Vorrei tentare un fulmineo montaggio di frammenti estratti dalle macerie della comunicazione contemporanea. Vorrei mettere in relazione un algoritmo e il papa. O ancora meglio, l’algoritmo di Facebook che ha generato i video “2014. Un anno meraviglioso” e la dichiarazione di papa Francesco “Non guardo la TV”. Vorrei giustapporre questi due eventi nella convinzione che il loro muto dialogo possa dirci qualcosa sulle nuove interazioni che coinvolgendo quotidianamente i media, le immagini, le narrazioni, il mondo toccano i nostri corpi e le nostre sensibilità.
1. L’algoritmo
1.1. Vite in esposizione
L’algoritmo di Facebook a cui ho appena accennato ha fatto una cosa semplice: riscostruire la storia di un anno per immagini sulla base di quanto era stato postato volontariamente su un dato profilo FB e sulla base delle immagini che in quell’anno più erano piaciute.
In altre parole FB e il suo algoritmo partivano dal dato di fatto dell’implicita volontà di esposizione di sé e della propria vita di coloro che utilizzano la più popolosa piattaforma social al mondo; dall’altro lato davano per buono che questa volontà di esporsi cercasse consenso e che dunque la migliore ricostruzione di un anno nella vita di una singola persona fosse rappresentata e rappresentabile dalle immagini e dai post con il maggior numero di “mi piace”. Scelta qualitativamente non neutrale. Sta di fatto che l’algoritmo, dal suo ineccepibile punto di vista quantitativo, dava per buono che il numero di like fosse indice di apprezzamento collettivo, di riconoscimento intersoggettivo del contenuto e del suo valore.
Ora, come ricorderete, c’è stato un padre, un designer inglese, che si è trovato sulla sua home page di FB il video del suo “meraviglioso 2014” che recava come prima immagine la foto della figlioletta morta proprio nel 2014, circondata da una cornice di palloncini e di figure festosamente danzanti.
Il padre ha avanzato le sue rimostranze, in primo luogo per non aver mai autorizzato FB ad elaborare e postare il video sulla sua home page. Con l’occasione ha anche esposto il suo dolore e il suo sconcerto per l’accaduto.
Come in un meccanismo che perversamente si autoalimenta l’esposizione del dolore privato ha raggiunto portata mondiale grazie alle migliaia di condivisioni del nuovo post e al rilancio della storia su siti, testate giornalistiche, TV.
1.2. La visibilità ha un prezzo
Ci si potrebbe precipitare a facili conclusioni. In primo luogo scagliandosi contro l’algoritmo insensibile – così qualcuno l’ha definito – colpevole di aver urtato la sensibilità umana.
E invece i paradossi innescati – o semplicemente portati ad evidenza – da questo evento meritano un di più di riflessione.
In primo luogo perché ci parlano del valore espositivo assunto dalle nostre vite, e con esse dagli eventi e dai sentimenti che le popolano. L’inumano algoritmo, infatti, ci ricorda che esporre le nostre vite non è un gioco innocente e privo di rischi. E che la nostra ricerca di visibilità, riconoscimento e apprezzamento sociale ha un prezzo.
Le “informazioni” che immettiamo volontariamente in rete si prestano a essere tradotte – a generare nuove informazioni, nuovo significato, nuovo valore (compreso quello economico) – in modo imprevisto e non voluto. Come capita come quando scopriamo che la nostra vita è divenuta (o potrebbe divenire) trasparente per chi ci vuole vendere qualcosa o ci vuole tenere sotto controllo per le nostre idee e le nostre azioni.
1.3. Modificazioni dell’umano e del non-umano
Tuttavia la cosa più interessante è che a fare scandalo per il senso comune, ancor più che la riutilizzabilità e rivendibilità delle nostre informazioni, è il fatto che la nostra storia possa essere raccontata da una macchina, un algoritmo, che per quanto programmato da umani, sarebbe privo della nostra sensibilità.
Eppure questo algoritmo a cui sarebbe precluso interagire con le nostre immagini, con noi, con i nostri corpi, di fatto ha finito per urtare il nostro sensibile, per entrare in contatto con esso.
La vicenda dell’algoritmo insensibile ha in sé questo di perturbante: nella sua radicale contingenza l’evento che esso produce è di fatto uno shock di sensibilità che porta ad una trasformazione dell’umano e del non-umano.
Questo accidente, in altri termini, ha in sé un’inattesa dimensione interattiva: genera trasformazione passionale, intima e sociale; provoca dibattito collettivo sui rapporti uomo-macchina, mediatizzazione–visibilità; spinge alla stessa ridefinizione del protocollo dell’algoritmo, al ripensamento del suo linguaggio, della sua (inconfessabile) soggettività.
1.4. “Insensibili siete voi!”
Ed è proprio dall’alto, o dal mezzo, di questa soggettività delegata, di questa sensibilità fatta macchina, che l’algoritmo si rivolge a chi l’ha programmato, a noi, per chiederci conto della catastrofe: «È forse colpa mia se l’immagine della bambina è stata inserita in un frame – in una cornice di senso – euforica, addirittura festante? O la colpa è piuttosto della vostra imprudente volontà umana (ergo facebookiana?) di raccontare tutto sotto il segno del “meraviglioso”, come se in un anno della vita di ciascuno di voi non ci sia, non ci possa e non ci debba essere che festa?».
