Un nuovo cantiere sulla salute mentale – Paragrafo III

Progettualità emergenti e contraddittorie: un monitoraggio su nuovi balbettii di resistenza sociale

Pubblichiamo l’ultima parte del nuovo cantiere sulla Salute Mentale. Negli interstizi dei servizi pubblici e dei territori si muovono nuovi soggetti politici composti da utenti ed ex utenti, familiari, tecnici e cittadini attivi. Sono associazioni, movimenti, cooperative, che quotidianamente cercano di sviluppare forme innovative di azione e di relazione con la circostante realtà sociale.

1. Nuovi soggetti e nuovi movimenti: disorganicità e contraddizioni

L’ultimo fenomeno degno di attenzione è costituito dai nuovi soggetti e nuovi movimenti che oggi popolano il mondo della psichiatria proponendo forme di riflessione, presa di coscienza e azione pratica sulle contraddizioni esistenti. In primo luogo il Coordinamento Nazionale degli Utenti della Salute Mentale sembra essere nato sulla spinta di una genuina volontà di mettere in questione gli aspetti sociali a cui la Salute Mentale rimanda. Tuttavia il coordinamento sconta oggi tutte le difficoltà relative alla sua giovane età e al ruolo di minorità che gli utenti svolgono ancora in molti contesti locali. Alcune scelte, come quella di creare un coordinamento di “singoli” e non di associazioni sono figlie dei rischi che i soggetti associativi composti da utenti ancora vivono nei contesti locali. La paura delle strumentalizzazioni, la difficoltà a fare rete e a dotarsi di momenti chiari e cadenzati di dibattito pubblico sono limiti che oggi rallentano e sottraggono incisività all’azione del Coordinamento. Speriamo che Reparto Agitati possa essere anche uno strumento di coinvolgimento e di sviluppo di dibattito per le persone che ancora non hanno trovato spazi per rendere strutturale e incisiva la propria capacità di prendere la parola.

Sul territorio nazionale inoltre si muovono innumerevoli esperienze interessanti che vedono operatori, familiari e utenti rivolgersi direttamente ai soggetti sociali e aggregativi della cittadinanza, per mettere in discussione il mandato sociale e per sviluppare processi reali di cittadinanza attiva. Reparto Agitati si propone oggi anche come strumento di raccolta delle elaborazioni che localmente germogliano da esperienze di questo tipo. Il Collettivo napoletano “Comitato di lotta per la salute mentale”, il Centro Studi di Salute Internazionale dell’Università di Bologna, il mondo di lavoratori del sociale che si muovono intorno alla socio-analisi narrativa di Sensibili alle foglie, i Cooperanti Sociali di Olinda all’Ex Pini di Milano, il gruppo di soggetti modenesi che sta dietro all’organizzazione di Màt, la settimana della Salute Mentale, il Torino Mad Pride, pezzi sparsi della società civile che abbiamo incontrato in questi mesi manifestano la chiara volontà di riannodare i fili lasciati dal movimento anti-istituzionale ponendosi in una prospettiva chiara di presa di posizione politica e attenzione alle questioni sociali. In innumerevoli contesti, nel chiuso dei servizi di Salute Mentale, si muovono balbettii di resistenza sociale e antistituzionale all’inerzia della prassi psichiatrica.

Ognuno di questi soggetti ha intrapreso strategie individuali, costruito alleanze, aperto fronti e intrapreso modalità peculiari di interlocuzione con le altre agenzie sociali del territorio e con la cittadinanza. L’azione di questi soggetti ha trovato interlocutori più o meno attenti e più o meno strumentali in segmenti del mondo scientifico e sociale. Provando a fare una sintesi, possiamo dire che andiamo verso una scissione che si chiarisce sempre di più: a fronte dei soggetti “tecnici” che sempre più implementano il lessico della meccanica diagnostica, della appropriatezza delle prestazioni e della attenzione epidemiologica alla prevenzione e alla promozione, le associazioni e i movimenti maggiormente impegnati intraprendono la via di un nuovo lessico, fatto di contrattualità, diritti, costruzione condivisa dei contesti sociali. Nel secondo caso, quello del linguaggio della cittadinanza, le cose possono apparire più sfumate perchè si tiene aperta la possibilità di andare a guardare chi “ha voce” nel determinare l’oggettività, da quali situazioni le diagnosi e le prestazioni emergono, in quali contesti e con quali rapporti di forza trae nutrimento l’etichettamento diagnostico e l’orientamento della presa in carico. Il linguaggio tecnico tende invece a difendere la propria spendibilità e la propria neutralità: le prestazioni devono essere erogate, le diagnosi devono essere definite e poi aggregate, la loro definizione servirà per orientare le politiche pubbliche, gli investimenti di spesa, l’allocazione delle risorse. La malattia del linguaggio tecnico tende a presentarsi sempre come dato immediatamente quantificabile in termini di perdita economica per la produttività e il Pil complessivo. Il linguaggio che parla di dolore, oppressione, vuoto esistenziale ed esclusione è meno spendibile in questi termini. Tuttavia in alcuni contesti, una feconda interlocuzione tra soggetti composti da utenti e istituzioni (servizi di Salute Mentale, regioni, università) sta andando nella direzione di provare sempre di più a creare ibridazioni tra questi linguaggi, forzandone le possibilità emancipative e mostrandone anche le contraddizioni. Ciò che sembra dirimente nell’azione di questi soggetti è comunque la capacità di generalizzare le questioni relative alla Salute Mentale. Nella misura in cui questi soggetti riescono a porre temi di giustizia sociale, di qualità delle condizioni di vita, di contrasto ai fenomeni vecchi e nuovi di povertà e di esclusione, sembra che la loro prassi concreta si sviluppi in direzione di una riproposizione e una difesa dell’universalismo dei diritti.

