A partire dagli anni ’80 l’identità produttiva di Bastia Umbra è profondamente mutata. Di quel fiorente polo industriale sono rimaste solo macerie, edifici abbandonati e la memoria dei cittadini.
Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole (Italo Calvino)
Il passato ci appartiene, ed è una delle poche cose che nessuno mai potrà portarci via, perché esso vive non solo nei video e nelle fotografie, non solo nei ricordi o nei racconti. Esso è parte di noi e lo si può ritrovare nel modo in cui parliamo, nel modo in cui camminiamo e ci muoviamo, nel modo in cui ci relazioniamo con gli altri nel modo in cui pensiamo. Le nostre esperienze, le nostre storie, le nostre radici, non servono solo ad essere esposte in bacheca, ma contribuiscono a creare il bagaglio che ognuno si porta dietro durante il proprio percorso di vita. C’è poi, oltre alle singole storie delle nostre vite individuali, una storia collettiva e condivisa, di cui facciamo parte, anche inconsapevolmente, a cui contribuiamo quotidianamente, con le nostre azioni, con i nostri discorsi, pur solo con la nostra esistenza.
Una di queste è la storia della nostra città, che come Calvino aveva ben intuito, ha le sue particolari modalità per essere raccontata. C’è però un capitolo di questa storia che rischia di essere lasciato da parte, nel dimenticatoio. Non parliamo di tempi antichi e remoti, di leggende o miti di fondazione, ma di recente passato.
Nei primi anni del Novecento, l’incrocio di alcuni fattori, quali la posizione geografica strategica, la conformazione morfologica del territorio, la conclusione del periodo mezzadrile e un certo “appeal” imprenditoriale della popolazione, portarono a Bastia Umbra, cittadina del perugino sita all’interno della Valle Umbra del Nord, alla nascita e allo sviluppo di alcuni poli industriali, che alla metà del secolo scorso impiegavano più di un terzo della popolazione residente.
Tutti in paese si ricordano del trambusto e dell’operosità che regnava nel piazzale delle Officine Franchi, storiche officine meccaniche che svolsero un ruolo strategico durante le due guerre mondiali; oppure del via vai che c’era Piazza del Mercato di autobotti della Petrini-Spigadoro S.p.a., eccellenza nazionale nel settore zootecnico e agro-alimentare per quasi tutta la seconda metà del Novecento. I più “cresciutelli” si potranno certamente ricordare ancora le attività della Fabbrica Conserve Pomodoro Lolli; i veterani “bastioli” possono ancora raccontare delle centinaia di “tabacchine” che uscivano in bicicletta dall’opificio del Cavalier Giontella. All’interno del quale, intorno al 1960, oltre a l’aria condizionata, la filodiffusione, il refettorio, l’asilo nido, la sala proiezioni film, la biblioteca, si potevano contare circa 1200 addetti , dei quali la maggior parte donne, le “tabacchine appunto.Forse pochi si ricordano della breve seppur intensa vita della della prima Cantina Sociale dell’Umbria, sorta a Bastia e nata dall’acume di ben 44 imprenditori riuniti. Di sicuro nessuno si ricorderà più della Società Anonima Frigorifero dell’Italia Centrale, unica produttrice e rifornitrice di ghiaccio di tutto il territorio.
Per via di alcune dinamiche, sia interne che esterne alle amministrazioni, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso l’identità produttiva della città mutò progressivamente. Le fabbriche più importanti che si erano installate sul territorio cessarono le attività, una dopo l’altra, per lasciare spazio a nuove tipologie di impresa, come quelle del commercio al dettaglio, dei servizi finanziari e della ristorazione. A questo proposito è emblematica l’inaugurazione nella meta degli anni ’80 del centro fieristico Umbriafiere, uno dei più importanti dell’Italia centrale, che sembra formare uno spartiacque a livello economico nel processo evolutivo della cittadina.
Alcuni degli stabilimenti che rappresentavano la testimonianza incontrovertibile di quel fiorente capitolo della città sono stati abbattuti, senza lasciar traccia. Gli altri sono stati lasciati in disuso, in attesa di conoscere la propria sentenza definitiva, causando per di più un forte degrado urbanistico, considerando che la maggior parte di essi sorgono in pieno centro cittadino. Per ora solo la memoria resiste, ed è soprattutto quella di chi a quegli stabilimenti ha dedicato la vita, che ha riscattato con il proprio lavoro il diritto ad avere accesso al passato, facendo in modo che la propria storia individuale contribuisca alla storia della città. Parliamo naturalmente degli operai, degli imprenditori e delle loro famiglie. Ma cosa succederà quando anche il ricordo ed il racconto si faranno sempre più deboli, quando la memoria collettiva e individuale si affievolirà?
Il rischio che oggi corriamo, in questa turbolenta modernità, che avanza senza sosta travolgendo e fagocitando ogni cosa, è di perdere l’orientamento, di non avere più la possibilità, un giorno, di guardarci indietro per ricordarci chi siamo, dove siamo e soprattutto dove dobbiamo andare, come città e come cittadini.
Credo fermamente che il ricordo e le testimonianze di quell’epoca, materiali ed immateriali, vadano tutelate, in qualità di esperto di beni culturali, ma soprattutto in qualità di cittadino, che può, ma soprattutto deve, attraverso quei segmenti rigati a loro volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole, ritrovare la bussola della propria identità.