Con gli occhi puntati sul lavoro invisibile

Prende avvio oggi la mediapartnership tra il lavoro culturale e i racconti del lavoro invisibileun’opera-progetto di contaminazione tra diverse discipline artistiche che intende esplorare in chiave crossmediale le trasformazioni del lavoro contemporaneo a partire dalle donne.

In un piccolo libricino uscito qualche anno fa Sergio Bologna invitava i suoi lettori a “provare a fotografare il lavoro di oggi”, andando oltre le macerie del Quarto Stato e facendo a meno delle imponenti immagini della classe operaia che di per sé “parlano da sole”: quelle sono icone immediatamente significanti che si imprimono agevolmente nell’immaginario sociale; eppure, poco hanno a che fare con il lavoro di oggi.

Che la questione posta da Sergio Bologna fosse più di una provocazione estemporanea, ce lo ha segnalato un altro evento a mio parere sintomatico: durante le elezioni politiche del 2013 l’esordio grafico della lista Ingroia, volendo denotare la propria appartenenza simbolica all’immaginario del lavoro, dei lavoratori e della sinistra, scelse di utilizzare nel proprio simbolo proprio il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Un quadro datato 1901 che parla di una società pre-industriale. Una società che evidentemente non esiste più.

Fotografare il lavoro di oggi, percepire l’essenza, i valori materiali e immateriali che ogni giorno produciamo, non è solo una sfida estetica. I margini di rappresentabilità del lavoro contemporaneo sono legati a doppio filo alla capacità di produrre una rappresentazione sociale e politica del Quinto Stato, di passare da classe in sé a classe per sé, inventando una nuova società abitabile da quella moltitudine di creativi, lavoratori e lavoratrici della conoscenza ancora privi di una vera cittadinanza sociale in Italia (e non solo nel nostro Paese).

Queste sono le istanze che informano il progetto artistico I racconti del lavoro invisibile.

Nella fase di scrittura le colonne d’Ercole ideali della progettazione sono state la riflessione femminista sulle trasformazioni del lavoro e l’enorme patrimonio di immagini, suoni e storie dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD). Tutto il progetto si sviluppa all’interno della Casa Internazionale delle Donne di Roma attraverso diversi interventi artistici e gioca con il remix audiovisivo delle narrazioni documentarie dell’AAMOD.

Una piccola ma fondamentale nota sul titolo. La scelta dell’aggettivo invisibile non sta ad indicare (solo) ciò che è nascosto, obnubliato o oscurato dai media e dal potere. Al contrario, è proprio la dimensione peculiare del lavoro contemporaneo ad essere così pervasiva, immanente, capillare all’esistenza da diventare invisibile: impercepibile per la legge, indecifrabile ai codici del mercato, non riconosciuto da quella grande parte di società che pensa ancora il lavoro come scisso tra subordinazione salariale e (auto)impresa. Il punto di vista femminista è stato un punto di riferimento lungo tutto il percorso, a cominciare dai testi di Carla Lonzi: sono state proprie le donne le prime a smascherare quanto poco universale ed escludente fosse il progetto di emancipazione della società operato esclusivamente sulla lotta della classe operaia. Per dirla con la formula icastica di Sputiamo su Hegel: “L’oppressione della donna è il risultato di millenni: il capitalismo l’ha ereditato piuttosto che prodotto”.

Gli appuntamenti del progetto sono tanti, alcuni sono già passati, altri sono a venire e si avvicenderanno nell’interno mese di febbraio per culminare il 26, 27 e 28 febbraio.

I racconti del lavoro invisibile si sviluppa concretamente attraverso l’invenzione di strumenti di esplorazione sensibili legati a quattro diversi linguaggi: il 3D videomapping, l’arte pubblica e le pratiche relazionali, l’audiodocumentario, il teatro dell’oppresso. A ciò abbiamo affiancato quattro appuntamenti in cui abbiamo messo a confronto documentari dell’AAMOD e film contemporanei sul lavoro che cambia. L’obiettivo è tanto semplice da dire quanto ostico da realizzare: aprire paesaggi e immaginari inconsueti e porre le domande, quelle giuste, su che cosa facciamo e cosa produciamo quando lavoriamo, oggi.

Sarà possibile seguire lavori, attività e pubblicazioni de i racconti del lavoro invisibile anche seguendo via twitter @lavoroculturale e l’hashtag: #lavoroinvisibile

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