Upwelling

Un film che scompagina.

Una recensione di Giona Nazzaro, Delegato Generale Settimana Internazionale della Critica di Venezia, a Upwelling, la risalita delle acque profonde, vincitore del premio della Giuria a Visions du Réel 2017, come film più innovativo. Upwelling verrà proiettato giovedì 11 maggio alle 18.30 alla casa del Cinema di Roma.

Un film non è mai la semplice somma delle componenti economiche e tecniche che lo rendono possibile. Un film, seguendo un ragionamento oggi forse desueto, ma non per questo meno affascinante, è il risultato delle diverse forze-lavoro che si mettono in gioco rispetto ad esso inseguendo – ed è l’ipotesi migliore, più forte, più necessaria – una comunità possibile. Upwelling è un film italiano di quelli che non si fanno più, purtroppo, ma che con la sua sola presenza ci ricorda che tutto è ancora possibile. Ossia da fare. Silvia Jop e Pietro Pasquetti sono olimpicamente indifferenti ai cosiddetti dibattiti che periodicamente si abbattono sul cinema italiano. Loro fanno cinema e lo fanno posizionandosi prima di tutto sul campo.

Un progetto nato per documentare le varie situazioni occupate in Italia diventa il ritratto polifonico e franto, poliritmico, di una comunità in movimento, cogliendone urgenze, desideri, perché no? velleità, speranze. Un film, dunque. Uno di quelli che quando appaiono sullo schermo si presentano come degli alieni scompaginando tutte le carte dei ragionamenti dominanti. E soprattutto un film sul territorio, ma un territorio non ancora dissodato, non ancora visto, non ancora raccontato. Nel raccontare l’impatto che la giunta di Renato Accoriti ha avuto sulla città di Messina, Jop e Pasquetti s’inventano un film psichedelico, che non dimentica la migliore tradizione della commedia italiana e che piuttosto che saldare e unire cose lontane fra loro usa un montaggio dall’impeto che definiremmo “punk” per evidenziare soprattutto tagli e cesure, fratture e separazioni.

Già, perché Upwelling, in fondo, è una “critica della separazione” realizzata con altri mezzi; come un film. Un film che non finisce. Che continua. Non solo nelle teste, ma soprattutto nel resto delle vite di chi lo incrocia o di chi lo ha fatto. Ed è soprattutto la dimostrazione, l’ennesima, che il cinema italiano, o almeno: un certo cinema italiano, non attende indicazioni dall’alto e il futuro e le possibilità se le gioca tutte sul campo. Ed è per questo motivo che Upwelling si rivolge a tutti noi come “comunità”. Una comunità possibile in grado di ripensare il gioco del cinema. Non sorprende quindi se nel film affiorano echi di un cinema forse dimenticato (Grifi, Brocani e altri…) ma mai dimenticato. In ogni stacco di montaggio, in ogni inquadratura che si oppone a quella precedente, Upwelling afferma una necessità che ha la grazia di darsi come piacere ludico della scomposizione del cinema per ritrovare nuove unità e nuove complicità, altrove.

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