Una riflessione a partire dalla manifestazione di Barcellona in favore dei rifugiati.
Lo scorso sabato 18 febbraio usciva sul quotidiano spagnolo El País un articolo di Elvira Lindo dal titolo “Adiós Gran vía”. L’autrice sferzava una critica alla “moltitudine” attraverso varie citazioni colte. Citava Albert Camus, in difesa “individualismo solidale” contro le società di massa e giustificava la sua postura contro i rischi di una consegna del paesaggio urbano al “popolo”.
Qualche giorno dopo, in un articolo pubblicato sul quotidiano digitale Público, il giornalista Jaume Grau attribuiva al fisico Jorge Wagensberg un’affermazione carica di connotazioni politiche nonché profondamente discutibile: «Siamo individualmente intelligenti e collettivamente stupidi». Tale citazione apriva un articolo mirato, tra le altre cose, a evidenziare la capacità dell’essere umano di incidere negativamente sulla stabilità ecologica del pianeta.
Si tratta di due contributi usciti in giorni differenti, da parte di autori diversi, che hanno tuttavia in comune il fatto di opporre il singolo alla collettività, valorizzando in modo positivo il primo dei due termini.
Stupidità della collettività, paura della moltitudine. Eppure il 18 febbraio non si lascia ricordare per l’articolo di Lindo. Qualcos’altro è accaduto. Lungo le vie della città di Barcellona, si è svolta una grande manifestazione della quale pure i media mainstream hanno dovuto rendere conto. Migliaia di persone hanno riempito le strade per esprimere la volontà di cambiare le politiche europee e nazionali in materia di migrazioni. Lo stesso giorno in cui la giornalista e scrittrice spagnola pubblicava il suo articolo si stava producendo una delle più grandi manifestazioni svoltesi nella città di Barcellona nel corso degli ultimi anni. Una delle più partecipate dai tempi del No alla Guerra del 2004 e la più moltitudinaria tra le proteste svoltesi in Europa contro le politiche di respingimento dei rifugiati.
Secondo la prefettura, centosessantamila persone hanno riempito lo spazio compreso tra la centrale Plaça de Urquinaona e il quartiere della Barceloneta. Una partecipazione tale che quando il percorso si era ufficialmente concluso, alcuni manifestanti erano ancora bloccati all’inizio del corteo.
L’obiettivo di questa manifestazione – una “dimostrazione” (come in inglese, demonstration) della potenza della collettività – era quello di esigere dal Governo spagnolo il mantenimento delle promesse fatte rispetto all’accoglienza dei rifugiati e di dimostrare una maggiore incisività nelle politiche europee di accoglienza e nella risoluzione dei conflitti che interessano la Siria e il Medio Oriente.
Una serie di istanze che si riferiscono allo specifico conflitto che interessa la Spagna e che si manifesta, parafrasando la geografa Doreen Massey, in diverse “geografie del potere”. Da un lato, l’accordo firmato dal Regno di Spagna con l’Unione Europea di accogliere più di diciassettemila rifugiati dei quali, alla fine dello scorso anno, erano arrivati soltanto settecento. Dall’altro, l’impegno del comune di Barcellona a presentarsi insieme ad altri municipi spagnoli come “Città Rifugio”. Un impegno, quest’ultimo, che risulta almeno in parte problematico se si considera il mancato riconoscimento dello status di rifugiati a molti degli attuali abitanti di Barcellona, come migranti, manteros, venditori ambulanti, ecc. Tutto questo, all’interno di uno scenario politico in cui la Generalitat della Catalogna è da tempo impegnata in un estenuante confronto con il Governo di Madrid su principi indipendentisti, con tutte le contraddizioni che ciò comporta.
Di fronte a un evento della dimensione della manifestazione del 18 febbraio, i diversi attori politici hanno dunque cercato di trarne beneficio, fino ai limiti della strumentalizzazione, o quantomeno si sono trovati costretti a farci i conti. Se l’errore principale commesso nell’articolo del País citato in apertura era quello di equiparare “la piazza” con “i consumatori”, l’unica cosa sulla quale è possibile trovarsi d’accordo è il fatto che, ormai da molto tempo, il potere politico tende a disertare lo spazio urbano lasciandolo in mano al mercato e agli interessi che ne orientano la rotta, al Capitale.
Scrive l’antropologo Manuel Delgado che quel fantasma che si aggirava per l’Europa nel XIX secolo – e che ha reso così famosi Marx e Engels – non era tanto “il comunismo” ma, più semplicemente, le masse: collettività organizzate che attraverso un’appropriazione dello spazio urbano seminavano il terrore presso la potente borghesia industriale che si instaurava al comando delle economie nazionali e del potere politico. Il concetto di spazio pubblico e lo stesso sviluppo di discipline come la psicologia sociale e l’incipiente sociologia – da Gustave Lebon a Gabriel Tarde – hanno poi contribuito a confrontarsi e analizzare quel fantasma che inquietava la borghesia. Da allora molte cose sono cambiate, ma non tutte.
Sempre a Barcellona, pochi giorni fa, un atto “individuale” negava la volontà collettiva che aveva trovato espressione nella grande manifestazione. Qualcuno ha dipinto un grottesco NO su un cartello “Volem acollir” (vogliamo accogliere) esposto in una scuola pubblica del quartiere del Poble Nou.
Intelligenza degli individui o stupidità delle masse? Intelligenza delle masse o stupidità degli individui? Vogliamo accogliere o non vogliamo accogliere?
Al di là degli articoli di Elvira Lindo e Jaume Grau e delle loro citazioni, delle loro semplificazioni, resta impressa una frase della manifestazione del 18 febbraio, la potenza di un gesto: Queremos acoger, Volem accollir, “Vogliamo accogliere”, come era possibile leggere nei cartelli dei manifestanti. “Vogliamo”, prima persona plurale. Anche se sono passati più di cent’anni dalle condizioni storiche del loro girovagare fantasmatico, le masse – come il Dinosauro del racconto dello scrittore guatemalteco Augusto Monterroso – restano ancora lí.
(traduzione dallo spagnolo a cura di Elsa Soro)