Diventare neri

Una conversazione con Achille Mbembe e Olúfẹ́mi Táíwò.

Traduzione a cura di Nicola Perugini e Francesco Zucconi

Il movimento per le Vite Nere non ha solo rivelato la brutalità del sistema di polizia statunitense, ma ha anche stimolato conversazioni sul razzismo sistemico e sul potere coercitivo di Stato in molti altri contesti, ovunque. Nella decima edizione del suo rinomato report State of Power, il Transnational Institute ha fatto incontrare due brillanti studiosi del capitalismo razziale di oggi.  

Achille Mbembe è un filosofo rivoluzionario, i cui molti libri hanno esposto, a partire dalla metà degli anni Ottanta, come la colonialità ha dato forma alla democrazia, all’identità e alla modernità.

Olúfẹ́mi Táíwò è un pensatore emergente e attivista il cui lavoro teorico si ispira liberamente alla tradizione radicale Nera e al pensiero anti-coloniale. Ha scritto molto di giustizia climatica.

In questa conversazione, ci aiutano a capire il potere coercitivo di Stato di oggi, rintracciando le sue origini nel colonialismo ed esaminando il modo in cui esso ha dato forma alle istituzioni securitarie contemporanee.

Perché questa è diventata un’era di crescente controllo autoritario di Stato? Alcuni decenni addietro, con la caduta del Muro di Berlino, sembrava che ci stessimo lasciando alle spalle il mondo autoritario. C’era il senso di un nuovo mondo che si apriva. E invece oggi sembra che andiamo in una direzione diversa. Come vi spiegate quello che sta accadendo?

Achille: È una questione molto complessa. Un modo di interpretarla è che il capitalismo e la democrazia sono sempre state in contrasto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale questi due sistemi sono scesi a un compromesso. C’era una sorta di tacita pace, visto che i sistemi coloniali stavano giungendo al capolinea e nuovi stati venivano integrati nel sistema globale. Anche se poi questo sistema rimaneva profondamente gerarchico.

Ma poi, a partire dalla fine del ventesimo secolo, prima con la globalizzazione e le trasformazioni del neoliberismo ancora in corso, sia la democrazia sia lo Stato hanno subito uno svuotamento.

Attraverso tutta una serie di meccanismi, come ad esempio il debito, gli stati si sono indebitati con le aziende e con il potere aziendale. Quello che rimane dello Stato dunque è un apparato coercitivo messo al servizio del potere economico, la cui funzione è sfruttare la vita stessa.

Insieme all’escalation tecnologica, questo è risultato in una accelerazione delle pratiche predatorie. La spiegazione della svolta autoritaria, inclusa quella che sta avvenendo nelle democrazie liberali, risiede all’intersezione tra queste molteplici crisi: l’aggressione predatoria sulla vita, la tecnologicizzazione e il saccheggio del pianeta.

Olúfẹ́mi: La penso in maniera abbastanza simile. L’unica cosa che aggiungerei è il più ampio contesto dei circa cinque secoli di colonialismo, in cui le colonie sono state sottoposte a un governo esplicitamente autoritario e sono state guidate da espliciti sistemi di apartheid razziale. 

La speranza che ci stessimo muovendo verso un periodo di libertà e di democrazia liberale rifletteva una specie di momento eccezionale tutto incentrato su linee di battaglia geopolitica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Questo momento veniva assurdamente dipinto come lo scontro tra democrazie liberali amanti della libertà e odiosi regimi comunisti. Ma questa rappresentazione ignorava che molti stati vivevano sotto il diretto controllo coloniale, autocratico, imperiale, e razzialmente gerarchico esercitato dalle cosiddette democrazie liberali.

Dunque non c’è da sorprendersi che quando la battaglia geopolitica per il controllo dei cuori e delle menti che ha caratterizzato la Guerra Fredda è terminata, ciò che ha seguito non è stato un periodo di vera democrazia liberale e democrazia, ma un periodo di repressione di Stato e privata senza freni.

Quindi, in questo contesto, come possiamo capire meglio il potere coercitivo di stato e la violenza che si sta manifestando oggi?

Achille: Mi pare che ci sono diverse modi di violenza di stato che vengono inflitti su specifiche categorie di popolazione – i Neri, le minoranze, le donne, i più vulnerabili – dalla polizia, dalle prigioni, dall’esercito, dalle guardie di frontiera. Chiamiamola “violenza macchinica” (machinic violence). Questa violenza è diretta, immediata, visibile e spesso omicida, come abbiamo visto nei casi di George Floyd e Breonna Taylor. La lista è senza fine e questo succede a masse di persone che vengono uccise, cacciate o espulse.  

