Frammenti di un discorso antimafioso

In questi giorni Gianpiero Caldarella[*] ha pubblicato Frammenti di un discorso antimafioso (Navarra, 2015), un piccolo glossario di mafia e antimafia con 55 Frammenti. Proponiamo di seguito alcuni estratti del volume, disponibile nelle librerie siciliane e dal prossimo 5 novembre distribuito in tutta Italia.

Dalla Prefazione di Gianfranco Marrone 

Nella nostra sensibilità sociale e culturale […] non ci sono soltanto i mafiosi (da una parte) e gli antimafiosi (dall’altra), ma anche […] altre figure possibili: i non-mafiosi e i non anti-mafiosi, per esempio, come pure i mafiosi antimafiosi o tutti quegli altri che si potrebbero definire né mafiosi né antimafiosi. Sei occorrenze, insomma, contro le solite due. […] Complice quella fitta schiera di illustri personaggi pubblici sedicenti antimafiosi ma pragmaticamente mafiosissimi che da qualche tempo riempie le pagine dei giornali – all’opposizione semantica semplice /mafia vs antimafia/ non crede oggi più nessuno. Come talvolta accade, l’esempio produce, più che la teoria di cui vuol esser tale, la realtà effettuale da cui viene preso a prestito. E Gianpiero, ci giurerei, deve averci pensato. Il quadrato semiotico – evocato del resto in apertura – avrà frullato nella sua mente. E se scavate un po’, fra un frammento e l’altro, ne troverete facilmente traccia.

[…]

C’è stato un tempo in cui la mafia sembrava non esistere, sembrava cioè non possedere realtà propria. Di modo che il fatto stesso di segnalarne la sussistenza era, di per sé, bastante ragione per opporvisi strenuamente. L’antimafia nasce così, ab origine, come dito puntato su una realtà fumosa eppure reperibile, indice sussultante ma coraggioso su una porzione di mondo generalmente sconfessato o, peggio, non adeguatamente percepito, eppure a poco a poco emergente come insieme di entità dure e pure di cui rendere conto. Il gioco retorico era tutto racchiuso nella dicotomia esiste/non esiste, entro un campo d’azione che i filosofi chiamerebbero ontologico, legato cioè all’essere delle cose, alla loro realtà effettuale. A poco a poco, però, è divenuto sempre più evidente che a essere operativo, a funzionare nel gioco politico e sociale (ed economico, e giudiziario, e culturale) è soprattutto il linguaggio, il suo valore performativo, la sua capacità di agire nel mondo e, se del caso, di cambiarlo.

Parlare della mafia, ricostruirne le cronache, farne una storia, fare dello storytelling, produrre dei film, tenere, insomma, viva l’attenzione e la memoria tramite un qualche testo era ed è, senza dubbio, il modo migliore di contrapporsi a essa: se alla mafia spetta il silenzio (o, se si vuole, l’omertà) all’antimafia tocca, appunto, la parola. Il passo successivo è quello perfettamente messo in luce da Gianpiero. Non occorre pensare alla mafia e all’antimafia come tali, realtà a sé stanti, e poi ai linguaggi che ne parlano. Realtà e linguaggio, esistenza e significati sono una sola e medesima cosa. Sono cioè, in un solo termine, discorso, entità che racchiude, intrecciandoli di continuo, le cose e le parole, i comportamenti e i segni, le azioni e i testi.

Frammenti di un discorso antimafioso

Questo libro nasce a Bruxelles, dove vivo da qualche mese. Mi sono allontanato dall’Italia, quantomeno fisicamente, e mi sforzo di parlare un’altra lingua, con la consapevolezza che prima di farsi capire, bisogna cercare di capire, di comprendere. Le parole e i fatti spesso si mescolano, e allora bisogna impegnarsi per trovare una chiave, che spesso si trova proprio lì, davanti agli occhi, e appare quasi per caso. Accade così che nel pianerottolo dell’appartamento dove vivo, c’è una gran bella libreria e lì ho ritrovato casualmente i Fragments d’un discours amoureux di Roland Barthes, nell’edizione originale del 1977, naturalmente in francese.