L’altro portato fondamentale delle esperienze più avanzate di queste nuove soggettività è l’aspetto de-reificante dell’azione collettiva. Come è stato più volte sottolineato nei resoconti delle “Assemblee d’ascolto” organizzate dal Torino Mad Pride, il confronto collettivo permette di sottrarre il “sintomo” alla oggettivazione tecnica e di ricostruirne il senso in un percorso di vita collettivamente dotato di significato, condiviso, dialettizzato dalla lettura e dall’ascolto comune, alla pari. In generale, tutte le esperienze genuinamente assembleari sembrano produrre esisti simili. Un esito notato nelle forme assembleari di alcune associazioni modenesi è stato proprio questo: a partire dalle esperienze personali raccontate attorno al tema “abitare” si è arrivati a rendersi conto collettivamente che il tema non coincide totalmente con quello delle “politiche abitative” messo in campo dai Servizi Sociali del Comune e dal Dipartimento di Salute Mentale. Le esperienze personali, una volta raccontate e messe in circolo, diventano vettori di consapevolezze collettive nuove, che vanno a “scomporre” gli oggetti costruiti dalle istituzioni. Se infatti l’istituzione definisce in maniera univoca il “bisogno abitativo”, a cui risponde con le proprie politiche, dall’assemblea emerge che “abitare” è una coagulazione di più significati e più fenomeni, in cui si fondono la casa, la quotidianità delle abitudini e delle relazioni affettive che riempiono o svuotano il senso della vita, la riabilitazione e la riflessione sulle prassi delle cooperative che fanno riabilitazione, la lotta contro la speculazione edilizia.

Tutti questi nuovi significati emergono collettivamente dalla riflessione e dal confronto sulle esperienze personali e rendono evidente quanto sia inerte e asfittico il “bisogno abitativo” per come era stato definito dalle istituzioni. Un altro aspetto, che emerge in modo particolare dall’esperienza milanese della Cooperativa Olinda, ma anche dalla giovane esperienza modenese dell’associazione di promozione sociale Idee in Circolo, è la propensione ad intervenire a beneficio della cittadinanza. Entrambi questi soggetti si pongono come obiettivo la realizzazione di progetti rivolti alla “riqualificazione” della socialità in generale. Offrire spazi, corsi, competenze alla cittadinanza diventa un modo per contrastare quelle spinte individuate nella “accumulazione originaria” che tende a valorizzare il benessere in senso capitalistico. Dal fare “percorsi riabilitativi” questi soggetti passano a rendere le persone con disagio protagoniste di reali progetti di riqualificazione sociale, le cui dinamiche di salute sono offerte alla cittadinanza.

Sulla scorta di queste esperienze, possiamo provare ad individuare una funzione generale delle nuove soggettività che emergono nel campo della Salute Mentale. Essa è la creazione di spazi nuovi di interlocuzione. Per chiarire il senso di questa interlocuzione dobbiamo pensare ancora a come oggi funzionano i servizi e, dentro e fuori di essi, le dinamiche di salute e malattia. Sappiamo bene che anche il consesso più scientifico di scienziati è attraversato da rapporti di forza, che il tecnico è parte di un sistema in cui c’è l’amministrazione, poi gli altri sistemi confinanti, poi la politica, e dall’altra parte ci sono i quartieri, i condomini, le strade. Chiediamoci qual è la possibilità di interlocuzione che i cittadini hanno in tutti i complessi passaggi di questa dialettica. Il rischio che la tecnica sia solo tecnica, quindi cieca alla componente politica dell’azione, può essere svolto e affrontato richiamando i tecnici ad esplicitare il rapporto in cui si pongono rispetto alla contraddittorietà dei mandati che la società affida loro. Nessuna tecnica è “neutrale”, ciascuno dei livelli della società è percorso da contraddizioni e domande differenti, c’è sempre una scelta che definisce quali di queste domande diventano “bisogni” ai quali l’organizzazione sociale deve rispondere. E come ad essi si debba rispondere.