Ma esiste anche una violenza “lenta” che è meno diretta, più graduale e meno percettibile. Qui mi ispiro al lavoro di Rob Nixon, che descrive un processo di lenta distruzione attraverso il tempo. È così che io intendo il razzismo. 

Dunque abbiamo queste due forme di violenza: quella immediatamente visibile e quella lenta e ritardata, che insieme formano un apparato di attrito che attacca non solo il corpo ma anche i nervi. Questo apparato è anche sempre più tecnologizzato, sempre più algoritmico. Il razzismo algoritmico sarà la forma di razzismo più diffusa nel futuro, una forma di razzismo che irradierà il mondo e diventerà virale, come un potere mutante.

Il razzismo contemporaneo è situato nel punto di interconnessione tra il radioattivo e il virale. La sfida sarà come trovare modi per combatterlo.

Potreste definire chi sono gli agenti di questa brutalità e quali differenti ruoli giocano?

Olúfẹ́mi: Occorre capire per quali scopi sono state create istituzioni come la polizia. E penso che la risposta sia abbastanza chiara. Esse sono emerse da istituzioni come le ronde di sorveglianza per gli schiavi e da gruppi paramilitari il cui compito era di disciplinare il lavoro, e sorvegliare e disciplinare gli immigranti e gli schiavi.

In altre parole, il loro scopo è chiaramente quello di distribuire insicurezza. Queste istituzioni non esistono per rendere la società sicura nel suo insieme; esse esistono per rendere determinate persone, determinati elementi, determinati gruppi sociali sicuri, che è una cosa diversa dalla sicurezza della società nel suo insieme.

Altre istituzioni come l’esercito sono istituzioni differenti che però in fondo ricoprono la stessa funzione. Operano in un quadro geografico diverso, ma fondamentalmente hanno lo stesso scopo e condividono le stesse tattiche, le stesse informazioni e le stesse risorse.

Ci sono esempi molto vividi del modo in cui queste istituzioni distribuiscono l’insicurezza, ma da nigeriano-americano e con lo scoppio delle proteste #EndSARS [le proteste contro la brutalità della polizia in Nigeria, ndr] vorrei soffermarmi sull’esempio nigeriano.  [Il centro] Afrobarometer ha effettuato un sondaggio in cui più di tre quarti degli intervistati nigeriani hanno ammesso di aver pagato mazzette alla polizia. Molti di loro le hanno pagate solo al fine di ricevere la regolare assistenza che la polizia dovrebbe offrire, dunque è chiaro che la polizia è un’istituzione estorsiva più che una presenza di sicurezza. Difficilmente la si può definire una istituzione che “serve e protegge”, come amano dire negli Stati Uniti.

Quindi una volta che pensiamo a questo aspetto del potere coercitivo di stato che distribuisce sicurezza attraverso la distribuzione dell’insicurezza, non è più contraddittorio osservare la crescita della polizia militarizzata, dell’incarceralità (incarcerrality) e della colonialità in concomitanza con lo smantellamento del welfare state. Queste due cose si muovono nella stessa direzione e rendono alcune persone sicure attraverso la sistematica messa in insicurezza di altre.

Achille: Penso che quello che stiamo vedendo crescere in diverse società del mondo è il razzismo armato. Ovviamente il razzismo armato non è una cosa nuova. La funzione della polizia, dell’esercito, di tutte le istituzioni armate dello stato va compreso all’interno dell’architettura razzista da cui è emersa. 

Ma ciò che stiamo vedendo è la crescente sovrapposizione tra la polizia e l’esercito, con la polizia che non è mai stata così militarizzata e si comporta come un esercito contro la propria gente. Secondo le tradizionali divisioni politiche, l’esercito si occupa dei nemici esterni e la polizia si occupa di ordine interno. Ma queste divisioni si stanno sfaldando, così come le divisioni tra polizia e milizie.

Stiamo assistendo a una riorganizzazione mondiale e universale del potere e della violenza discriminatoria. Questo si traduce nella messa morte prematura di alcune persone. La si può chiamare anche sicurezza e insicurezza, come diceva Olúfẹ́mi. E questo processo è nato dal colonialismo, che ha costituito un laboratorio in cui l’ordine moderno è stato sperimentato e sviluppato.

