Contro l’università corporation: sciopero della fame a Yale

Perché otto dottorandi dell’università di Yale stanno facendo uno sciopero della fame da oltre due settimane?

Perché questa notizia non riguarda solo un gruppo limitato di studenti-insegnanti ma i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, Trump, e come sono organizzate e strutturate le università?

Per capirlo, bisogna fare una serie di passi indietro.

Lavoratori (atipici) di tutto il mondo imparate a conoscervi

Bisogna capire prima di tutto che fare un dottorato (PhD) negli Stati Uniti è molto diverso da farlo in Europa. Dura molto di più – mediamente più del doppio, sette anni – e comporta insegnare, avere orari lavorativi veri e propri, fare da tutor, insomma lavorare ed educare giovani studenti che, nel caso di Yale e altre università, arrivano a spendere anche oltre 60.000 dollari l’anno. I dottorandi sono lavoratori atipici, anche se non sempre vengono riconosciuti come tali. Sono sicuramente futuri professori, come la retorica aziendalista delle università non manca di ricordare, anche se poi sempre meno dottorandi trovano effettivamente lavoro in università. Durante il loro percorso i dottorandi ingrossano le fila di quell’ampio gruppo di insegnanti universitari precari che sono i contrattisti dell’accademia americana, adjunts,  lecturers, e altre figure che non rientrano in quelli che in Italia sarebbero i professori strutturati.

Secondo dati recenti dell’American Association of University Professors, gli adjunt professor e simili sono il 76.4% degli insegnanti. Va un po’ rivista, insomma, l’immagine del professore universitario privilegiato e con tanto tempo libero. Come la storica Jennifer Klein ha notato, «Yale si affida a dottorandi e altri insegnanti poco pagati per insegnare una buona parte dei propri corsi», così come fanno molte altre università, «non è sconvolgente – continua la studiosa – che questi insegnanti si siano rivolti ai sindacati. Quello che è sconvolgente è come molte università hanno risposto»

Come lavoratori, e come altri lavoratori atipici (vedi gli studenti-atleti, vere macchine da soldi per molte università) i dottorandi americani da anni provano quindi a organizzarsi a livello sindacale. Lapalissiano: lavoro, vorrei essere iscritto a un sindacato, avere qualcuno che possa negoziare con i miei capi – anche se negli Stati Uniti solo una minoranza dei lavoratori sono effettivamente sindacalizzati. Negli ultimi anni molte università pubbliche, e un’università privata (NYU), hanno visto i dottorandi organizzarsi nei sindacati; altri ci stanno provando, e votazioni si sono recentemente tenute in università prestigiose come Columbia, Duke, Cornell, Harvard. Questo è successo anche perché la National Labor Relations Board (NLRB, l’agenzia governativa che si occupa di leggi sul lavoro) ha deciso ad agosto 2016 che sì, questi studenti sono anche lavoratori. Arriviamo, dunque, a Yale, una delle università più prestigiose al mondo, tradizionalmente molto liberal, sita in una delle città (New Haven, Connecticut) dove le organizzazioni sindacali hanno prosperato nelle molte industrie che popolavano l’area. Qui a febbraio gli studenti di alcuni dipartimenti hanno votato per riconoscere il sindacato studentesco Unite Here – Local 33, per la prima volta nella storia dell’università. Lo hanno fatto perché la NLRB ha riconosciuto una particolare strategia – quella di votare solo in alcuni dipartimenti, non tutti i dottorandi dell’università – come legittima. Qui però sono cominciati i problemi.

Università come corporation

Già perché Yale non ha nessuna intenzione di riconoscere il voto, facendo leva su una serie di appigli legali grazie al lavoro di un gruppo di avvocati costosissimo e noto per le battaglie anti-sindacali. Un atteggiamento amaramente comprensibile, visto che in questo caso il datore di lavoro è una gigantesca corporation, che muove milioni di dollari in investimenti, che ha legami strettissimi con Wall Street – certo, naturalmente, Yale è anche un luogo dove l’educazione è di casa, ma non è necessariamente il business principale (ed è, per l’appunto, un business): come ha scritto The Nation, “Harvard [ma vale anche per Yale] è un’enorme investment corporation [società di investimento] che comprende una quantità relativamente piccola di educazione”

Local 33 ha allora iniziato una serie di azioni di protesta, dalle raccolte di firme, alle manifestazione, picchetti, e quant’altro per spingere Yale a sedersi al tavolo e negoziare un contratto di lavoro per i componenti dei dipartimenti dove un’elezione era stata vinta. Non sempre il corpo studentesco è stato completamente in supporto di Local 33, che prima si chiamava GESO (Graduate Employees and Students Organization) e che nel 2003 ha perso un’elezione. Non è facile organizzare lavoratori atipici e flessibili come i dottorandi, per via del costante ricambio generazionale, della scarsa coscienza, se non di classe, almeno della propria condizione di lavoratori, e non è facile organizzare in generale giovani americani con scarsissima coscienza politica. In più, le tattiche di GESO/Local 33 sono state in passato contestate, anche diciamo da sinistra. La situazione attuale è però diversa: c’è un’agenzia governativa, la NLRB, che riconosce dei diritti a un gruppo di lavoratori, e il datore di lavoro che non solo si rifiuta di concederli, ma anche di discuterne. Fa, insomma, come vuole, agendo al di sopra della legge.

