I membri di Forensic Oceanography – parte dell’agenzia Forensic Architecture – hanno diffuso un rapporto sull’operato della Guardia costiera libica rispetto ai migranti nel Mediterraneo e alle sue relazioni con il governo italiano.
Nel tentativo di arginare l’arrivo dei migranti sulle coste europee, Italia e Unione Europea hanno messo in atto un’operazione non dichiarata che chiamiamo Mare Clausum. Tale operazione ha agito in due modi: in primo luogo, le ONG dedite a ricerca e soccorso nel Mediterraneo sono state criminalizzate nell’intento di limitare le loro attività, e con esse il numero dei migranti da loro sbarcati in Europa; in secondo luogo, tramite accordi politici, fornitura di materiale, supporto tecnico e coordinamento, Italia e Unione Europea hanno incaricato e messo la Guardia costiera libica nelle condizioni di intercettare e riportare i migranti in Libia. Questo rapporto si focalizza su questo secondo aspetto e dimostra come Italia e Unione Europea abbiano di fatto esercitato un controllo sia strategico che operativo sulla Guardia costiera libica, con l’obiettivo di operare dei “respingimenti per procura” per conto di Italia e Unione Europea. Tali politiche sono state attuate nella piena consapevolezza sia della condotta violenta della Guardia costiera libica, sia delle condizioni di detenzione disumane che attendevano i migranti una volta respinti in Libia.
Il 6 novembre 2017, la ONG Sea Watch e una nave di pattugliamento della Guardia costiera libica si sono dirette contemporaneamente verso una barca di migranti in difficoltà in acque internazionali. La barca, partita da Tripoli qualche ora prima, trasportava dai 130 ai 150 passeggeri. Ne è seguita un’operazione di soccorso conflittuale in cui, nonostante la Sea Watch sia stata alla fine in grado di soccorrere 59 passeggeri, almeno 20 di essi sono morti, e altri 47 sono stati riportati in Libia, dove molti sono stati vittima di gravi violazioni dei diritti umani e violenza fisica durante la detenzione. Alcuni di loro sono poi stati venduti a un altro sequestratore, che li ha torturati per richiedere un riscatto alle famiglie.
Nel rapporto sosteniamo che, per ricostruire le circostanze che hanno portato a questo episodio, è necessario prendere in considerazione innanzitutto gli accordi politici che hanno indirizzato il comportamento dei soggetti coinvolti, ma anche le pratiche sorte in conseguenza di questi accordi e di cui questo avvenimento è stato solo un esempio.
Bisogna considerare, infatti, che prima di arrivare sulla scena la Guardia costiera libica era stata in contatto con il Centro di Coordinamento Marittimo della Guardia costiera italiana, che l’aveva informata della presenza dell’imbarcazione in difficoltà. La Ras Jadir – il pattugliatore della Guardia costiera libica che con un comportamento sconsiderato ha contribuito alla morte di numerosi passeggeri – era una delle quattro unità di pattugliamento consegnate dall’Italia alla Guardia costiera libica il 15 maggio 2017, alla presenza dello stesso ministro dell’Interno italiano. Infine, otto dei tredici membri dell’equipaggio a bordo di quella nave nel giorno degli eventi fatali erano stati addestrati dall’operazione europea contro il traffico di esseri umani, la EUNAVFOR MED.
Questi elementi rendono tale incidente paradigmatico delle nuove, drastiche misure messe in atto dall’Italia e dall’Unione Europea per arginare a ogni costo il fenomeno migratorio in tutto il bacino mediterraneo. Questa politica di contenimento a più livelli opera secondo una duplice strategia che mira, in primo luogo, a delegittimare, criminalizzare e infine allontanare le ONG dedite a ricerca e soccorso dal Mediterraneo centrale; e, allo stesso tempo, a garantire sostegno materiale, tecnico e politico alla Guardia costiera libica, così da consentirle di intercettare e riportare i migranti in Libia in maniera più efficace. Quella che chiamiamo Mare Clausum è questa operazione non dichiarata che ha come scopo blindare il Mediterraneo centrale.