In termini di dove ci stiamo dirigendo, penso che gli agenti della brutalizzazione sono diventati più decentralizzati che mai, e sempre più astratti. Essi procedono ancora attraverso gli apparati tradizionali di stato come la polizia, il sistema giudiziario, il sistema carcerario. Tuttavia sotto questo strato tradizionale vi è il ruolo emergente della programmazione attraverso la tecnologizzazione della coercizione.  

Questa programmazione distribuisce la brutalità in maniera astratta, codificando le persone. Non è una mera questione di trasformazione delle persone in numeri. Le persone diventano codici e dati che possono essere archiviati e messi in circolazione e sui quali si può speculare, come fa il capitale finanziario. Direi che sta avvenendo una smaterializzazione dello stato che cede alcune delle sue funzioni a tecnologie che potrebbero sembrare neutrali, ma in realtà non lo sono. Dunque, nonostante continuiamo ad avere un poliziotto che afferra un uomo nero in Minnesota e lo uccide mettendogli il ginocchio sul collo, la distruzione delle persone considerate superflue sta venendo esternalizzata a nuove macchine.

Come capire i modi in cui questo processo si sviluppa nel sud del mondo, sia in termini di storia coloniale sia in termini di leader e strutture post-coloniali che continuano a reprimere i propri popoli?

Olúfẹ́mi: Nella storia di lungo termine del colonialismo è stato sempre difficile per gli imperi proiettare il potere al di fuori del loro terreno sociale e geografico. Quindi gli imperi hanno sempre cercato di reclutare i nativi in posizioni intermedie di amministrazione e di dividere la i popoli privilegiando una sezione della popolazione. Il mercato schiavista transatlantico non si sarebbe potuto sviluppare se si fosse basato esclusivamente sulla conoscenza europea delle reti commerciali e delle relazioni sociali.

Oggi aspetti importanti delle strutture sociali globali relative alla produzione economica e alla distribuzione del benessere vengono decise a livelli multinazionali attraverso le istituzioni di Bretton Woods e in forme come il Doing Business Index. Il loro obiettivo è di liberalizzare economicamente questi paesi e di facilitare la governance transnazionale del capitale. Dunque, da un punto di vista materialista, sono aziende come Microsoft, Motorola, Alphabet, le aziende produttrici di acciaio e quelle dell’agro-business a governare il mondo. Fino a che non facciamo i conti con questo elemento, non penso che saremo in grado di comprendere il ruolo dello stato.

Achille: Penso che Olúfẹ́mi lo abbia spiegato molto bene.  Anche se ci sono state ondate di decolonizzazione, è importante ricordare che anche alla fine del XX secolo, luoghi come il Sudafrica (e gran parte dell’Africa del sud) erano ancora sottoposte a una forma piuttosto feroce di colonialismo e colonialismo da insediamento basate sull’idea che certe razze sono superiori alle altre.

Così, anche se una sorta di decolonizzazione è avvenuta, non significa che il colonialismo sia finito. Alcune parti del mondo sono ancora sotto occupazione coloniale: luoghi come il Kashmir, la Palestina e altri. Ma soprattutto, la colonialità è rimasta. Si tratta di un modo di governare in cui certe persone sono considerate al contempo persone di cui si può disporre e persone indispensabili. È così che funziona il dominio razziale. Abbiamo bisogno dei tuoi muscoli, del tuo lavoro, ma siamo anche autorizzati a disporre di te come vogliamo. Oggi, questa dialettica tra dispensabilità e indispensabilità sta accelerando, spingendo verso una politica dell’abbandono, una politica dell’incuria.

Allora, come possiamo sfuggire a questa colonialità, tanto nel Sud come nel Nord globale?

Olúfẹ́mi: Abbiamo bisogno di sviluppare una politica genuinamente strutturale. Chiaramente, non basta mettere al potere qualcuno che ti assomiglia.  Il problema della identity politics è il suo concentrarsi su chi è cattivo e chi è buono, chi è l’oppressore e chi è l’oppresso, chi è il carnefice e chi è la vittima. Qualsiasi raffinata storia del colonialismo mostra il contributo e la complicità di mercanti africani, schiavisti e burocrati statali. Dobbiamo capire le ragioni strutturali della dominazione, del razzismo, e forgiare una forma meno predatoria di politica.

Se si guarda all’insicurezza abitativa o all’incarcerazione, per esempio, qui negli Stati Uniti o a livello internazionale, si vedranno forti divisioni razziali. Ma le ragioni di ciò sono complicate e lo saranno anche le soluzioni. Come ha spiegato Achille, abbiamo bisogno di strutturare il nostro mondo politico in modo da difendere la sicurezza reciproca piuttosto che difendere i margini di profitto o le pretese di controllo di alcune persone o ancora il desiderio di perpetuare una politica coloniale.