Colto da quest’angolo visuale l’algoritmo insensibile non è poi così insensibile. Anzi. È proprio lui a ricordarci che la nostra pretesa di un’esposizione puramente euforica è una forma di anestesia; che la nostra continua festività mediatica nasconde in realtà una volontà, profonda e di lunga durata, di allontanare la morte, la sua presenza, dall’orizzonte della nostra vita quotidiana (recuperandola poi, in forma distanziata, attraverso il voyerismo per i fatti della cronaca nera nelle sue molteplici traduzioni mediatiche).
1.5. Vita e morte in slide-show
Alla fine della fiera va detto che sarebbe ipocrita, analizzando la vicenda di “2014. Un anno meraviglioso”, non tener conto del fatto che la maggior parte delle persone ha apprezzato il video automaticamente realizzato da FB e postato sulle pagine personali degli utenti.
Questo apprezzamento sembra tradurre in forme nuove quella parabola della visibilità intuita da Warhol negli anni Sessanta. L’idea secondo cui nel futuro tutti avrebbero avuto i propri 15 minuti di celebrità si era tradotta negli anni Novanta nell’invasione della TV da parte di perfetti sconosciuti alle cui imprese mediatiche, al Grande Fratello o a Survivor, veniva dedicato un videoclip finale con i migliori spezzoni della loro effimera notorietà mediatica.
In un tempo in cui l’intero immaginario si fa contenitore della vita quotidiana e delle performance di ciascuno la celebrazione della fine non può aspettare troppo: anche la fine di un anno può andar bene. E un algoritmo può bastare a montare le disperse immagini delle nostre imprese. Che poi questa sintesi della nostra popolarità, questo “best of” dei nostri “magic moments”, resti appannaggio dei pochi visitatori delle nostre pagine ben poco importa: è il principio che conta!
“2014. Un anno meraviglioso”, con il suo video fatto di foto a bassa definizione e di filtri fin troppo abusati, realizza in forma algoritmica quell’esigenza di auto-narrazione propria di un immaginario dominato dall’idea di esistenza in quanto esistenza mediatica.
Popolarità, autobiografia, montaggio d’immagini, senso della fine. Viene da chiedersi come mai sulle nostre tombe ancora non scorrano in slide-show le migliori immagini della nostra vita.
2. Il papa
2.1. Un voto contro la tentazione
Papa Francesco ha raccontato di un “voto” fatto negli anni Novanta: non guardare più la TV.
Un’affermazione, e un fatto, che a prima vista sembrerebbero parlarci della soggettività del pontefice e che invece ci ricordano, in primo luogo, quanto sia potente e seducente la Tv, quando sia difficile non cedere alla tentazione di guardare – il mondo e se stessi – attraverso essa. Con il rischio di finire abbagliati dal suo splendore, intrappolati nella sua stanza degli specchi.
Non ci sarebbe bisogno di fare un voto se non fosse così, o no? La stessa idea di voto non cadrebbe se non portasse con sé un qualche profondo sacrificio?
La frase del pontefice ci parla di questo e altro. Ci parla delle nostre soggettività prima modellate dalla Tv come spazio d’intrattenimento ed evasione ed ora tentate dall’improbo compito di evadere dalla TV e dal suo mondo. Missione quasi impossibile. A meno che non si sia il papa e di nome, per scelta, si faccia Franciscus.
Date queste premesse non stupisce che questo papa piaccia alla sinistra italiana. Ricordate Caro diario? Ricordate Moretti e l’amico intellettuale Gerardo, alle Eolie, intenti a scappare d’isola in isola per sfuggire al richiamo della TV e dei suoi programmi più triviali, come Beautiful? Tutto inutile. Il potere delle grandi narrazioni del piccolo schermo trionfava. Ma non davanti a papa Francesco che già all’epoca, col suo voto, riusciva a realizzare le pulsioni più profonde dell’immaginario di sinistra.
2.2. Una nuova Genesi
Il gesto reso oggi esplicito dal papa, tanto più se inquadrato nell’insieme dei suoi gesti, ci parla di un radicale tentativo di negazione dell’autoreferenzialità dell’involucro mediale nel quale siamo immersi, presi, plasmati quotidianamente.
Davanti ad un mondo d’immagini sempre più percepito come una sfera che tutto ingloba, e tutto con-fonde, il gesto di Francesco sembra invece riaffermare una distinzione fra il mondo delle immagini e la vita “vera”.
“Non confonderai il reality con il reale!”, potrebbe tuonare un nuovo undicesimo comandamento. Molto contemporaneo. E certamente molto gradito ai nuovi realisti.