Mentre nel nostro rapporto “Accusare i soccorritori”, pubblicato a giugno 2017,1 abbiamo analizzato nel dettaglio la campagna contro le ONG, qui ci concentriamo invece sul secondo aspetto di questa strategia. Intendiamo dimostrare che, attraverso accordi politici e varie forme di sostegno alla Guardia costiera libica, Italia e Unione Europea hanno preso a esercitare su di essa un controllo sia strategico che operativo. In tal modo, alla Guardia costiera libica sono state affidate le operazioni di “respingimento per procura”: il respingimento dei migranti verso territori in cui le loro vite sono a rischio, messo in atto dalle istituzioni libiche sotto il controllo e la direzione delle autorità italiane ed europee, che cercano in questo modo di aggirare una delle pietre miliari del diritto internazionale dei rifugiati, il principio di non-refoulement2
Il rapporto (tradotto da Martina Scarscelli e Lorenzo Alunni) si basa su nuovi dati emersi da interviste approfondite con figure istituzionali, operatori di ricerca e soccorso, membri delle ONG e con migranti, oltre che da nuovi rapporti ufficiali, da analisi statistiche e da metodi di ricostruzione cartografici e spaziali. È stato redatto da Forensic Oceanography, un progetto di ricerca diretto da Charles Heller e Lorenzo Pezzani e parte dell’agenzia Forensic Architecture della Goldsmiths, University of London, specializzata nell’uso di tecniche forensi e della cartografia per la ricostruzione delle condizioni alla base delle morti in mare.
Il rapporto è diviso in tre sezioni principali. La prima analizza gli accordi politici attraverso cui Italia e Unione Europea hanno cercato di affidare al Governo di Accordo Nazionale con sede a Tripoli in Libia l’incarico di pattugliamento delle loro frontiere marittime; in seguito, ricostruisce le specifiche pratiche ordinarie emerse nell’arco del 2017 come risultato di queste politiche, prima di tornare nel dettaglio al caso del confronto fra la Sea Watch e la Guardia costiera libica.
ACCORDI POLITICI
In questa sezione, analizziamo le politiche imposte dall’Italia e dall’Unione Europea al governo libico con sede a Tripoli per arrivare ai “respingimenti per procura”. In risposta ai persistenti sbarchi sulle coste italiane, dal 2016 in poi Italia e Unione Europea hanno tentato di ristabilire le pratiche di controllo esternalizzato delle frontiere che, con Gheddafi al potere, avevano visto la Libia fungere da guardia del confine per conto di Italia e Unione Europea. Tuttavia, dopo che la prassi di riportare direttamente in Libia i migranti intercettati in mare aperto è stata dichiarata illegale dalla Corte europea per i diritti umani nel 2012, Italia e Unione Europea hanno invece tentato di affidare alla Guardia costiera libica l’incarico di intercettare e riportare i migranti in Libia.
Dall’autunno 2016 l’Unione Europea, tramite la sua operazione EUNAVFOR MED, ha iniziato la formazione del personale della Guardia costiera libica, a cui hanno partecipato in 188.3
Tuttavia è stata l’Italia che, pur con il completo sostegno europeo e i relativi contributi finanziari, dal 2017 ha assunto la guida nell’attuazione di questa pratica di “respingimento per procura”.
Il 2 febbraio 2017, ha firmato un Memorandum d’intesa con il Governo di Riconciliazione Nazionale della Libia «per cooperare nel settore dello sviluppo e combattere l’immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il contrabbando, e a potenziamento della sicurezza delle frontiere».4
Questo Memorandum, incentrato sull’obiettivo di «arginare il transito illegale di migranti» ha ricevuto il supporto dell’intero Consiglio Europeo il giorno seguente nella Dichiarazione di Malta, adottata il 3 febbraio 2017.5
Nel maggio 2017 l’Italia ha fornito alla Marina Militare e della Guardia costiera libica quattro navi da pattugliamento veloci, con ulteriori sei navi in attesa di essere consegnate nei mesi successivi.6
Queste risorse hanno aumentato considerevolmente la capacità operativa della Guardia costiera libica.
