Recensione al “Il viaggio rivoluzionario dell’eroe” (Mimesis) del collettivo Antongiulio Penequo.
Tutti a casa (Comencini, 1960)
Il concetto di “eroe”, soprattutto in tempi recenti, è stato caricato di una vuota retorica nazionalista in relazione alla diffusa “eroicizzazione” mediatica di medici e infermieri in tempi di Covid, come se rappresentassero qualcosa di diverso, nell’immaginario collettivo, da una categoria di lavoratori come tanti, con i loro sacrosanti diritti. Del resto, sono stati loro stessi a rifiutare questa roboante etichetta, preferendo di gran lunga considerarsi professionisti e lavoratori che svolgono il loro compito in condizioni di disagio e precarietà. Come i medici e gli infermieri, anche i poliziotti e i militari sono stati considerati eroi: questo termine appare quindi profondamente intriso anche di connotazioni belliche e patriarcali.
È necessario perciò liberarlo da una sedimentazione di retorica esclusivamente fine a se stessa, togliergli la sua maschera stereotipata dal discorso dominante e domandarsi se sia possibile immaginare un eroe che, anziché tornare al punto di partenza, continui inesorabilmente il suo viaggio per tentare di cambiare le sorti del mondo e dell’umanità. Si tratterebbe, in fin dei conti, di un vero e proprio eroe rivoluzionario e antagonista. Ed è quello che si propone di fare, attingendo all’immaginario letterario e cinematografico, il recente volume miscellaneo a cura del collettivo Antongiulio Penequo, Il viaggio rivoluzionario dell’eroe. Narrare, conoscere, ribellarsi, uscito per Mimesis. Il collettivo è costituito dagli stessi autori dei saggi, Luca Cangianti, Maurizio Marrone, Fabio Ciabatti, Gabriele Guerra, Mazzino Montinari. A chiudere il volume è una interessante postfazione firmata da Gioacchino Toni dal titolo L’eroe dell’immaginario antagonista.
Luca Cangianti, nel saggio che apre il volume, Cambiare il mondo con un bacio. Narrazione, conoscenza, rivoluzione, prende le mosse dal saggio dello storico delle religioni Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, secondo il quale, nelle culture umane, è presente il mito di un eroe che compie la sua impresa secondo il seguente schema: «L’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno meraviglioso e soprannaturale (x); qui incontra forze favolose e riporta una decisiva vittoria (y); l’eroe fa ritorno dalla sua misteriosa avventura dotato del potere di diffondere la felicità fra gli uomini (z)». Secondo questo schema – continua Cangianti – è costruito il protagonista del romanzo di Valerio Evangelisti, 1849. I guerrieri della libertà, Folco Verardi, fornaio ravennate che giunge nella Roma papalina al seguito delle milizie che combattono per l’unità e l’indipendenza italiana. Ma il personaggio di Folco assume anche le caratteristiche dell’eroe contemporaneo che nel corso degli eventi evolve interiormente, secondo il processo descritto da Christopher Vogler nel Viaggio dell’eroe, «un manuale di sceneggiatura che riprende l’impostazione di Campbell mettendola al servizio dell’industria hollywoodiana». Avvalendosi di un altro esempio tratto dall’immaginario cinematografico, Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini, l’autore nota che l’eroe, in questi casi, grazie a un punto di rottura, un midpoint, riesce a vedere ciò che fino a quel momento non ha visto. E non è un caso che l’eroe compia un vero e proprio viaggio: Cangianti, infatti, rileva l’importanza della metafora del viaggio nel progressivo processo di maturazione di questa figura. Del resto, come nota Gianni Celati in Finzioni occidentali, è proprio il romanzo il genere borghese che, fin dai suoi moderni esordi settecenteschi, assume il valore di una vera e propria rappresentazione simbolica del “fuori” nella società occidentale, della trasgressione, del viaggio verso nuove e sconosciute popolazioni.
Maurizio Marrone, nel suo saggio dal titolo La decisione dell’eroe. Apocalisse, zombie e clown. Tre variazioni, analizza dapprima due romanzi di Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi e La strada. Se nel primo l’eroe (lo sceriffo, incapace di fermare lo spietato Anton Chigurh), «abdica al proprio ruolo e si trasforma nel narratore delle sue stesse gesta fallimentari», in un contesto in cui la narrazione prevale sull’azione, nel secondo, invece, è l’azione a prevalere sulla narrazione, all’interno di un mondo apocalittico che appare come la conseguenza delle mortali devastazioni apportate da Chigurh, spietata e terribile macchina omicida. La seconda variazione evocata dal titolo è costituita da “zombie e migranti”: Marrone prende le mosse dallo zombie novel del 2014 The Girl with All the Gifts (La ragazza che sapeva troppo) di M.R. Carey, rilevando come la protagonista Melanie, una giovane living dead di seconda generazione, insieme ad altri ragazzini che fungono da cavie per le ricerche di una scienziata su un vaccino dal quale dipende il futuro dell’umanità, compia un processo di emancipazione essendo in grado di fondare una comunità. Melanie e gli altri ragazzini si emancipano perciò dalla connotazione di massa indistinta per mezzo della quale vengono identificati gli zombie, un onkos, una “massa tumorale” che si muove meccanicamente. La terza variazione è dedicata al protagonista di Joker (2019) di Todd Phillips: «egli non riesce a diventare un eroe positivo che guida gli oppressi al rovesciamento del sistema innanzitutto perché non si percepisce come tale: viene a mancare un accordo tra coscienza di sé e conoscenza dell’altro e del mondo».