Come dovrebbero rapportarsi i movimenti sociali allo Stato in questa lotta? Di fronte al potere corporativo e alle forze di mercato, lo Stato è visto come un importante baluardo per proteggere i suoi cittadini dal capitale, eppure, come abbiamo discusso, i movimenti sociali devono fare i conti anche con la violenza da parte dello Stato.

Olúfẹ́mi: È giusto che ci sia una certa tensione, ma vale la pena sottolineare che non è al potere coercitivo in quanto tale che i movimenti per la giustizia dovrebbero opporsi. I rivoluzionari cubani, il Fronte di Liberazione Mozambicano, i combattenti di Capo Verde, Angola e Zimbabwe hanno tutti usato il potere coercitivo per liberarsi dal colonialismo. A volte il discorso sul potere coercitivo nelle vesti dello Stato o di qualsiasi altro tipo viene eccessivamente moralizzato. Il potere in generale è uno strumento, e il modo in cui lo valutiamo moralmente dipende da come viene usato e a quali fini.

Detto questo, penso che quello su cui dovremmo concentrarci è trovare modi per sfruttare lo Stato e, più specificamente, sfruttare le differenze tra gli interessi dello Stato e del capitale. Stato e capitale sono stati troppo “amici” negli ultimi decenni, e l’incapacità dei movimenti sociali di metterli l’uno contro l’altro ha portato al consenso neoliberale. E questo ha portato alla politica dell’abbandono e alla contrazione delle responsabilità dello stato senza guadagni compensativi per la maggior parte delle persone sulla terra.

E così penso che le richieste di controllo pubblico dello Stato e di assegnargli la responsabilità di ruoli che sono stati assunti da istituzioni coloniali corporative puramente estrattive sia una buona opzione tattica.

Quali sono, secondo voi, alcune delle dinamiche di cambiamento che sta attraversando il potere statale coercitivo?

Achille: Nel mio libro Critique of Black Reason, ho fatto riferimento a qualcosa che ho chiamato il “Diventare nero del mondo”. Nel mondo occidentale atlantico sotto la schiavitù delle piantagioni, le persone considerate nere erano governate sotto un regime molto specifico, il Code Noir, il Codice Nero. Questo era un meccanismo giuridico che permetteva ai governanti di trattare le persone considerate nere in un modo in cui nessun altro veniva trattato.

Oggi possiamo vedere che il neoliberismo è in crisi e quindi deve fare sempre più affidamento su uno Stato illiberale per sostenere i suoi obiettivi. Questo significa che sempre più persone saranno governate sotto il Codice Nero.  Sempre più persone saranno governate come se fossero nere, con tutto ciò che comporta: violenza gratuita, privazione dei diritti, esposizione a tutti i tipi di rischi, morte prematura.

Questa universalizzazione del Codice Nero avverrà mentre il mondo sta bruciando, il pianeta sta bruciando, avendo raggiunto i suoi limiti. Quindi, a causa del collasso ecologico, il nostro mondo sta diventando sempre più inospitale per la vita stessa. E se riflettiamo sull’abitabilità planetaria, dobbiamo pensare seriamente a come creare convergenze tra la lotta contro il razzismo e le lotte ecologiche per rigenerare il nostro pianeta. Le due cose sono inseparabili.

La terza dinamica sarà il cambiamento tecnologico, che è diventato il nostro biotopo, il milieu o ambiente che definisce sempre più chi siamo e il nostro futuro. Questo comporterà nuove lotte per riconquistare la tecnologia e volgerla verso l’emancipazione umana e l’emancipazione in generale. Abbiamo bisogno di un’emancipazione che includa umani e non umani, perché il destino degli umani è ora più che mai legato al destino delle altre specie. I tempi in cui viviamo richiedono un progetto multi-specie.

Olúfẹ́mi: Non potrei essere più d’accordo con quello che ha detto Achille. Se potessi, lo griderei con un altoparlante a tutto il mondo.

Penso che l’analisi del Codice Nero e il modo in cui ha portato a un mondo razzialmente stratificato sia fondamentale. Una cosa che le persone possono riconoscere ma che non sembrano integrare nel loro quadro più sistematicamente è che essere neri non significava necessariamente essere schiavi nel senso dello schiavismo. C’erano anche popolazioni di persone liberate, persone di razza mista che sperimentavano un diverso mix di restrizioni politiche e diritti politici. Eppure essere neri significava che ti poteva succedere e che questo era molto probabile se ti trovavi nella parte sbagliata del mondo nel secolo sbagliato.