Guarire si può, certo, ma cosa significa guarire? C’è forse una pillola per qualsiasi cosa? In che relazione stanno i malesseri diagnosticati con il malessere dei contesti, con l’esclusività e l’incertezza oggi insiste nella categoria di cittadinanza, con la volubilità dei diritti e la precarietà delle condizioni per esercitarli? Quindi chi o cosa bisogna guarire? Bisogna reintegrare le difformità all’interno di contesti escludenti o guarire i contesti? e, in questo caso, chi può guarire i contesti? Gli amministratori, i volontari, i tecnici, i movimenti? Su ciascuno di questi soggetti si possono fare oggi discorsi pieni di sfaccettature. Tutti conosciamo amministratori che aprono il loro ruolo alla dialettica e amministratori che si chiudono nella loro torre, tecnici che si difendono dietro il camice e tecnici che sanno usarlo anche in modi emancipatori, volontari che bloccano gli assistiti sotto le ali del paternalismo e volontari che permettono loro di coltivare l’autonomia fino a sbocciare. Ciascuno ha indubbiamente una responsabilità personale. Forse però è giunta l’ora di individuare delle parti più chiare tra di noi, al di qua e al di là della giustapposizione meccanica tra tecnici, cittadini e pazienti. Ci sono delle “parti” politicamente rilevanti che si scelgono nella pratica quotidiana, che dicono e ci dicono da che parte vogliamo stare. Questo discorso sta fuori dalle diagnosi e dalle tecniche, ma una discussione aperta sulle tecniche non può che confrontarsi con questo mondo fuori, e con le scelte che fa ciascuno di noi.

In ultima analisi, oggi quando si parla di Salute Mentale si fa riferimento a due possibilità contrapposte: da una parte si parla di un diritto, e attraverso esso, si cerca di svolgere una interlocuzione che fa emergere conflitto sociale: si prende la parola per rivendicare l’esercizio di una vita quotidiana salutare, si mettono in questione i modi di vivere dominanti e si rivela la natura della malattia: e cioè che essa è la forma in cui le contraddizioni sociali si svolgono nel corpo. Dall’altra parte, la Salute Mentale è un campo di accumulazione capitalistica, dei più raffinati e dirompenti nella fase del capitalismo finanziario. Attraverso il tema della Salute Mentale si gioca quella “socialità senza sociale” di cui su questo spazio abbiamo già parlato facendo riferimento a Robert Castel. Le relazioni, l’autoefficacia, la massimizzazione delle risorse
individuali, sono un campo di enclosures tra i più produttivi dell’odierno mercato capitalista. E proprio di violenza si tratta, come in ogni processo forzato di accumulazione capitalistica: basta guardare ai contesti in cui ancora gli strumenti della psichiatria sono usati in senso repressivo, escludente, minatorio, decontrattualizzante. Ogni soggettività attiva nel campo della Salute Mentale non può che svolgersi dentro questa ambiguità.

Nel momento in cui il diritto alla salute perde rilevanza nel dibattito pubblico fino ad assumere la forma remissiva dell’imperativo di bilancio e della giustapposizione tra interessi finanziari, pubblici o privati che siano, obiettivo di questo spazio è guardare alle prassi locali di resistenza allo svilimento neoliberale di questo concetto. Prassi che confusamente si muovono all’interno di campi istituzionali variamente appellati nell’arcipelago ideologico del welfare mix, costantemente in stato di equilibrio “critico” tra violenza politica dell’accumulazione primaria e forme di interlocuzione de-reificanti e conflittuali.

2. Reparto agitati: uno strumento

Resta per noi un problema: la possibilità che il tecnico del sapere pratico possa oggi creare spazi di interlocuzione è tutta da verificare. Per questo Reparto Agitati da oggi si pone come laboratorio aperto promuovendo anche un nuovo tipo di rapporti tra virtuale e reale. Pensiamo infatti che sia nostro compito entrare in contatto con realtà locali e mettere la redazione a lavoro sui contesti locali, usando la pagina come “spazio” e “laboratorio” di riflessioni emergenti da processi locali che vogliono riflettere sul proprio quotidiano. Per questo proponiamo oggi uno spazio i lavoro con varie sessioni e articolazioni interne.

Esperienze, racconti, articoli di riflessione teorica, testimonianze di dibattiti e processi locali, ri-pubblicazioni di testi importanti nel passato, portatori di uno spirito critico che oggi sembra sopito, sono gli strumenti che proponiamo di utilizzare in questo spazio, aprendo la nostra redazione alla discussione di contributi, critiche, osservazioni, provenienti da ogni soggetto interessato a riprendere il filo di discorsi che non possono restare sospesi.

Print Friendly, PDF & Email
Close