Fabio Ciabatti, nel saggio dal titolo L’eroe smascherato eppure rivendicato. Dal mito all’utopia passando per Hollywood, il romanzo e la cultura popolare, articola un intervento in tre tappe: la decostruzione della figura dell’eroe moderno, immagine trasfigurata dell’individuo borghese; la ricerca di un altro eroe possibile, facendo riferimento alla cultura popolare; la possibilità di rivendicare la figura dell’eroe a «un immaginario antagonista allo stato di cose presenti». L’analisi prende corpo dal chiedersi perché le narrazioni contemporanee assumono come modello gli eroi antichi. L’eroe borghese moderno (compreso quello del Bildungsroman) costruito in opposizione a quello antico, nel corso delle sue avventure finisce per essere sconfitto o per perdersi: occorre quindi un vero e proprio processo di sovrapposizione con la figura dell’eroe antico. Solo così si può creare un eroe flessibile, derivato, appunto, dalla sovrapposizione del viaggio di iniziazione (tipico dell’epos) con quello interiore. L’analisi di Ciabatti si concentra, in modo suggestivo, anche sull’eroe carnevalesco sorto dalla cultura popolare, per cui il più significativo punto di riferimento è da intravedere negli studi di Michail Bachtin, il principale teorico del carnevalesco in letteratura. Il mondo carnevalesco è incompiuto e aperto, in contrapposizione a quello dell’epica, rigidamente strutturato. Possiamo incontrare allora la suggestiva figura dell’eroe bandito (sul modello di Robin Hood), al quale si ricollegano le rappresentazioni dei briganti e dei rivoluzionari (come in PSCP, Piccola contro storia popolare di Alberto Prunetti). Allora, il concetto tradizionale dell’eroe, imbalsamato nei suoi paradigmi autoritari e patriarcali, ne uscirebbe completamente stravolto in senso veramente rivoluzionario.
Sulla figura di eroe-narratore si concentra invece l’analisi di Gabriele Guerra, nel suo saggio L’eroe e i suoi mondi. Narrazione, verità, comunità. Muovendo dai personaggi di Sam e Frodo nella trilogia di Tolkien Il signore degli Anelli, l’autore prende in esame quei casi in cui il narratore è allo stesso tempo l’attore della storia. Infatti, «Sam e Frodo sono eroi proprio perché si incaricano di narrare le gesta che gli capita di vivere». È attraverso il racconto – come aveva ribadito anche Walter Benjamin – che l’esperienza del narratore si trasforma anche nell’esperienza di coloro che ascoltano la sua storia. L’eroismo del narratore consiste quindi nell’offrire un inedito spazio comunitario. Come sostiene Guerra, «l’eroe cioè non è il protagonista di un itinerario scandito da una serie di stazioni che lo porteranno alla fine al punto di partenza profondamente cambiato rispetto all’inizio, ma il soggetto consapevole della sua posizione ambivalente di attore-narratore-ricettore che, proprio in forza di tale consapevolezza, prende una decisione».
Infine, Mazzino Montinari (L’eroe nelle tenebre. Torri, trincee e replicanti. Addormentarsi in un mondo che non cambia) prende in esame le vicende di John Patrick O’Neill, responsabile della sicurezza del World Trade Center nel momento dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001. O’Neill, ripreso come personaggio dal romanzo The Looming Tower di Lawrence Wright (da cui è stata tratta una serie televisiva nel 2018), anche se sembrerebbe avere tutti i presupposti per incarnare la figura dell’eroe, nella realtà, non pare aver minimamente contemplato la possibilità di un midpoint, un punto di svolta che permetta di cambiare l’ordine delle cose: egli, infatti, probabilmente intende solo proteggere l’esistente. Anche il protagonista di La vita agra di Luciano Bianciardi (romanzo portato sullo schermo da Carlo Lizzani), mossosi per modificare l’esistente (far saltare in aria il “torracchione” della Montedison a Milano, colpevole di una strage in miniera), alla fine, sembra cedere ai ritmi del miracolo economico, abbandonando il suo proposito iniziale.
Per concludere, si potrebbe affermare che, perché un “eroe” sia veramente antagonista, è necessario che oltrepassi quel famigerato midpoint e che si lanci verso un proposito o una meta finale, costi quel che costi. E, forse, suggestionati dagli interessanti spunti offerti dal volume, si potrebbe intravedere un personaggio di questo tipo in due figure: una dell’antichità e una della modernità. Il primo potrebbe essere il Dioniso protagonista delle Baccanti di Euripide, il dio che giunge a Tebe da Oriente, dopo aver percorso un lungo viaggio, e non retrocede di fronte a nulla. Incarcerato dal re Penteo, per vendetta sferrerà il suo attacco contro lo “spazio striato” – per utilizzare un’espressione di Deleuze e Guattari – della città. Il secondo, invece, potrebbe essere il vampiro in Dracula di Bram Stoker: un altro ‘nomade’ che, giunto dallo “spazio liscio” di lontane e perturbanti lande orientali, sferra un attacco fino al proprio auto-annientamento, alla Londra capitalista e cuore economico dell’Occidente. Due “eroi” antagonisti (forse non ‘positivi, ma proprio per questo antagonisti fino in fondo), abitatori dello spazio “liscio”, che portano con sé il proprio bagaglio di immaginario eversivo per minare alle fondamenta una quotidianità che sempre uguale si ripete, intrappolata negli ingranaggi del lavoro e della produzione incessante.
