Al Teatro del Popolo di Colle val d’Elsa, venerdì 23 ottobre inizia “Africa From Nowhere – Musiche d’Africa Metropolitana”. Proponiamo una riflessione sul primo dei gruppi che compongono la proposta musicale, i Mbongwana Star, che prosegue il 30 ottobre con i BLK JKS.
“Staff Benda Bilili’”: “Vedere oltre le apparenze”. Aveva questo titolo il gruppo musicale che ha portato Coco Yakala Ngambali e Theo Nzonza Nsituvuidi insieme ad altri compagni di strada dal cuore di Kinshasa ai più disparati palchi del mondo. Questo gruppo, nato fra le strade della capitale congolese e formato da musicisti senzatetto e disabili (molti dei quali affetti da poliomielite nei primi anni di vita), era diventato un forte punto di riferimento e di ispirazione per quelli che, come loro, erano finiti a vivere in strada, non potendo contribuire al reddito delle proprie famiglie.
Nel 2010 il gruppo venne trasformato in icona internazionale dal documentario Benda Bilili ed i suoi musicisti acclamati per la loro energia, per i loro strumenti musicali costruiti con materiali di scarto, nonché per il loro impegno nel sostenere la causa di cui portavano il nome. Nel 2013, sfortunatamente, a causa di varie incomprensioni che hanno caratterizzato l’industria musicale occidentale (per maggiori info qui), il gruppo si sciolse.
Coco e Theo, rispettivamente compositore/cantante e vocalist del gruppo, non avevano però alcuna intenzione di abbandonare i palchi internazionali né di smettere di fare musica. Si sono infatti lanciati in un nuovo progetto musicale, intitolandolo Mbongwana Star, mbongwana che in Lingala significa “cambiamento”. Un cambiamento non solo dal punto di vista della formazione della band, ma proprio integrato in una ricerca di nuove sonorità, una voglia di sperimentare e di spingere la propria musica oltre quell’innovazione che Staff Benda Bilili aveva già raggiunto. Durante quel progetto i diversi strumenti musicali da loro fabbricati e successivamente amplificati hanno dato alle canzoni in pieno stile di rumba congolese un sapore particolare, condito dai soli di satonge.
Questa innovazione acustica, dettata dal contesto particolare in cui si sono trovati a fare musica, è stata ripresa dai Mbongwana e spinta ancora più in là, alla ricerca di nuove sperimentazioni e contaminazioni attraversando e creando ponti tra vari generi musicali.
Per raggiungere questo obiettivo hanno coinvolto tre giovani musicisti: il chitarrista Jean-Claude Kamina Mulodi (detto “R9” perché era il nono figlio della sua famiglia), “Randy” (Makana Kalambayi), un ragazzo di strada già al lavoro sulle percussioni degli Staff Benda Bililli, e “Sage”, il figlio acquisito di Coco, come altro vocalist. Si sono rivolti al musicista/produttore irlandese stabilitosi a Parigi Liam Farrell (in arte Doctor L), il quale non solo ha assunto il ruolo di produttore, ma è diventato parte integrante del gruppo come bassista e direttore delle sonorità più “sporche”, condite di suoni elettronici e distorsioni.
La sua agenda è piuttosto chiara: “cambiare i classici preconcetti sulla musica africana”, ma sembra cogliere appieno la volontà stessa dei fondatori del gruppo, più che apparire come un’imposizione dall’alto. Nonostante si sia guadagnato la fama di personaggio controverso in alcune interviste, egli ha presentato un approccio relativamente nuovo, che vede una collaborazione diretta con tutti i musicisti e una presenza e contributo come membro della band; questo in contrasto con la tendenza di alcuni produttori occidentali spesso coinvolti nella direzione artistica durante la registrazione degli album e raramente citati come parte integrante delle scelte musicali, seguendo quel principio secondo cui questo serva a rappresentare una supposta maggior “autenticità” o “africanità” del gruppo.
C’è da dire poi che, se alcune sonorità sono apparse nuove ed estreme per i membri più anziani, non è stato lo stesso per i giovani, che sono stati esposti, e hanno avuto un accesso più facilitato, a generi diversi (hip hop, musica elettronica, techno eccetera) grazie all’avvento delle nuove tecnologie. Ciò che colpisce molti ascoltatori è la facilità con cui questo gruppo di musicisti riesce a districarsi fra stili musicali differenti e riesce a fare queste nuove sonorità proprie molto facilmente.
