Ye are many – they are few!

Peterloo di Mike Leigh.

peterloo Leigh
Stampa raffigurante il Massacro di Peterloo pubblicata da Richard Carlile (Fonte: Wikipedia)

Il 16 agosto 1819 a Manchester, in occasione di un comizio indetto per chiedere una maggiore rappresentanza in parlamento e l’estensione del suffragio maschile, circa 15 persone furono uccise e centinaia ferite dalla cavalleria chiamata dai magistrati locali per disperdere una folla pacifica composta da decine di migliaia di uomini, donne e bambini. 

«La borghesia si è impadronita del monopolio di tutti i mezzi di sussistenza nel senso piú ampio della parola. Il proletariato può ricevere ciò di cui ha bisogno soltanto da questa borghesia, il cui monopolio viene protetto dalla forza dello Stato. Il proletariato, dunque, è di diritto e di fatto schiavo della borghesia, la quale ha su di lui poteri di vita e di morte»1.

Friedrich Engels visse due anni a Manchester e Salford, dal 1842 al 1844. Suo padre lo mandò in Inghilterra a gestire una manifattura nella speranza che, lontano da casa e dall’ambiente in cui stava formando il proprio pensiero, ricusasse quelle idee che dalla sua famiglia di possidenti altoborghesi venivano viste tutt’altro che di buon occhio. Arrivato nella città inglese conobbe quella che sarebbe diventata la sua compagna di vita fino alla di lei morte, Mary Burns, un’operaia dell’industria tessile che lo guidò nel processo di consapevolezza e di conoscenza delle condizioni di vita dei proletari inglesi.

Venti anni prima della pubblicazione de La situazione della classe operaia in Inghilterra Manchester, la città della rivoluzione industriale e delle manifatture tessili, era stata teatro del cosiddetto massacro di Peterloo: anche in questo caso come nella citazione da Engels lo Stato scelse da che parte stare, ovvero di soffocare ogni spinta di autonomia dei lavoratori del tempo.

Peterloo di Mike Leigh inizia sul campo di battaglia di Waterloo e si chiude al funerale di una delle vittime del massacro. Leigh sviluppa il racconto attraverso un lungo gioco di costruzione del contesto che si estende per la maggior parte della durata del film: così vediamo la Gran Bretagna che esce dalle guerre napoleoniche,  la carestia e la crisi economica dovute all’introduzione delle Corn Laws, le malsane condizioni di esistenza e di lavoro degli operai e delle loro famiglie.

Si tratta di un lavoro corale, dove non esistono veri e propri protagonisti anche se la storia prende avvio dal ritorno a casa di Joseph, il soldato che dalle lande belghe della disfatta napoleonica arriva stremato in uno slum alla periferia di Manchester. Qui viene accolto dalla propria famiglia di operai tessili e grazie a loro viene trascinato (e ci trascina) negli ambienti della prime assemblee in cui si discutono le azioni da mettere in campo per affrontare la drammatica crisi economica che in quegli anni colpí braccianti e operai a causa dell’introduzione delle Corn Laws, una misura protezionistica che riduceva alla fame i lavoratori e metteva al sicuro gli affari dei proprietari terrieri.

È qui che vediamo alcune dei personaggi realmente esistiti che furono a capo delle azioni che poi sarebbero dovute culminare con il comizio di Henry Hunt del 16 agosto 1819. Per quasi tutta la sua durata il film si svolge come un lungo montaggio alternato: vediamo le assemblee dei radicali, gli incontri dei magistrati che cercano di fronteggiare il pericolo che viene dal Nord, le riunioni della Manchester Female Reform Society, gli eccessi del re.

Intrecciata alla Storia, basata fedelmente su articoli di giornale, documenti ufficiali e discorsi originali (per la ricostruzione il regista si è avvalso dell’aiuto della storica Jacqueline Riding, che già aveva lavorato con lui per Turner), c’è la microstoria della famiglia di Joseph.

Non stupisce che dalla Storia si passi ad una cronaca familiare inventata ma plausibile: il cinema di Leigh è da sempre costituito da scenari domestici, dinamiche relazionali tra parenti (di solito disfunzionali, ma non è questo il caso), racconti di persone che tentano di conquistare il palcoscenico della vita senza riuscirci.

Peterloo affronta un momento storico in cui un popolo ambisce al suffragio e alla rappresentanza in un periodo in cui, non solo in Gran Bretagna, la democrazia fa i conti con i suoi limiti. Tuttavia il cinema di Leigh non è quasi mai apertamente politico come quello del Free Cinema o del collega Ken Loach, ma lo è per come nell’arco degli ultimi quarant’anni ha messo in scena e raccontato la società inglese nelle sue contraddizioni.