Il 2 agosto 2017 ha segnato un’ulteriore tappa decisiva di Mare Clausum, con l’approvazione da parte del Parlamento Italiano dell’estensione dell’operazione Mare Sicuro, per fornire «supporto alle forze di sicurezza libiche per le attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di esseri umani mediante un dispositivo aeronavale integrato da capacità ISR (Intelligence, Surveillance, Reconaissance)».7
Nel rapporto dimostriamo come la presenza delle imbarcazioni e degli aerei di Mare Sicuro che operavano al largo delle coste libiche abbiano giocato un ruolo decisivo nell’agevolare la capacità di intercettazione della Guardia costiera libica, e come le apparecchiature di comunicazione a bordo delle imbarcazioni navali italiane attraccate al porto di Tripoli siano state utilizzate dalla stessa Guardia costiera libica per coordinare le loro operazioni in mare. Un giudice italiano si è spinto fino ad affermare che il coordinamento delle operazioni di soccorso effettuate della Libia è «essenzialmente affidato alla Marina Militare italiana, con le proprie unità navali e con quelle fornite ai libici».8
Il 10 agosto 2017, le autorità libiche a Tripoli hanno annunciato di aver (unilateralmente) dichiarato la propria zona di Ricerca e Soccorso (SAR) e hanno minacciato tutte le ONG che vi entrassero. Questa dichiarazione è stata uno degli esiti pianificati di un progetto finanziato dall’Unione Europea messo in atto dalla Guardia costiera italiana. Sebbene il progetto della Guardia costiera italiana preveda il raggiungimento della piena operatività del “Libyan Maritime Rescue Coordination Centre Project” solo nel 2020, tutti i soggetti statali italiani ed europei si sono comportati come se lo fosse già, così da poter presentare le operazioni di intercettazione della Guardia costiera libica come operazioni di soccorso.
Grazie a tali accordi politici, al sostegno multiforme e al coordinamento fornito, Italia e Unione Europea hanno di fatto ristabilito una presenza operativa della Guardia costiera libica, che dal 2011 in poi non aveva avuto né la capacità né la volontà di intercettare i migranti in partenza dalle coste libiche. Tramite queste misure congiunte, Italia e Unione Europea hanno di fatto esercitato un controllo strategico sulla Guardia costiera libica, che ha operato in loro vece per intercettare i migranti – più di ventimila solo nel 20179 – e riportarli indietro in un Paese in cui tornano a essere esposti a forme estreme di violenza e sfruttamento.
Le terribili condizioni che i migranti si trovano ad affrontare in Libia sono state ben documentate nel corso di molti anni da organizzazioni internazionali, enti pubblici, esperti delle Nazioni Unite e giornalisti, ONG e numerosi organi di stampa,10 e il viceministro italiano agli Affari esteri, Mario Giro, il 6 agosto 2017 ha ammesso che «riportarli (i migranti) in Libia, in questo preciso momento, significa riportarli all’inferno»11: nonostante questo, Italia e Unione Europea hanno continuato ad attuare le loro politiche di “respingimento per procura” con piena consapevolezza delle terribili conseguenze umane.
PRATICHE
In questa sezione intendiamo dimostrare come le politiche precedentemente descritte abbiano portato a cambiamenti operativi sostanziali alla frontiera marittima. In primo luogo, la campagna italiana ed europea di delegittimazione e criminalizzazione delle ONG ha trovato la sua controparte nelle pratiche in mare della Guardia costiera libica, che con le proprie navi di pattugliamento ha minacciato sempre più violentemente le imbarcazioni delle ONG che operano al largo della costa libica. Di conseguenza, il numero di imbarcazioni delle ONG è fortemente diminuito, e quelle rimaste attive sono state costrette a operare sempre più lontano dalla costa.
Nel frattempo, le intercettazioni della Guardia costiera libica si sono intensificate drasticamente: nell’arco del 2017 sono state rimandate indietro 20.335 persone.12 A seguito di questo sommarsi di fattori, il 2017 ha visto una drammatica inversione di ruoli tra ONG e Guardia costiera libica: mentre nel 2016 le prime sono state i principali operatori di missioni di ricerca e soccorso, dall’agosto 2017 la Guardia costiera libica ha intercettato più migranti di quanti ne siano stati soccorsi,13 e il tasso di intercettazioni è cresciuto ancora di più nei primi mesi del 2018. Dimostriamo inoltre che vi è una correlazione statistica tra l’aumento del tasso di intercettazione da parte della Guardia costiera libica e l’aumento del tasso di mortalità dei migranti – che misura il pericolo della traversata –, aumento osservato nella seconda metà del 2017 e a inizio 2018.
Benché si conosca poco delle condizioni in cui più di ventimila persone sono state rimandate in Libia nell’arco del 2017, prendiamo in analisi sedici incidenti accaduti nelle fasi di respingimento, la maggior parte dei quali è stata documentata unicamente grazie alla presenza delle poche ONG rimaste. Nella maggioranza dei casi, il Centro di Coordinamento Marittimo della Guardia Costiera Italiana (IMRCC), dopo essere stato informato della presenza di una barca in difficoltà, ha trasferito queste informazioni alla Guardia costiera libica, la quale ha rivendicato il coordinamento delle operazioni della SAR, mentre alle imbarcazioni delle ONG è stato chiesto di rimanere in attesa.
