London riots: la rivolta dei poveri con smartphones e scarpe nuove

di Luca Russo

 

La tensione si avverte ovunque, “riot” è sulla bocca di tutti, sirene spiegate per le strade. Un po’ per la pedante cautela inglese, un po’ per l’allarmismo che prende piede in queste occasioni i negozi e i supermercati sono chiusi, gli uffici si svuotano in anticipo e arrivano email del tipo: “Due to this time of unrest in London your safety is the number one priority to our company. If at any time during your duties you feel uncomfortable or threatened please be sensible and remove yourself from the threat. This may be common sense but we don’t want you to feel pressurised to complete your duties in an unsafe environment.” Londra cosmopolita, Londra grande esperimento sociale, Londra melting pot. A quanto pare no, niente si mischia nel grande calderone della capitale inglese, i ricchi con i ricchi, i poveri con i poveri, i neri con i neri e la polizia a metterci una pezza. Quello che sta succedendo in queste ore a Londra in seguito all’omicidio del 29enne Mark Duggan pare essere il risultato di anni e anni di una sorta di neo-ghettizzazione, per la quale la popolazione della capitale inglese è composta da gruppi e strati che non si mischiano e intersecano tra loro, ma rimangono separati. Allora la rabbia accumulata in anni di umiliazioni e frustrazioni subite dalla polizia che ti ferma e perquisisce perché sei nero o corrispondi ad un certo stereotipo, si sfogano nel peggiore dei modi: si dà fuoco agli edifici, si spaccano vetrine, si saccheggiano negozi e si crea il caos dove prima, almeno apparentemente, c’era l’ordine. Mi sintonizzo sulla BBC e un professore universitario nero mi dice che questi ragazzi si stanno liberando da un’oppressione e una persecuzione che subiscono quotidianamente e vedono nelle forze dell’ordine un nemico che li tratta diversamente solo per le loro origini e per il fatto di vivere in un determinato quartiere. Penso a quello che dice, mentre scorrono le immagini delle notti scorse con edifici in fiamme e ragazzi dai volti coperti che lanciano oggetti in ogni direzione. Il discorso delle etnie a compartimenti stagni, delle umiliazioni e frustrazioni ha certamente senso, ma qui sta succedendo qualcos’altro. Pensavo fosse un discorso di disagio sociale, e invece no, almeno non è quello che questa gente mi sta dimostrando: se ce l’hai con la polizia vai a tirare sassi ai blindati, non a svaligiare negozi, non a sfondare le vetrine per prenderti l’ultimo paio di Nike da Foot Locker o il televisore HD, non a dare fuoco ai charity shop, non a svuotare il banco delle sigarette e degli alcolici di un off-licence. Più che con uno strato sociale in rivolta per le proprie condizioni sembra di avere a che fare con degli studentelli che si proclamano in autogestione per fare i grandi e poi giocano a calcetto in palestra. Per tre notti la polizia ha fatto fatica a tenere la situazione sotto controllo, ma per stanotte si prevede che 16000 agenti saranno in circolazione, apparentemente molto arrabbiati visto che le loro ferie sono state revocate. Anche il primo ministro Cameron ha compromesso le sue vacanze per sistemare la situazione e mentre psicologi, sociologi e analisti di ogni tipo tirano fuori teorie di vario genere, la verità, come sempre, viene fuori da chi le situazioni le vive in prima persona:

[Luca Russo lavora a Londra come digital editor, gli abbiamo chiesto un parere su quello che sta accadendo in questi giorni nella capitale inglese]

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