The Whale Theory: Goliath

Un assaggio di The Whale Theory, dell’artista Claudia Losi: Goliath, di Jean Rezzonico.

Claudia Losi The Whale Theory Jean Rezzonico Goliath
Una tappa del viaggio della balena Goliath, 1959-1977. Courtesy Jean Rezzonico Collection.

Per l’artista Claudia Losi, a un certo punto la balena divenne un’ossessione. La balena che «elude cacciatori e filosofi». E anche romanzieri. Da quel momento, nacque il Balena Project, che si è declinato in molteplici forme e azioni, a partire da una balenottera comune ricostruita a grandezza naturale in tessuto di lana grigia e portata in molti luoghi d’Europa e altrove. The Whale Theory. Un immaginario animale, pubblicato da Johan & Levi, è la tappa finale di questo viaggio, una tappa in forma di libro, fra foto dagli eventi che hanno costellato il Balena Project, riflessioni di Claudia Losi e testi di autori e autrici che, ognuno a suo modo, condividono quella stessa ossessione per la balena. Fra loro, c’è Jean Rezzonico, e proponiamo qui di seguito un estratto dal suo contributo a The Whale Theory: Goliath, il racconto dei giri per l’Europa e dintorni, fra il 1959 e il 1977, di una gigantesca balena impagliata (tornano alla memoria il romanzo Melancolia della resistenza di László Krasznahorkai e il film che ne ha tratto Béla Tarr, Le armonie di Werckmeister). Claudia Losi scrive: «Tutto quello che leggerete e vedrete in questo libro è un racconto durato vent’anni. Un arcipelago che si compone di isole, stretti e componenti in movimento, come le correnti che lo attraversano, dai tempi e dalle voci differenti. È la mia Balena. Un animale che è vissuto grazie all’aiuto di molte persone e tante comunità temporanee». Comunità temporanee di cui – ci permettiamo di aggiungere – fanno parte anche i lettori e le lettrici di questo bel libro.

Sudava grasso, sotto la coda 

Goliath, quella balena gigantesca, era parte della famiglia: l’abbiamo portata in giro ogni giorno, dalla Finlandia fino alla Turchia, dal 1959 al 1977, e ogni giorno andavo a vedere se stava bene. Era un bel rapporto il nostro, anche se puzzava ogni tanto… bisognava farci non la mano, ma il naso. Sudava grasso, più che altro in fondo, sotto la coda: era così larga, la coda, che dovevamo aprirla con dei ganci e poi ripiegarla per poterla spostare e metterci in moto. All’interno ci mettevamo i manifesti, un po’ di cose, ci faceva da magazzino.

Alla balena bisognava organizzare il viaggio, certo, ma almeno non c’era da prepararle il pranzo: da tempo non mangiava più, dormiva tranquilla e non disturbava. Pianificare la tournée era un lavoro organizzativo mastodontico: l’albergo, la siae, l’enel, la stradale, i permessi per le autostrade, era una cosa allucinante e all’inizio non si poteva far conto sui telefoni. Cercavamo di pianificare gli spostamenti in modo da fermarci ogni giorno in una città: arrivavamo la mattina, si montava tutto, mostra tutto il giorno, la sera verso le sette smontavamo e poi si viaggiava. Ma nelle città grandi, come Roma, ci siamo fermati anche per dei mesi.

Balena, bilico e trattore   

Goliath era stata venduta a un poraccio pieno di soldi di Grindelwald, una stazione sciistica della Svizzera: hanno rifilato questa balena a questo tizio per la modica somma di trecentomila franchi svizzeri. Ma si trattava di una truffa: lui pensava di aver comprato tutto, la balena, il bilico e il trattore. Invece quando siamo arrivati in Finlandia a prenderla in consegna ci siamo resi conto che l’autista chiedeva ogni giorno un compenso per il noleggio del camion, un trattore americano degli anni quaranta. E anche il bilico non era compreso nei trecentomila: abbiamo dovuto comprare anche quello. Ma la truffa non era finita: questi zurighesi avevano due balene! Quando abbiamo cominciato a chiedere i permessi per avere le piazze, ci siamo resi conto che c’era un’altra balena in mostra, l’avevano chiamata Jonas. Ovviamente non si possono presentare due balene nello stesso posto, nello stesso periodo, così siamo rientrati in Svizzera. Era il 1959. Da lì, attraversando il tunnel del Gottardo in treno, siamo andati in Francia ma ci siamo resi conto che in Europa non era rimasto nessun paese da girare. Abbiamo deciso di spostarci a est, ed è stata una mossa vincente.

Oltre la cortina

Nessuno aveva pensato di poter andare nei paesi oltre cortina: noi siamo stati in Ungheria, Bulgaria, Polonia – dove ho trovato mia moglie, Krystyna –, in Romania fino alla ddre siamo poi usciti dalla zona della cortina di ferro per andare in Turchia, un disastro economico. Ma prima era stato davvero un grande affare: facevamo in media diecimila entrate al giorno, anche se il prezzo era contenuto – cinquanta lire per i bambini e cento per gli adulti – diecimila volte poco fa tanto.

A Budapest la coda per entrare durava più di tre ore, anche sotto la neve, era inizio gennaio. La gente veniva e aspettava, tranquilla, non c’era nemmeno bisogno del barone che stava all’ingresso e invitava i passanti a entrare. Era una mostra che veniva dall’Ovest, e questo era un motivo sufficiente: tutti accorrevano per vedere ciò che arrivava dall’Ovest e poi restavano sempre soddisfatti di aver visto questo essere sconosciuto ed eccezionale. Non avevamo bisogno di contrabbandare niente, avevamo molte facilitazioni in quei paesi e tutti i regolari permessi. In particolare nella ddracquistavamo antichità con tutte le autorizzazioni, molta porcellana pregiata, la porcellana di Meissen, per rivenderla a Berlino Ovest legalmente: non dovevamo rischiare di andare in galera, perché là la galera era dura, ed erano almeno dieci anni.

A Debrecen, in Ungheria sul confine rumeno, un doganiere doveva aver letto qualche giallo di troppo: si era messo in testa che trafficavamo spie per conto della cia, nascoste nella balena. Ci abbiamo messo un giorno intero per passare il confine: hanno smontato tutto, le gomme, i serbatoi della nafta, tutti i cassoni… Hanno tirato fuori tutto, tutto, tutto mentre ci tenevano d’occhio con il mitra spianato. Sono entrati nella balena cercando quello che volevano trovare ma che non c’era, sicuramente non avremmo nascosto qualcosa lì, visto che chiunque pensa che ci sia nascosto qualcosa nella pancia della balena: non c’è mai stato né Giona né nessun altro.

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