In ostinato equilibrio

 Il lavoro dei filosofi e l’immagine dominante del sapere.
 

Filosofia, questa sconosciuta

Nell’ambito del progetto , sono stata invitata a presentare agli studenti del Liceo Carlo Rinaldini di Ancona un intervento sulla ricerca in filosofia. L’obiettivo dell’incontro era duplice: da un lato, suggerire agli studenti un’idea generale di cosa sia la filosofia e come si faccia ricerca in questo campo; dall’altro, presentare alcuni aspetti della mia ricerca, quelli relativi al problema della narrazione della Terra, fornendo un esempio concreto di impegno filosofico, e aprendo una delle porte del complesso mondo della ricerca accademica ed extra-accademica, perché gli studenti potessero intravederne l’interesse e l’importanza.

Come spiegare ad un gruppo di ragazzi come si fa ricerca in filosofia? Il compito non è dei più facili. Anzitutto, se fossi una scienziata, avrei potuto portare in classe un pezzetto della mia strumentazione di lavoro: un microscopio, delle provette, una fotografia del laboratorio. Ma il ricercatore in filosofia non ha strumenti bizzarri da mostrare, né luoghi esclusivi che accendano la fantasia di un gruppo di ragazzi. Più radicalmente, il lavoro dei filosofi non aderisce all’immagine oggi prevalente della ricerca.
 Perché faccio riferimento alle cosiddette scienze dure? Perché un filosofo che voglia raccontare il proprio lavoro si trova a fare i conti con l’in-adeguatezza al modello dominante dell’expertise, che è ben espresso, invece, nella narrazione delle scienze dure. Come vedremo, questa resistenza — se il filosofo deve essere filosofo — è attiva, è letteralmente partigiana, perché rappresenta uno specifico prendere posizione rispetto al problema della verità. Ma prima di entrare nel merito di tale problema, una puntualizzazione si rende necessaria: qui non si tratta di contestare le scienze naturali e i loro metodi.

L’expertise non riguarda direttamente il lavoro dello scienziato, ma più precisamente il valore di quel lavoro per come esso è riconosciuto e legittimato nel e dal contesto sociale, politico, giuridico in cui si inserisce. Expertise è anzitutto la “perizia” che un soggetto titolato fa su un oggetto che è presunto appartenere al suo “dominio”. Il cliente richiede una stima, l’esperto risponde: si mette in moto una catena di giudizi: del cliente sull’esperto, dell’esperto sull’oggetto. Si potrebbe anche fare l’esempio della critica d’arte, nel cui campo il termine expertise nasce. La stessa filosofia non è impermeabile a questo modello: la figura del maître à penser risponde a questa fame di perfetta affidabilità, o, per dire meglio, a questo cieco affidarsi, ma costituisce – essendo il maître à penser per definizione un animale raro – l’eccezione di un impegno che viene accolto, più generalmente, con disinteresse quando non con sospetto.

In breve, il modello dell’expertise segna indirettamente ma significativamente1 il modo in cui si fa ricerca, e, ciò che più ci interessa qui, decide le strade per le quali essa viene legittimata. Esso è a tal punto presente nel senso comune e nella scuola stessa, da rendere imbarazzante la posizione del filosofo che (quando tutto va bene) non ha clienti, ma interlocutori.
Credo che molti liceali, forse tutti, si trovino, ad un certo punto del loro percorso di studio, messi alla prova da questa non-aderenza della filosofia. Tutti quei filosofi, tutte quelle teorie, valgono davvero qualcosa, o si tratta di semplici giochi di parole? Ciò succede per una difficoltà intrinseca alla materia e alla sua storia, perché è difficile, ad un primo approccio, comprendere i nessi tra questo e quel filosofo, tra questo e quel problema, ed è quasi impossibile definire un campo specifico della filosofia o un metodo universalmente condiviso2. Ma la difficoltà degli studenti è generata anche dal fatto che il modello di conoscenza dominante, quello dell’expertise, appunto, non è messo in dubbio3, non è oggetto di studio a sua volta.

Tracce di una ricerca

Forse, come ogni studioso, sono così legata ai temi della mia ricerca4 da vederli quasi coincidere, nel loro senso essenziale, con il senso della disciplina stessa. Tuttavia credo ci sia almeno qualcosa di condivisibile nell’affermazione che il problema della Terra, del nostro vivere (sul)la Terra, raccontarla, studiarla, questo problema – inteso come uno dei contenuti della filosofia – costituisca un banco di prova cruciale, decisivo, per la nostra disciplina.