In tal modo, l’IMRCC ha contribuito all’intercettazione dei migranti e a farli riportare in Libia. In tre occasioni da noi documentate – 27 settembre, 11 ottobre e 15 dicembre 2017 – abbiamo registrato le istruzioni operative fornite dalla Marina Militare italiana alla Guardia costiera libica per intercettare i migranti, astenendosi nel contempo dal soccorrerli lei stessa.
Le pratiche operative specifiche e ricorrenti che documentiamo dimostrano la natura diffusa e sistematica – piuttosto che episodica – di tali eventi, che devono pertanto essere considerati come l’esito di una strategia ben definita. Questi incidenti dimostrano come la Guardia costiera libica abbia messo in atto in maniera efficace le azioni richieste dagli accordi politici che il governo libico con sede a Tripoli ha firmato con Italia e Unione Europea, e come le autorità italiane abbiano coordinato e diretto le intercettazioni della Guardia costiera libica, operando così dei “respingimenti per procura”.
A seguito di Mare Clausum, nell’estate 2017 il transito è diminuito: nel mese di luglio si è assistito ad una riduzione degli sbarchi del 51% rispetto all’anno precedente, ad agosto dell’82%.14 Mentre sempre più migranti venivano confinati in Libia, le condizioni lì sono diventate, se possibile, ancora peggiori, specialmente all’interno dei centri di detenzione sempre più sovraffollati.15 Tutto ciò è stato riconosciuto il 14 novembre 2017 dall’Alta commissione per i diritti umani dell’ONU che, dopo un’ispezione nei centri di detenzione di Tripoli, ha dichiarato: «L’aumento degli interventi dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri non ha contribuito finora a ridurre il livello di abusi subiti dai migranti. Il nostro monitoraggio, infatti, mostra un veloce peggioramento della loro situazione in Libia».16
IL CASO
Infine, nella sezione dedicata al caso di Sea Watch, intendiamo ricostruire nel dettaglio lo scontro con la Guardia costiera libica, in quanto esempio paradigmatico che mette in luce gli effetti delle politiche e delle pratiche descritte nelle sezioni precedenti. Mediante l’uso del materiale registrato da strumenti audio e video a bordo dell’imbarcazione Sea Watch, e tramite le metodologie di modellamento spaziale sviluppate da Forensic Architecture, ricostruiamo gli eventi in grande dettaglio. Attraverso la documentazione della violenza della Guardia costiera, questo incidente mostra le drammatiche conseguenze delle politiche di “respingimento per procura”operate da Italia e Unione Europea.
Questo rapporto rivela l’allarmante livello di esternalizzazione delle violazioni dei diritti umani messo in atto dall’Italia e dall’Unione Europea. Sebbene questa politica sia riuscita temporaneamente ad arginare le traversate dei migranti, ciò è stato fatto a un prezzo umano sconvolgente, e agendo in violazione del principio di non-respingimento.
Facciamo appello all’Italia e all’Unione Europea perché pongano immediatamente fine alle loro politiche di “respingimento per procura”, e perché sospendano la collaborazione con la Guardia costiera libica. Le operazioni di soccorso sono tali solo quando salvano vite, non quando diventano una copertura per operazioni di controllo delle frontiere. Qualora la Guardia costiera libica metta in atto operazioni di soccorso in futuro, essa non deve avere il permesso di sbarcare i migranti in territorio libico, dove le vite dei migranti vengono messe a rischio. L’Italia dovrebbe inoltre porre fine alla criminalizzazione delle ONG, le cui attività umanitarie riempiono semplicemente il vuoto nelle attività di ricerca e soccorso degli Stati. L’Unione Europea dovrebbe ripensare la Convenzione di Dublino in modo da non lasciare gli Stati costieri, quali l’Italia, da soli con la responsabilità di accogliere i migranti che sbarcano sulle loro coste. Invece di cercare di contenere i migranti a ogni costo, Italia e Unione Europea devono impegnarsi in un riassetto sostanziale delle loro politiche migratorie per garantire ai migranti accesso in tutta sicurezza e legalità al territorio europeo. Soltanto in questo modo si potrà finalmente mettere fine all’attività di traffico, alla realtà quotidiana di migliaia di migranti in pericolo e alla necessità di soccorrerli.