La cosa tuttavia, così posta, sarebbe troppo semplicistica e troppo retrò. Guardando in prospettiva e in controluce il gesto del papa ristabilisce piuttosto quel minimo iato fra mondi che consente un nuovo costruttivismo, una nuova Genesi ai tempi della medialità onnipervasiva:
«E la vita sulla terra era insignificante, e le immagini saturavano l’abisso e lo spirito si muoveva nell’etere. Il papa senza guardare in camera ma verso la piazza disse: “Buonasera”. E così separò il mondo in presenza dal mondo mediatico. E il mondo poté (ri)cominciare».
Il tutto, ovviamente, a patto di non essere dei creduloni.
Perché se è vero che con i suoi gesti il papa crea nuovamente spazio per quel tanto di prestazione referenziale, per quell’interazione fra immagini mediali e mondo-della-vita, che a torto o a ragione la Tv aveva interrotto fagocitando la vita dentro di sé, ancor più vero è che il papa sapeva e sa che davanti ai suoi gesti veri ci sono delle altrettanto vere telecamere, che riprendendoli e riproponendoli urbi et orbi li fanno essere ciò che vorrebbero essere: esempio, testimonianza, pedagogia.
E tuttavia Francesco fa come se le telecamere non ci fossero. Come se il suo interesse sia per il mondo fuori-schermo, il mondo alla fine del mondo che finalmente si fa presente.
Che poi qualcuno lo riprenda poco male. O tanto meglio.
Che la vita nuova sia vista! Ma che nessuno ri-confonda ciò che è stato separato.
2.3. “Se non vedo non credo”
Più facile a dirsi che a farsi. Visto che in tanti, non potendo toccare il papa, che al contatto peraltro si presta con generosità, devono per forza far di necessità virtù e di immagine realtà.
Perché questo è il punto: il mondo delle immagini è da lungo tempo il nostro mondo di riferimento. Il nostro primo referente condiviso.
Come potrei anche solo parlare dei gesti del papa se non li avessi visti? Non parliamo poi del crederci. Lo sapeva bene San Tommaso, protettore di ogni teoria mediologica: “Se non vedo non credo”.
Insomma, la fuga dall’autoreferenzialità mediatica è più difficile di quanto sembri. L’affermazione del papa da cui siamo partiti dimostra pienamente che un ciclo si era concluso, che la molla della semiosi era ormai scarica ma una volta ricaricata il gioco riparte.
2.4. Interazioni sensazionali
Lo sanno bene i tanti politici italiani che in questi ultimi anni hanno fatto dello sfondamento dello schermo televisivo e delle sue cerimonie, del ritorno alla “gente” e alla “vita vera”, il loro cavallo di battaglia. L’attacco alla TV è avvenuto infatti da altri “schermi”, fossero essi quelli del pc, dello smartphone, delle riviste nazional-popolari: dai sacri blog alle copertine desnude passando per i tweet capaci di dettare i trending topics. Tutto purché non fosse TV.
Le parabole politico-mediali di Grillo, Renzi, Salvini confermano il voto di Francesco: vale a dire quanto il corpo sociale fosse disposto a percepire come autentico solo ciò che fingeva di essere altro dal linguaggio televisivo, luogo per eccellenza di quella politica, di cui Berlusconi è stato il massimo artefice e Bersani la vittima sacrificale, percepita ormai come “distaccata dalla realtà”.
Il corpo politico-sociale ormai anestetizzato, ormai insensibile alle immagini televisive, aveva bisogno che qualcuno comunicando producesse (o fingesse di produrre) una nuova interazione corpo-a-corpo, umore-a-umore, fra leader e elettorato. Il blog-piazza di Grillo, i tweet di Renzi, gli happening a base di ruspa di Salvini. C’era bisogno di qualcosa di diverso per toccare il corpo elettorale – quello che non si è completamente atrofizzato, visti i dati dell’astensione – per far balenare una scintilla di sensazione. Anche a costo di perdersi nelle sensazioni, di consumarsi nel sensazionalismo.
C’era bisogno di qualcosa che si presentasse con un linguaggio diverso da quello della TV. Perché la Tv sapeva di vecchia politica, anzi, era la vecchia politica, la vecchia vita. Che andava rottamata. Per comprare un bellissimo schermo al plasma in cui vedere la nuova politica.
2.5. Hasta il contatto siempre!
Questo è successo. Quando il vecchio dominava il nuovo giocava di sponda con la TV, diceva di essere contro la TV sperando che la TV ne parlasse. Poi, una volta sconfitto il vecchio, la TV è stata invasa. Non c’è voluto molto infatti perché tutto il nuovismo anti-televisivo rifluisse volontariamente nel piccolo schermo, occupandone ogni anfratto.
Insomma, la nuova politica ha rivelato di non essere forse così nuova ma almeno è in alta definizione…e col 3D sembra di poterla toccare!
Da questo punto di vista solo il papa resiste nella sua politica della dis-intermediazione, nella sua vita almeno apparentemente non-televisiva, nella sua estetica del contatto sempre e comunque in presenza. Ma del resto lui ha fatto voto. E non cerca voti. Solo un’interazione, sensibile e (in quanto tale) efficace, con i poveri corpi che popolano i diversi mondi che ogni giorno abitiamo.