Scioperare quando (quasi) nessuno lavora

La lotta al tempo del virus.

Fonte: Force Ouvrière

Pubblichiamo l’introduzione, nella traduzione italiana, di un numero speciale della rivista K. (Revue trans-européenne de philosophie et art) dedicata alle lotte e scioperi francesi dello scorso inverno. Il fascicolo s’intitola: Grève! (France 2019-2020). Si possono leggere contributi, tra gli altri, di Alain Bertho, Alain Brossat, Ludivine Bantigny, Yves Cohen, Fanny Eouzan, Stéphane Hervé, Maguy Marin, Gianluca Solla.
Naturalmente non è difficile capire che la pubblicazione di un volume del genere in un momento come questo, quando chiunque è sequestrato dal virus, non ha ‘senso’. Almeno sembrano pensarla così, nella loro introduzione, Pierandrea Amato e Luca Salza, i due curatori del volume.

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Avevamo concepito questo volume nel gennaio scorso. Dopo i movimenti francesi contro la Loi Travail e le lotte dei Gilets jaunes, dopo settimane di mobilitazioni contro la riforma delle pensioni, senza precedenti recenti e con una durata stupefacente, dopo uno sciopero generale d’altri tempi (5 dicembre 2019), ci sembrava giusto in qualche modo, tenendo conto delle nostre forze, fare il punto della situazione. Avevamo fretta, un’urgenza teorica, politica, di capire e farci capire. Siamo andati di corsa: un po’ frenetici, disattenti, ma sentivamo l’urgenza del momento. Insomma, raccogliamo le carte, ci siamo detti due mesi fa. Abbiamo anche proposto un questionario ad alcuni dei nostri amici; soprattutto a coloro che negli ultimi mesi si trovavano in “prima linea” (ferrovieri, ad esempio), o a chi già da tempo studiava le cose di cui volevamo parlare.

Adesso, con la polizia, l’esercito a governare le strade d’Europa, a stabilire eccezioni e regole, con il divieto di qualsiasi tipo d’incontro e un desiderio di ordine e guerra che germoglia dappertutto, e un virus invisibile che strangola ogni relazione sociale, favorito nella sua diffusione dall’oramai proverbiale capitolazione della politica di fronte al potere economico e finanziario, il nostro libro ci sembra postumo; invecchiato prima di nascere. Pare un resto di un mondo che non c’è più. Prima ancora di comparire, sembra non resistere a questo mondo governato dal virus.

Quante volte ci siamo chiesti come è stato possibile durante una catastrofe, una guerra, nonostante tutto, andare avanti. Joyce, Kafka, Auerbach e tanti come loro; anonimi come noi due: come hanno fatto? Resistere, proteggersi, lottare e continuare, comunque, a scrivere, pensare, desiderare. Come è stato possibile?
Adesso qui, forse un po’ stoltamente e ingenuamente, ci proviamo, proponendo questo libro postumo. Parla di un mondo che non c’è più. Di manifestazioni, cortei, assemblee, invasioni di spazi pubblici e di spazi privati. Parla di cinema, teatro, pittura, danza, dell’Opera di Parigi. Parla dell’invenzione di spazi comuni, con la lotta e con l’arte. È il nostro mondo che non conosciamo più; che non possiamo più frequentare.
Le lotte sono finite, devono essere finite, malgrado gli ultimi tentativi degli studenti, come a Lille, ancora il 12 marzo. O come i Gilets jaunes che ancora il 14 marzo hanno manifestato per le strade di Parigi. Ma quando una lotta finisce davvero?

Ci sembra che queste lotte francesi se sono postume lo sono soprattutto perché forniscono un'”immagine” di quello che il 99% del popolo-mondo chiede oggi. In fisiologia, un’immagine postuma è la sensazione visiva che, in particolari condizioni, si ha dopo la cessazione dello stimolo luminoso. Di fronte alla diffusione del virus, chiudiamo gli occhi, sbarriamo le porte e le finestre delle nostre case. Cosa vediamo allora? L’apocalisse che gli organi d’informazione di massa, quasi eccitati, espongono senza sosta. Ma non è tutto: possiamo anche vedere e ricordare che quello che è successo ieri è la verità di oggi: le lotte francesi di quest’inverno sono un’immagine (o meglio: un avvertimento), di quello che oggi è all’ordine del giorno, dentro la catastrofe in cui lo sfruttamento senza limiti della natura ci ha consegnati.

Le lotte francesi, in questo senso, non disegnano la mappa di quello che vogliamo fare quando l’epidemia sarà finita (quando sarà finita?). No! Tutti noi che siamo ora, giustamente, a casa non aspettiamo la fine dell’epidemia, perché sappiamo riconoscere la differenza che esiste tra il pericolo che tutti corriamo e la logica dell’emergenza cui invece ci costringono. Non sarà un virus a sconfiggere il capitalismo, piuttosto gli operai e le operaie che ora scioperano in Italia (dopo anni di silenzi) per condizioni di sicurezza accettabili; sono i detenuti che manifestano al mondo intero la loro condizione, i nuovi emigranti/precari meridionali che, dopo giorni, mesi, anni in cui nessuno li ha tutelati, di fronte alla minaccia sanitaria, cercano rifugio nelle loro case d’origine (eppure sono stati condannati dall’opinione pubblica perché viaggiando, rischiando, si sono impegnati a non morire di fame una volta smarrito il loro lavoro precario).

Nel tempo della catastrofe, gli infermieri e i medici non sono eroi buoni solo per questa stagione. Le lotte francesi sono anche le loro lotte: da mesi, con scioperi di una radicalità e di una determinazione inaudite, per reclamare posti letto in ospedale, finanziamenti per la ricerca scientifica (come Bruno Canard alla cui équipe hanno tagliato tutti i fondi per la ricerca sul Coronavirus), ci avvertivano di quello che oggi tutti abbiamo sotto gli occhi. I ferrovieri e gli artisti dell’Opera di Parigi ieri, con gli insegnanti e gli studenti, dicevano la stessa cosa che dicono oggi gli operai e i precari e i detenuti italiani, le cassiere e i pony-express e tutto il personale medico in ogni anglo del mondo industriale. Non è un caso, come ci ricorda sempre il nostro amico Alain Bertho, che questo è il tempo dei sollevamenti, in Francia, ma anche dappertutto nel mondo. Dentro la fine del mondo cui ci consegna il liberalismo, si tratteggiano ovunque delle uscite di emergenza. Tentativi, abbozzi, lacerti di un’altra fine possibile del mondo.

Allora, la nostra scrittura, la nostra amicizia che ci lega a tante persone, nonostante tutto, non è forse soltanto una testimonianza (del passato); il suo carattere postumo potrebbe proiettarci già verso l’avvenire, senza dimenticare che l’avvenire che ci aspetta dopo l’emergenza, le lotte forse senza quartiere cui saremo consegnati, è già presente adesso.

  Napoli-Parigi, Marzo, 2020

*La foto di copertina è di Charles Van den Broek (Parigi, 17 marzo 2020).

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