Negli anni Settanta, una legge dell’allora presidente Mobutu Sese Seko prevedeva uno sconto sulle tasse doganali per i disabili, facendo in modo che si guadagnassero da vivere come accompagnatori attraversando il fiume Congo di continuo. In un ambiente dove la relazione con il proprio territorio è fondamentale, mi chiedo infatti quanto la predisposizione all’attraversamento dei confini abbia per i membri più anziani facilitato questo processo di commistione di generi musicali.
Il suono di Mbongwana Star è particolare: chiaramente caratterizzato da vocalità e melodie ereditate da una lunga tradizione di rumba congolese e soukous, esso spinge verso sonorità rock, elettroniche, punk, che al tempo stesso si sposano o rimangono fedeli ad alcuni aspetti del paesaggio sonoro che caratterizza la metropoli congolese che ospita oltre dieci milioni di abitanti. A detta del produttore Doctor L, infatti, la costante presenza di bassi ridondanti e riverberati, chitarre distorte e suoni saturati in ogni composizione, serve a ricreare quel particolare paesaggio sonoro che caratterizza alcune strade di Kinshasa. L’unicità di questa estetica acustica è dettata dalle televisioni che, non dotate del compressore dei livelli audio, producono suoni saturati che si sommano e amalgamano a quelli della trafficata e vivace metropoli.
Questa scelta inoltre influisce sulla distribuzione dei volumi, portando in secondo piano le voci, generalmente prominenti nella musica congolese degli ultimi decenni. La collaborazione con Konono N1, gruppo che ha conosciuto fama internazionale specialmente con la serie Congotronics — caratterizzato da likembe amplificati e a volte distorti — rinforza questa ricerca di nuovi suoni che in parte scaturisce proprio dal cuore della RDC.
I Mbongwana Star si qualificano per la ricerca di collaborazioni non solo con altri musicisti, ma anche con altri artisti che operano sul territorio e propongono riflessioni evocative. Il video musicale di Malukayi, nonché la copertina stessa dell’album di debutto, ha come figura principale un astronauta. Tuttavia non si tratta di un astronauta qualsiasi, ma è il frutto di un pluriennale progetto artistico intitolato Kongo Austronauts, un collettivo artistico che presenta riflessioni postcoloniali attraverso questa figura (la cui uniforme è creata con materiali di riciclo) che esplora con occhi alieni le periferie e i ghetti (fisici e psicologici) di Kinshasa, luoghi di resistenza e di scontro/confronto di realtà molteplici.
La presenza di questo astronauta si manifesta improvvisamente in vari luoghi della città facendo breccia nel tessuto quotidiano, obbligando i suoi osservatori a fare ipotesi e congetture su chi sia e quale ruolo abbia. Di cosa possa essere emblema non è dato sapere, se sia portatore di prospettive positive o negative, nemmeno. In un contesto ancora instabile e segnato da recenti guerre, questo cosmonauta argentato crea così uno spazio nuovo. Uno spazio momentaneo, in cui prolifera la scommessa e la speculazione riguardo a un futuro che ancora non ci è dato conoscere, in bilico tra speranza e disillusione.
Ed è in questo spazio abitato da proiezioni e speculazioni sul futuro che operano anche i Mbongwana star, evocando delle realtà— sonore e visive — che offrono mondi altri, che spezzano con il passato, ma ne rimangono in relazione, seppure per contrasto.
Non è quindi casuale la scelta di questa figura per accompagnare il progetto dei Mbongwana Star. La prima traccia dell’album infatti s’intitola From Kinshasa to the Moon, rimarcando l’ambizione di superare non solo i limiti locali e nazionali, ma anche quelli planetari. Chiari richiami al movimento Afrofuturista, ma che rimane ancorato alla realtà di partenza, reinterpretandola in una nuova luce.
Pensandoci, forse, quello che i Mbongwana Star vogliono ricordarci è proprio che, a volte, bisogna andare sulla luna per tornare sulla terra ed essere accolti non come alieni (emblema di alterità, alienazione ed emarginazione) ma come esploratori che hanno scoperto mondi sonori nuovi, che li hanno fatti propri e che li riportano come doni ai propri conTerranei. Ed è spesso dai margini, sia della società che dei confini territoriali, che scaturisce con spontaneità la voglia e/o necessità di esplorare nuovi immaginari dove reinventarsi, nuovi territori da abitare e paesaggi da musicare.
Che sia fantascienza fine a se stessa e staccata da una realtà quotidiana? Forse. Ma qualcosa mi dice di no. Forse il fatto che da qualche tempo a regolare il traffico di Kinshasa ci sono dei giganti robot ad energia solare?
info: www.sonarlive.com / www.teatrodelpopolo.it
dalle 20:00 con djset, apericena, musica dal vivo
ticket: 10 euro