In che cosa lo sguardo del filosofo sulla Terra si distingue dalle altre forme del sapere? La mia proposta è che la specificità della filosofia sia il suo saper guardare la Terra – e i suoi frammenti, i suoi contesti, le sue storie – da dentro e da fuori, in un unico sguardo. Stare a cavallo della cornice, come scrive Alfonso Maurizio Iacono5. Tradurre inesauribilmente, infaticabilmente, il mythos in logos senza perdere nel logos il mythos che per primo ci ha permesso di comprendere e di vivere.
Una grande lezione, di metodo e di contenuto, è quella di Edmund Husserl, padre della fenomenologia e autore di testi preziosi in questo senso: dalla Crisi delle scienze europee al Rovesciamento della dottrina copernicana nell’interpretazione della corrente visione del mondo. Mi riferirò a questo secondo, un manoscritto relativamente breve, rimasto a lungo inedito e pubblicato in traduzione italiana su “Aut Aut” nel 1991. L’autore vi stabilisce un’equivalenza strutturale tra corpo-proprio e suolo, intesi come punti rispetto ai quali si dispiega un orizzonte, e sostiene che il gesto più caratterizzante la modernità sia stato il misconoscimento di questa centralità del dominio vissuto, in favore di una concezione del corpo e della Terra come “oggetti”. Con la Rivoluzione Scientifica, la Terra non è più al centro dell’Universo, è una delle province del Sistema solare. Divenuta un pianeta tra gli altri, essa può essere trattata “scientificamente”. Si tratta di una novità, perché, come ha osservato Koyré, la grande tradizione greca ammetteva una astronomia matematica rivolta all’osservazione e alla misurazione dei «movimenti assolutamente e perfettamente regolari delle sfere e degli astri […] conformi alle leggi della geometria più rigorosa e più rigida. Ma appunto, i cieli sono altra cosa dalla terra»6, che prima della Rivoluzione scientifica non è mai stata matematizzata.

La proposta filosofica di Husserl – che, è bene ricordarlo, è di formazione un matematico – è il recupero di una concezione della Terra in quanto suolo d’esperienza e ancoraggio imprescindibile del vissuto. La sfida della filosofia (e in particolare di una filosofia in senso molto ampio “ecologica”) è tenere insieme «denotazioni naturalistiche dell’ambiente e connotazioni valoriali del paesaggio»7, come si legge in un testo recente.
Cosa possono dirci queste riflessioni rispetto al problema della verità, che oggi si presenta (anche) nell’urgenza della pressione esercitata dal modello dell’expertise? Ritengo che una riflessione filosofica, e in particolare fenomenologica, sulla Terra ci porti a definire la verità come qualcosa di derivato e tuttavia non relativo, di parziale eppure non indecidibile. Husserl ha definito il filosofo un eterno principiante, perché la sua scommessa è di dire, con le parole del logos, ciò che muta alla velocità e con la ricchezza di un mythos; è la scommessa di distinguere “ciò che vale tipicamente come uguale” rispetto a specifici ambiti, situazioni, scopi, da ciò che non vale come uguale, e dunque di indifferenziare quelle differenze» incapaci di turbare la non-differenza» — come fa l’agrimensore8 —, ma al tempo stesso cogliere la differenza dappertutto.
Bisogna ricordare le parole di Edgar Morin:

Il pensiero deve stabilire frontiere e traversarle, aprire concetti e chiuderli, andare dal tutto alle parti e dalle parti al tutto, dubitare e credere; esso deve rifiutare e combattere la contraddizione, ma nello stesso tempo deve farsene carico e nutrimento. […] Così, l’astrazione da sola uccide non soltanto il concreto ma anche il contesto, mentre il concreto da solo uccide l’intelligibilità. 9

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Note

  1. Si pensi alla questione dei finanziamenti alla ricerca. Cfr. F. Coin, A. Giorgi, A. Murgia (a cura di), In/disciplinate: soggettività precarie nell’università italiana, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2017.
  2. Tutto sommato — mi sia perdonata la semplificazione —, nei loro aspetti più generali, le scienze naturali non sono cambiate radicalmente da Galileo ai giorni nostri. Il metodo scientifico sperimentale è ciò che più caratterizza la scienza occidentale rispetto alle altre forme di sapere, mentre la filosofia, almeno quella continentale, sta in un difficile equilibrio tra l’ambiguità e il rigore – che è forse il punto più delicato, il più difficile da comunicare a chi non è del mestiere. Come ogni semplificazione, questa affermazione ha qualcosa di vero e molto di falso. Le valga da correttivo, il rimando a W. Heisenberg, Mutamenti nelle basi della scienza, Bollati Boringhieri, Torino, 2015
  3. «Ed è precisamente tale archiviabilità a rendere lo schema ciò che è: un fattore di modellizzazione dell’esperienza che si mescola al corso dell’esperienza stessa orientandone i possibili esiti, cioè le possibili risultanze adattive. […] Gli schemi producono effetti solo in quanto nessuno si accorge della loro presenza, essi si danno assieme a quelle pratiche cognitivamente ed emotivamente dense che generano sia i progetti e i piani di azione, sia gli interventi concreti di modificazione del mondo». G. Leghissa, Gli schemi del mondo. Osservazione, adattamento, costruzione dei saperi, in V. Cavedagna, A.A. Dutto, Schema. Towards a philosophical-architectural dictionary Verso un dizionario filosofico-architettonico, in Philosophy Kitchen, Extra #3, 2019, p. 42.
  4. P. Amoroso, Pensiero terrestre e spazio di gioco. L’orizzonte ecologico dell’esperienza a partire da Merleau-Ponty, Mimesis, Milano-Udine, 2019
  5. A. Gargani, A.M. Iacono, Mondi intermedi e complessità, ETS, Pisa, 2005.
  6. A. Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Einaudi, Torino, 2014, p. 91.
  7. G. De Fazio, P.F. Lévano, I. Sorrentino, Prontuario di ecosofia. Bibliografie metastabili, Ventura Edizioni, Senigallia, 2019, p. 17.
  8. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 2015, p. 585.
  9. E. Morin, La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1989, p. 205.
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