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Gli approfondimenti di lavoro culturale si fanno quadri per l’estate

L’Italia, dimentica del suo passato migratorio, è un paese che fatica ad accettare di essere lo spazio d’arrivo e di passaggio di popoli in transito per il mondo. Transito il più delle volte intrappolato nelle misure di controllo internazionali che i paesi occidentali hanno sviluppato negli ultimi trent’anni, dal profilo sempre più respingente, coattivo, contenitivo. Nella traversata che questi popoli in viaggio per approdare sulle coste di un mondo che si presume sia altro o migliore, si ritrovano storie di vite violate, stravolte, interrotte, che restano il più delle volte depositate sul fondo del mare, aggrappate a una chiglia spezzata, impigliate al ramo di un albero dei mari, di deserti, le foreste che ne hanno disegnato lo spazio della fuga.

Tra le tante persone che migrano dalle proprie terre ce ne sono alcune che scappano per sopravvivere alla morte sicura o alla contenzione forzata per la negazione dei diritti a cui sono costretti, per le violenze a cui sono sottoposti o per la pervasività dei conflitti che minano i loro paesi. L’ordinamento giuridico internazionale, così come quello italiano, prevederebbero un sistema di accoglienza privilegiato per tutelare l’arrivo e la vita di queste persone in fuga. A partire dalla Convenzione di Ginevra del 1951 il diritto internazionale ha infatti cominciato a disciplinare i diritti delle persone in fuga dai loro paesi. Se l’intenzione paventata dai protocolli che si sono sviluppati nei decenni, relativi a questa materia, è sempre stata quella della creazione di un sistema, sempre più integrato ai diritti nazionali, di accoglienza e presa in carico rispetto a questo tipo di migrazioni forzate, nella realtà le condizioni di vita a cui queste persone sono costrette non fanno che creare spazi di continuità con i conflitti e le negazioni dalle quali provengono.

Molto spesso quando si parla di “migranti” si ha la tendenza ad associare qualsiasi tipo di soggettività in movimento allo stesso immaginario, finemente prodotto dai mass media degli ultimi trent’anni, composto da una massa non ben definita di corpi ritratti come uno tzunami pronto a travolgere i nostri confini e le nostre città.
Questo spazio di approfondimento nasce proprio per contribuire alla frammentazione di questo scenario reificante, con lo scopo di restituire volti, storie, anfratti, soggettività alle vite di queste persone in fuga e al contempo strumenti e conoscenze necessarie ad uno sguardo più consapevole sul mondo in cui viviamo.
({Silvia Jop})

 
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