In Belle Speranze (High Hopes, 1988) in piena epoca thatcheriana due personaggi si recano sulla tomba di Karl Marx nel cimitero di Highgate e, mentre discutono dell’importanza delle sue idee, la camera inquadra il dettaglio della lapide che riporta questa frase: “The philosophers have only interpreted the world, in various ways; the point is to change it“. Il regista sembra sempre fare l’opposto nei suoi film: lascia allo spettatore il compito di interpretare gli ambienti piccolo borghesi, la disperazione dei suoi personaggi come cifra esistenziale, la mancanza di prospettive. E non cerca di cambiare proprio niente: denuncia la realtà, l’inadeguatezza di personaggi che non riescono ad aderire alla vacuità che li circonda, racconta figure del passato perché non si dimentichi che i diritti che possediamo (forse ancora per poco) sono radicati in una memoria storica spesso intrisa di sangue, come nel caso di Peterloo.

Nel film dedicato al massacro Leigh ricostruisce la cornice storica attraverso inquadrature per lo più fisse, con molti totali della collettività e con un lavoro sul linguaggio degli attori (che si perde completamente nel doppiaggio italiano) molto minuzioso, frutto di quella collaborazione con il cast che è una cifra del suo modo di procedere durante la preparazione di un film. In linea con un approccio il più possibile realistico, la musica è quasi assente tranne un paio di momenti in cui si fa diegetica grazie ad una donna che canta una ballata che descrive le difficoltà del popolo.

Con l’inserimento di scene che non sono legate alla progressione del racconto ma alla rappresentazione del milieu, soprattutto nella prima parte assistiamo ad udienze dove, per il furto di un cappotto o di buon chiaretto, delle persone vengono condannate a pene aspre e completamente sproporzionate rispetto al crimine commesso. Grazie a queste sequenze vengono alla luce i tratti di una società in cui, ancora agli inizi dell’Ottocento, i rapporti di potere continuavano ad essere esercitati attraverso l’elargizione di pene e supplizi durissimi:

Paradossalmente, fu l’Inghilterra uno dei paesi piú refrattari alla sparizione dei supplizi: forse a motivo del ruolo di modello che era stato conferito alla sua giustizia criminale dalla istituzione della giuria, della procedura pubblica, del rispetto dell’habeas corpus; soprattutto, senza dubbio, perché essa non aveva voluto attenurae il rigore delle leggi penali durante i grandi disordini sociali degli anni 1780-1820. A lungo Romilly, Mackintosh e Fowell Buxton fallirono nel tentativo di ottenere un’attenuazione della molteplicità e della durezza delle pene previste dalla legge inglese. 2

Dopo il lungo prologo in cui si descrive il clima in cui maturò l’organizzazione del comizio di Henry Hunt e che si estende per quasi per tutta la durata del film, si giunge al momento in cui tutte le linee narrative vanno a convergere, in St. Peter’s Field. Quel «piccolo popolo che, dai bordi, va a riempire il centro delle inquadrature»3 del cinema di Leigh, finalmente arriva nella piazza designata: festoso, composito, pacifico. Ed è qui che l’azione subisce un’accelerazione inaspettata e la tragedia ha inizio: quando Hunt apre il comizio i magistrati – fino a poco prima intenti a tracannare chiaretto (lo stesso vino per il cui furto una povera donna era stata condannata alla prigione) – danno ordine alla cavalleria di arrestare lui e gli altri oratori sul palco e di disperdere la folla. Dai piani fissi e dalle scene dialogiche (a tratti sia pure verbose) si passa ad un’azione convulsa e al precipitare degli eventi.

Molti hanno letto Peterloo come una riflessione sui conflitti ancora oggi in atto all’interno delle scricchiolanti democrazie europee ed occidentali e il regista nato a Salford non ha mai nascosto che uno dei suoi intenti era anche questo. Ma Peterloo è molto più di un’opera  militante, di un film bello perché giusto, ed è molto più anche di una commedia alla Mike Leigh. Qui si coniugano scavo filologico, conduzione degli attori e un approccio al realismo molto personale che può essere racchiuso dalla parabola del personaggio di Joseph, frutto di pura invenzione: da Waterloo a Peterloo senza che il suo ruolo di naufrago della Storia perda di credibilità anzi, restituendoci un affresco grazie al quale comprendere pienamente l’attualità e l’importanza di quei fatti per l’Europa e per il mondo di oggi.

peterloo Leigh

* Il titolo dell’articolo riprende il verso conclusivo  del poema  The Mask of Anarchy che P. B. Shelley compose in ricordo dei fatti di Peterloo.

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Note

  1. Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, Roma 1978.
  2. Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi Torino 2014, p. 17.
  3. dalla prefazione di Emanuela Martini a Carola Proto (a cura di), Mike Leigh, Dino Audino Editore, Roma 1997, p. 5
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