Riflettere con il virus

Prospettive antiantropocentriste sulla pandemia.

Come cambia il modo di pensare quando si realizza che i fili della matassa del mondo non stanno solo nelle nostre mani? Ha ancora senso, oggi, discutere su come pensare diversamente l’altro, rendendolo strumento per il nostro pensiero, o è più utile iniziare a pensare insieme, producendo e trasmettendo saperi intrecciati che non provengono solo da un’intelligenza considerata quasi esclusivamente prerogativa dell’umano?

In Riflessioni sulla pandemia, il numero di Autaut curato da Alessandro Dal Lago e Massimo Filippi, un aggregato di studiosi e studiose si confronta, con lo sguardo delle prime fasi del periodo pandemico ma la meticolosità di un anno di ragionamenti e valutazioni, sulla relazione che il virus ha necessariamente portato alla ribalta: quella con l’ambiente biologico che ci circonda, ci riempie e prende corpo in noi, rendendoci diversi o forse semplicemente tali, ossia abitati.

Attraverso un approccio filosofico e politico, questo numero speciale di Aut aut, uscito lo scorso marzo, articola diverse riflessioni, narrative e questioni critiche (di carattere dichiaratamente antispecista) emerse a partire dalla pandemia di Covid-19, tema che connette gli interventi dell’intero fascicolo. Tra le numerose considerazioni che nell’ultimo anno e mezzo si sono aperte intorno al virus, alla pandemia e alle sue conseguenze – di ogni natura possibile, questo testo mette a disposizione un ventaglio di prospettive antiantropocentriste. Alcune di carattere filosofico (Cimatti, Filippi, Kulesko, Volpe) e altre di impronta storico-sociologica (Cosmacini, Dal Lago, Fassin, Giordano, Pandolfi), entrambe forniscono una prospettiva inedita che vede il virus Sars-CoV-2 come qualcosa di interrelato e stratificato con il quale necessariamente relazionarcisi, per quanto possa farci o meno piacere. La situazione di emergenza sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo è incerta, precaria, presumibilmente con una fine, ma è anche un evento che, nel contesto della crisi globale climatica ed ecologica, segna il momento tra un prima e un dopo: non sarà più possibile considerare e approcciarsi al soggetto non-umano come una volta, non, perlomeno, senza conseguenze dirompenti sul nostro modo di vivere la vita e anche il pensiero.

Riflessioni sulla pandemia, infatti, evidenzia fin da subito la natura zoonotica della malattia. Il virus, per arrivare all’umano, ha compiuto uno spillover, ossia il passaggio da una specie a un’altra a causa di una vicinanza più-che-biologica (p. 6), radicata nella violenza, tra corporeità diverse.

Abbiamo, in quanto esseri umani, realizzato già da tempo la tangibilità dell’agentività delle soggettività non-umane. Che si tratti di catastrofi naturali, di minacce animali o di nuovi ceppi di epidemie (o, come in questo caso, di pandemie), la loro capacità di agire nel e sul mondo è sempre stata considerata però controllabile, contenibile, relegata alla malignità di una natura matrigna dalla quale sottrarsi, con la quale scontrarsi, ma dalla quale se ne esce sempre vincitori. Come qui si evidenzia, a partire dalla premessa, oggi le problematiche ecologiche e climatiche, economiche e sociali, fanno parte invece del medesimo circuito che è stato aperto. I cambiamenti climatici ed ecologici, causati dall’antropizzazione capitalista dell’umano, determinano, proprio come una reazione a catena, una serie di effetti collaterali sui fattori biologici e sulle relazioni che questi vanno a innescare; ogni cosa appare connessa – e contagiosa – in un sistema formato da una correlazione di eventi che manifestandosi ne permettono altri. Manca (o, meglio, noi umani abbiamo reciso) una connessione di tipo positivo tra le diverse dimensioni biologiche, un equilibrio tra corpi e forze che permetteva la biodiversità che si è estinta.

Come spiega Massimo Filippi, Sars-CoV-2 è a tutti gli effetti quindi, un iperoggetto, qualcosa in grado di esercitare effetti devastanti sul reale, di rimetterlo in discussione. Permette di inserire la storia dell’umano all’interno della vita del pianeta come una delle tante narrazioni possibili, non la più importante né quella che determina le sorti e le origini delle innumerevoli altre. Non stiamo quindi assistendo alla fine del mondo, ma casomai alla fine delle tante narrazioni dell’umano, al mondo “per-noi” (Filippi). Tra queste c’è quella del buono e del cattivo (il virus), della pace e della guerra (al virus), della vita e della morte; Sars-CoV-2, di per sé, non dice invece com’è il mondo, ma che c’è il mondo, e che il mondo è tutto quello che c’è (Cimatti).

Sars-CoV-2 si instaura, a partire dalla sua stessa ontologia, come pura relazionalità senza relati: non esiste se non contagia (Cimatti) ed è reso ciò che è unicamente grazie al moto dell’infezione. Il virus esiste quindi perché agisce, performa sé stesso, si muove nello spazio e abita altri corpi. È una delle critters o creaturine di cui parla Karen Barad in Performatività della natura, figurazioni non tassonomiche che svelano l’indeterminatezza del vivente, molto più invischiato – e determinato – dalle relazioni (di complicità o di conflittualità che siano) di quanto la Scienza dell’essere e degli esseri vorrebbe portare a credere. Sars-CoV-2 è il prototipo di un mondo in cui i confini non stanno fermi e la distinzione fra soggetto e oggetto non è più applicabile (Cimatti), ma in cui tutto è teoria della performatività: agisco dunque esisto, sono vivente nel mondo, o meglio: incontro (spesso mi scontro), dunque sono.

Riflessioni sulla pandemia riesce, in maniera caleidoscopica, a intrecciare queste prospettive lungo la linea di un senso che si sta cercando di comporre. Non trascina il lettore verso un comune interpretare, ma apre strade eterogenee, date dalle molteplici ricerche su ambiti diversi, capaci di infondere uno sguardo transspecista sul mondo, e quindi relazionale oltre i limiti invalicabili tra le specie e le forme di esistenza e resistenza. Uno sguardo incerto, lontano dalla dimensione familiare e quotidiana dell’esser-ci nel mondo, ma capace di apre nuove dimensioni post-traumatiche e più eroiche (Pandolfi), sicuramente più utili ad affrontare la complessità della differenza.

[Immagine tratta da Unsplash]

Print Friendly, PDF & Email
Close