Questo non è per sminuire la storia della dominazione razziale, ma per chiarire la natura del sistema. Allo stesso modo, se guardiamo l’altra estremità del polo della gerarchia razziale, essere bianco non significava che eri al comando, significava che c’era un piano, un livello di sfruttamento del lavoro sotto il quale non saresti sceso, che non saresti stato trattato come proprietà.

Penso che riconfigurare questi termini categorici in modo probabilistico aiuti a dare un senso alla definizione del razzismo di Ruth Wilson Gilmore inteso come differenze di gruppo e vulnerabilità alla morte prematura, così come il punto di Achille su come il mondo, in un’era di crisi ecologica e climatica, stia diventando più nero.

Molti dei diritti e dei privilegi che alcune persone hanno trattato come costruiti nella bianchezza sono in realtà contingenti alla particolare struttura sociale in cui vivono, alla loro ricchezza e al potere di distribuirla in modi discriminatori. Quindi è poiché gli Stati Uniti sono ricchi che sono stati in grado di creare una classe media che aveva privilegi economici al di sopra e al di là della sua sottoclasse razziale. I diritti e la libertà sono contingenti alla nazione di un popolo, alla sua posizione geopolitica, che è contingente alla produzione economica. Questi a loro volta dipendono dal cielo, dalla pioggia, dall’aria e dall’acqua, dalle piante e dagli animali, cose che non avremo più il lusso di dare per scontate in questo secolo.

E così i diritti e le protezioni che le persone pensano siano categoricamente costruiti nella loro posizione nella gerarchia sociale sono in realtà contingenti ai modi particolari in cui il mondo si è sviluppato e sta cambiando.

La maggior parte di noi, abili e dotati di risorse, ha avuto a lungo il privilegio di uscire “senza maschera”, eppure ora ci troviamo incapaci di fare le cose che pensavamo fossero intrinseche alla nostra posizione sociale. Ci troviamo a vederci negato quel privilegio che davamo per scontato per ragioni legate agli avvenimenti del mondo naturale e alle risposte del nostro sistema sociale. Questa sarà sempre di più la storia della politica di questo secolo.

Dobbiamo renderci conto che il nostro destino è legato al destino dell’intera specie umana – e non alla falsa specie plasmata attraverso l’idea di razza – così come è legato alla nostra dipendenza dalla più ampia ecologia, dagli animali, dalle piante, dall’aria, dall’acqua. Finché non riusciremo a vedere che i nostri destini sono collegati, saremo nei guai.

Ma esistono azioni rassicuranti in questa direzione. Per fare solo due esempi: Negli Stati Uniti, dove risiedo, ci sono tendenze interessanti nei movimenti sindacali. C’è stata una rinascita del “Bargaining for the Common Good” (contrattazione per il bene comune), una pratica attraverso la quale lavoratori organizzati fanno richieste di contratti in accordo e a beneficio di una comunità più ampia. C’è di più: l’anno scorso a Minneapolis, migliaia di membri del Service Employees International Union (molti dei quali erano immigrati da paesi come Somalia, Nepal, Messico ed Ecuador) hanno condotto quello che alcuni chiamano il “primo sciopero del clima” nella storia degli Stati Uniti: contrattando esplicitamente su salari, discriminazione di genere e cambiamento delle condizioni di lavoro per ridurre le emissioni di carbonio.

In Sudafrica, ci sono tentativi di costruire ecologie sociali e politiche più ampie e centrate sulle persone: dalle cucine comunitarie e gli orti pubblici della University of the Free State alla più ampia lotta per la sovranità alimentare in tutto il paese. Questi sforzi sembrano molto importanti, così come il tentativo della Climate Justice Charter (CJC) nazionale di combattere il controllo aziendale sull’acqua. La CJC collega la questione anche alla proprietà comunitaria dell’energia rinnovabile. Prese insieme, sono lotte davvero istruttivo da cui vale la pena imparare, credo. E se possiamo imparare da queste, allora possiamo anche trovare una nostra versione di lotta da mettere in atto che abbia senso visto il punto a cui siamo arrivati.

 

Questa è una trascrizione modificata di una conversazione con Olúfẹ́mi Táíwò e Achille Mbembe condotta da Nick Buxton e Shaun Matsheza e pubblicata su TNI.

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