Il secondo racconto di Simone Ghelli, dedicato ai frammenti di biografia di uomini e donne che furono ricoverate al S. Niccolò, l’ex manicomio di Siena. La serie #storiedaunexmanicomio è ospitata da MILLEUNA e REPARTO AGITATI.
R.
Con la sigaretta in bocca la R. sembrava sempre lì ad attendere qualcuno. Cercavo di starle alla larga, non riuscivo a guardarla nell’occhio buono (l’altro vagava oltre, al di là, affetto da strabismo). Spesso mi chiedeva se avessi la ragazza e per paura le rispondevo di sì, mentendo spudoratamente sulla mia situazione sentimentale.
In quegli anni portavo i capelli con la cresta alla mohicana e se dovessi trovare una spiegazione potrei dirvi che fosse per mimetizzarmi meglio e passare anch’io per un “ospite”. Sarebbe una risposta affascinante, ma non credo risponda a verità. Forse, più semplicemente, non badavo troppo al mio aspetto esteriore e le attenzioni della R. mi mettevano in imbarazzo.
Non era una bella donna, non ve n’erano là dentro, eppure aveva la sua corte di maschi – uomini trasandati, per lo più avvezzi alle osterie. Avevano messo in giro certe voci, dicevano che facesse dei servizietti per poco, per mille lire appena. Io avevo il terrore che me lo chiedesse, che mi alitasse addosso il fumo un po’ lascivo, ma la verità è che con me non ci ha mai provato davvero.
La R. non aveva bisogno di niente, se non delle sigarette che si comprava da sola. Non credo di averla mai vista con una Nazionale* in bocca. Usciva dal cancello quando voleva, a volte dormiva persino fuori.
Di lei ho un solo ricordo, a dire il vero sfocato, forse un falso. Credo di averla vista una volta con un occhio violaceo, ma potrebbe essere stato in sogno. Si diceva che frequentasse un uomo poco gentile, uno che girava su una vespa bianca e col giubbino in pelle. Qualche volta li ho visti insieme nel parco, in atteggiamenti apparentemente romantici. La R. doveva esserne innamorata, in fondo quello era il suo unico gancio con la realtà, il suo sogno di evaasione. Aveva dovuto scegliere l’ipotesi meno peggiore, per lei non ci sarebbero mai state delle alternative. Non aveva che un paio di vestiti a fiori, forse tre, e il rossetto un po’ pesante e sbafato. Delle volte si concedeva un bicchiere di bianco al bar. Queste erano le poche cose che dovevano farla sentire padrona della propria vita. Tra tutti, la R. era quella che dava meno l’idea di essere un “ospite”. Andava e veniva, non c’era quasi mai. Di lei non ho che pochi ricordi.
[*Le Nazionali erano le sigarette che gli infermieri passavano quotidianamente agli “ospiti” che non avevano il permesso di uscire da soli dal cancello.]