Note
- Charles Heller e Lorenzo Pezzani, Blaming the Rescuers, giugno 2017. Una versione italiana della sintesi di questo rapporto è disponibile qui
- Secondo l’articolo 33(1) della Convenzione sullo statuto dei rifugiati del 1951 (CSR51): «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».
- A partire dal 21 agosto 2017, a EUNAVFOR MED è stato assegnato l’ulteriore compito di monitorare le attività della Guardia costiera libica e della Marina Militare, un compito che implica – cosa di cui dovremmo prendere atto – un rapporto gerarchico di potere. Il monitoraggio è considerato come una «componente fondamentale del programma di sviluppo delle capacità marittime libiche», fornendo aiuto nel «definire futuri requisiti in materia di formazione, e a sostegno della Guardia costiera libica e la Marina Militare nella definizione degli apparati (incluse le risorse) le carenze e i requisiti» (EUNAVFOR MED Op Sophia – Monitoring of Libyan Coast Guard and Navy Report October 2017 – January 2018, 9 marzo 2018, p.3). Il compito di monitoraggio è stato assegnato a EUNAVFOR MED dal Consiglio decisionale di luglio 2017 e in accordo con le autorità libiche nell’ambito di un ulteriore allegato al Memorandum d’Intesa. Si veda EUNAVFOR MED Op SOPHIA – Six Monthly Report 1 June – 30 November 2017, 22 dicembre 2017.
- Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, 2 febbraio 2017, www.governo.it/sites/governoNEW.it/files/Libia.pdf
- Dichiarazione di Malta dei membri del Consiglio europeo sugli aspetti esterni della migrazione: affrontare la rotta del Mediterraneo centrale, 3 febbraio 2017.
- Ministero dell’Interno italiano, Contro il traffico dei migranti: consegnate le prime motovedette alla Marina libica, 21 aprile 2017; Minniti in Libia: fronte comune contro il traffico di migranti, 16 maggio 2017. Altre tre navi di pattugliamento sono state consegnate nel febbraio 2018, si veda http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-02-24/libia-e-niger-bilancio-dell-italia-e-l-eredita-il-prossimo-governo–212523.shtml?uuid=AEwxvQ6D&refresh_ce=1
- Deliberazione del consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell’Italia alla missione internazionale in supporto alla guardia costiera Libica (DOC CCL, n.2), 28 July 2017.
- Lo stesso giudice ha poi affermato in relazione al caso Open Arms che l’intervento delle navi di pattugliamento libiche ha avuto luogo «sotto l’egida delle imbarcazioni della Marina Militare italiana a Tripoli». In: Tribunale di Catania, Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari, Decreto di convalida e di sequestro preventivo, 16 aprile 2018. Si veda inoltre: Marina Petrillo e Lorenzo Bagnoli, The Open Arms case continued: new documents and Malta, 12 aprile 2018, Open Migration.
- L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) ha raccolto i dati sui “soccorsi” operati dalla Guardia costiera libica a partire dal 2016, http://www.globaldtm.info/libya/
- Si veda Amnesty International, Libya’s Dark web of Collusion: Abuses Against Europe-Bound Refugees and Migrants, 11 dicembre 2017, Index: MDE 19/7561/2017, , p. 56, per la lista completa, a cui dovremmo aggiungere il recente rapporto da parte dell’ufficio dell’Alta commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite in collaborazione con la Missione di supporto in Libia delle Nazioni Unite, Abuse Behind Bars: Arbitrary and unlawful detention in Libya, aprile 2018.
- Marco Menduni, Giro: “Fare rientrare quelle persone vuol dire condannarle all’inferno, La Stampa, 6 agosto 2017
- IOM DTM dati libici per il 2017, http://www.globaldtm.info/libya/
- Calcolo di Gian-Andrea Monsch, ricercatore presso la Fors, University of Lausanne, per Forensic Oceanography sulla base della Guardia costiera italiana e i dati IOM.
- Il nostro calcolo si basa sui dati raccolti da UNHCR.
- IOM DTM dati libici per il 2017, http://www.globaldtm.info/libya/
- OHCHR, UN human rights chief: Suffering of migrants in Libya outrage to conscience of humanity, 14 novembre 2017.