, sul recupero della memoria dei luoghi e sulle politiche abitative.

Il documentario prosegue alternando storie di spazi e di persone, come quella di Pony, artista outsider, o ancora del postino che all’interno di un piccolo paese riveste un importante ruolo sociale. I volti delle persone incontrate diventano gigantografie, tributi e Jr e Agnès Varda, ripresi di spalle, commentano a intervalli regolari il loro viaggio, ritagliandosi questo spazio di elaborazione e riflessione. La relazione tra JR e Agnès Varda si fa sempre più intensa e i ricordi della regista belga non smettono di farsi vivi lungo tutto il film e spesso proprio i luoghi attraversati sono il pretesto per raccontare aneddoti, per frugare tra vecchie foto e far riemergere storie e incontri. In uno dei momenti più delicati del documentario si mostra l’installazione di una vecchia foto scattata dalla stessa Agnès Varda al fotografo Guy Bourdin nel 1954. La collocazione della fotografia catalizza l’attenzione dello spettatore sulla relazione contestuale che si attiva, sul rapporto tra immagine e paesaggio e restituisce nuova vita a un ricordo. L’opera verrà cancellata in una sola notte dalle onde del mare ma l’immagine continuerà in qualche modo a sopravvivere.

In questo road movie i muri, le superfici si trasformano in diari e album, accolgono e allo stesso tempo veicolano sguardi e storie, si fanno metafore della memoria ma non conservano nulla di definitivo. Il documentario testimonia quest’incredibile esperienza, questo viaggio che diventa anche una riflessione sulle trasmigrazioni mediali dell’immagine e sul dialogo tra spazi, memoria e media.

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Note

  1. S. Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003, p. 77.
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