Quando la differenza scende in campo

di Maria Luisa Boccia

 

In seguito alla pubblicazione del post su fùtbologia e genere, ha cominciato a svilupparsi una matassa di riflessioni sia in coda al pezzo che dietro le quinte. Per questo abbiamo deciso di cominciare ad aprire nuove finestre in cui inserire alcuni dei contributi che ci paiono più fertili e stimolanti nella speranza che questa riflessione critica si faccia sempre più condivisa.

Alle sollecitazioni che le abbiamo rivolto, Maria Luisa Boccia ha risposto con la generosa lettera che pubblichiamo.

Cara Silvia, ho letto tutto con piacere ed interesse, anche se il calcio è molto poco presente nella mia vita. Non solo io, ma anche Marcello, i miei nipoti e molti miei amici non guardano partite, tantomeno giocano. Ma le questioni che sollevi, e quelle poste in molti interventi che hai sollecitato, riguardano il calcio e non solo. Direi che più in generale si può porre la questione così: donne e uomini si appassionano allo stesso modo anche quando l’oggetto della loro passione è lo stesso? E mettono in pratica le loro passioni allo stesso modo? E le raccontano allo stesso modo? Insomma è una questione di contenuti, di esperienze che, fin da piccoli, distingue e divide gli uni dalle altre (calcio e barbie, per stare al vostro dibattito). E la questione è se questa divisione – costruita – basti farla cadere, condividendo contenuti ed esperienze senza distinzione di genere, ibridando le esperienze stesse, scambiandosele (uomini con le barbie e donne con il pallone), anche tra loro, sia i maschi che le femmine. E già qui la simmetria salta, perché ci sono maschietti che giocano con le barbie o da soli – sospetto, sospetto di essere femminucce! – o insieme alle femmine –, ma non ci sono, non mi pare, maschi che tra loro giocano con le bambole, mentre ci sono squadre di calcio femminili, palestre e tornei di boxe, ecc.

Oppure, come io penso, il fondo vero della questione – lì dove la differenza non sta nello schema delle identità e dei ruoli costruiti – è che le donne e gli uomini pensano e fanno differentemente le cose tradizionalmente assegnate all’uno o all’altro sesso? Se è così, è perché hanno geni diversi? Non credo, non mi risulta, anche se ci provano di continuo a misurare la differenza con questo parametro. Piuttosto perché ogni uomo (maschio) e donna (femmina) seppure sceglie, si appassiona, fa, pensa, sottraendosi alla costruzione dei due generi – millenaria –, con quella costruzione non può non fare i conti. Meglio saperlo, che non illudersi del contrario. E vorrà dire, ad esempio, che una donna quando gioca a calcio non ha dietro di sé tradizione, culture, comportamenti, storie (o meglio ci sono ma sono poche, molto poche e, rispetto a quelle degli uomini, non fanno né genealogia né senso comune condiviso). E viceversa per un uomo che gioca con barbie; o fuori di metafora che presta “cure materne” ad un piccolo umano (quanti racconti, letterari o visivi, di questi padri/mammi). Sta infatti a noi, donne e uomini, darle un significato e un posto nelle vite e nel pensiero umano. Se invece si prende la scorciatoia che non ne ha più (significato e posto) si avranno amare sorprese. Perché sono infinite le combinazioni che la differenza può assumere, nel prisma del gioco libero che smonta e rimonta culture e tradizioni dei due generi. Mentre è sicuro che il neutro non abita questo mondo, quando si manifesta non è altro che il maschile camuffato per giocare la partita di cui sopra, truccando il gioco.

Sul calcio, cara Silvia, un solo breve cenno, quasi biografico. Una mia cara amica mi disse molto tempo fa, che il calcio era la cosa che più invidiava agli uomini. Non perché voleva giocare e non glielo consentivano, ma perché costituiva un mondo che li univa, pieno di codici, riti, figure, odi ed amori. Un mondo che mette in gioco e in metafora quello che è accaduto nella storia della civiltà. Il patto sociale da cui hanno escluso le donne non è forse rappresentato e ricreato in ogni partita e in quello che le ruota attorno? E le donne possono entrare nella partita, così come sono entrate nella cittadinanza, ma il gioco è quello. Ecco, la mia amica invidiava questa “naturale”, “familiare” rispondenza tra gli uomini ed il calcio, difficile da far propria per le donne, perché loro – noi – non eravamo lì quando è stato inventato e per molto tempo sperimentato, mettendo di volta in volta a punto questo o quell’aspetto. Per questo motivo, ti confesso, a me appassiona di più inventare con donne un altro gioco, fuor di metafora: un altro patto, e invitare gli uomini che sono interessati a parteciparvi. Lo confesso, ho l’ambizione di essere autrice, e non solo attrice, dei giochi che faccio. Non da sola ovviamente, perchè mi divertirei molto poco. È stato davvero un grande piacere ritrovarti, carissima Silvia, e spero che accada ancora.

Un abbraccio

Maria Luisa

Print Friendly, PDF & Email
Close