Michael Denning, professore di American studies, allievo di Fredric Jameson e Stuart Hall, è molto chiaro in proposito: “L’ondata globale di populismo di destra è arrivata a New Haven il 3 maggio 2017 quando il presidente di Yale Peter Salovey ha firmato un ordine esecutivo, annunciando che Yale si sarebbe sottratta alla legge americana sul diritto del lavoro. Yale infatti si rifiuta di negoziare con UNITE HERE Local 33, che è stata riconosciuta da NLRB come il rappresentante dei dottorandi-insegnanti in otto dipartimenti […] dopo l’elezione di febbraio. Come altri demagoghi populisti, Salovey insiste che il suo punto di vista su cosa sia democratico sia più importante non solo dei diritti dei propri impiegati, ma anche dell’inconveniente procedura legale della NLRB”. L’immagine forse più di successo tra quelle che Local 33 ha proposto è il ritratto del presidente di Yale con in testa una parrucca stile Trump. E i tentennamenti da parte dell’università e del suo presidente, molti sospettano, rispondono anche ad una logica precisa, cioè quella di aspettare che Trump possa modificare i componenti della NLRB e metterci esperti decisamente meno favorevoli ai diritti dei lavoratori.

Sciopero!

Lo sciopero della fame quindi come ultima risorsa. Con un’azione radicale (senza precedenti recenti a queste latitudini), gli studenti hanno occupato l’area davanti agli uffici del presidente Salovey, una piazza molto simbolica teatro di grandi manifestazioni in passato, anche delle Pantere Nere che avevano qui uno dei capitoli più importanti. Qui i primi otto digiunanti si sono accampati, pronti a essere sostituiti quando le condizioni di salute non lo permettevano più – una via di mezzo, insomma, tra uno sciopero a staffetta e uno indefinito. Sembrano fuori luogo le critiche che sono arrivate dall’amministrazione e da alcuni liberal sulla ‘appropriazione’ e quindi depotenziamento di pratiche proprie delle lotte per i diritti civili, come se questi abbiano un qualche copyright, e come se lo sciopero della fame non sia stato usato in molte lotte e contesti diversi.

Uno sciopero che ha il pieno sostegno dell’amministrazione cittadina – saldamente unionista, nel senso di vicina ai sindacati – di tutti i deputati e senatori eletti al congresso per il Connecticut, di celebrità come la cantante Melissa Etheridge, e di un numero incredibile di personalità locali, anche religiose. Tutti sono passati alla tenda dove stazionano i digiunanti, portando una solidarietà attiva e non solo di parola. Intanto una serie di azioni si sono susseguite, da una veglia notturna, a due marce e un’occupazione di incroci chiave della città, a un’azione diretta alla School of Management di Yale (dove si educano gli economisti americani) dove è stato srotolato uno striscione con scritto “Trump University”, per sottolineare i legami tra le università d’élite e il potere economico-finanziario americano. L’offensiva della parte opposta è stata subito molto forte, e non solo quella istituzionale.

Dai giovani repubblicani (non è un ossimoro) di Yale, che hanno organizzato un barbecue davanti alla tenda, ai gruppetti di (solitamente) giovani maschi bianchi che passano davanti irridendo gli scioperanti (“mmm sto morendo di fame oggi”), fino all’anonimo ex alunno di Yale che ha ordinato 200 dollari di pizza per farla consegnare alla tenda. Non sorprende neanche il giovane teorico marxista (evidentemente un po’ confuso) che sostiene le ragioni dell’università dalle colonne del giornale studentesco, mentre le comunicazioni ufficiali dell’amministrazione di Yale sono una via di mezzo tra il paternalistico (“siamo preoccupati per la vostra salute”) e la difesa a spada tratta dei privilegi di cui gli studenti godrebbero. Mentre si schieravano con Local 33 professori importanti come il già citato Denning e Hazel Carby, e fuori dall’università figure di spicco della sinistra americana come Stevan Salaita o Corey Robin.

E articoli sono comparsi non solo sulla stampa militante, come Jacobin, ma anche sul New York Times, il Guardian, Buzzfeed, segno che, forse il digiuno di alcuni studenti-lavoratori parla a questioni più grandi: ai legami, complicati e ambigui, delle università con la finanza, e quindi col potere politico-finanziario; al ripensare i diritti dei lavoratori in un mondo dove il capitalismo, come è sua natura, si adatta e si modifica, e così cambiano anche le condizioni dei lavoratori senza che i diritti cambino a loro volta; a Trump e l’ondata di populismo di destro che cavalca; a che cosa significa privatizzare l’educazione mentre aumentano le università private, quelle for profit, i soldi privati nelle università pubbliche, e via dicendo. Forse l’America non è poi così lontana, e lo sciopero di qualche dottorando una vicenda emblematica e non solo locale.

Print Friendly, PDF & Email
Close