[…]

Si impara a fare tesoro della distanza, da questa capitale dove si mescolano le lingue di tutta Europa, dove la parola “mafia” ha un sapore quasi esotico, ma dove si convive con le lobbies che influenzano i giochi del Parlamento europeo. È proprio grazie alla distanza che il flusso di notizie che arrivano dall’Italia sulle mafie e sulla crisi dell’antimafia, riesce a non scivolarmi addosso. Quel libro sul pianerottolo diventa la chiave per cercare di ridefinire in modo satirico la questione mafia-antimafia senza nessuna pretesa di esaustività. La storia d’Italia e le tante storie legate alla galassia mafia-antimafia si intrecciano all’attualità e il paradosso è sempre dietro l’angolo, dove si sente qualcosa che precipita. Ma cosa? È l’antimafia che va a rotoli. Quella d’apparato – intendiamoci – osannata, scortata e foraggiata da istituzioni troppo spesso specchiate come le interiora del maiale […]. Da più parti si sente il bisogno di rifondare un linguaggio antimafia che si allontani dai vecchi e consumati cliché dove da una parte c’era lo Stato e dall’altro la mafia”.
[…]
“Al di là delle emergenze, spesso create a tavolino, ciò che si avverte, col senno del poi, è la netta sensazione che un discorso sulle organizzazioni criminali oggi sia possibile solo a partire da una prospettiva post-antimafiosa, all’interno della quale non vi sia spazio per la retorica, né per l’imbarazzo generato dal politicamente corretto. E la satira è un ottimo strumento per cercare di sbrogliare questa matassa, con la gioiosa consapevolezza che si può rendere il “favore” a quanti ci pigliano per il culo da decenni raccontandoci storie di comodo e d’apparato e secretando tutto il resto”.

Quattro frammenti

Gadget
I feticisti delle reliquie impazziscono per i gadget. Nell’epoca della riproducibilità tecnica, non solo il segno artistico ma anche quello morale può essere clonato e smarmellato su migliaia di magliette inneggianti a valori e personaggi che nulla hanno a che vedere con chi li porta in giro o li indossa credendosi solo per questo a posto con la coscienza. Una favola in quadricromia, quasi sempre su fondo noir e di fabbricazione cinese che ha la sua morale e i suoi trend. E così l’indice di quotazione della t-shirt con la foto di Giovanni Falcone ha superato quello della maglietta di Peppino Impastato. Una cordata tutta italiana che per la prima volta nella storia ha la possibilità di superare in curva la quotazione della t-shirt di Che Guevara: “Hasta l’antimafia siempre!”.

Legalità
Legalità è ormai una di quelle parole passepartout che si usano dappertutto, un po’ come una volta si usava la parola «cioè» quando si veniva interrogati al liceo e non si sapeva come fare ad evitare la scena muta. “Il congresso di Vienna venne firmato nel cioè, dopo la fine della guerra di cioè, dai rappresentanti degli stati di cioè, cioè e cioè…”. Allo stesso modo, al giorno d’oggi “parole di legalità sono state pronunciate nel treno della legalità che è stato imbarcato sulla nave della legalità, per far assaporare agli studenti della legalità un percorso di educazione alla legalità attraverso il viaggio della legalità, assaporando i prodotti della legalità venduti nelle botteghe della legalità nate dal progetto per la legalità, avviato con la ratifica del protocollo per la legalità sottoscritto dal delegato per la legalità…”. Ok, ok, ok, abbiamo capito. L’abuso e lo stupro di una parola non sono ancora considerate pratiche illegali. La speranza però rimane.

Doppiogioco
Qualcuno doveva pur sospettarlo che siamo passati troppo in fretta dal dire: “la mafia non esiste” al dire: “siamo tutti antimafiosi”.
Un bel gioco dura poco, ma un bel doppiogioco può durare tutta la vita e in ogni caso, ammesso che si venga scoperti, il dio della prescrizione di andreottiana memoria è sempre pronto ad insabbiare tutto. Certo è che le vicende degli infiltrati nell’antimafia sono più coinvolgenti di quelle del controspionaggio ai tempi della guerra fredda. John Le Carré avrebbe potuto scriverne il seguito de La Talpa. Titolo suggerito: La Polpa, intesa come marito del polpo, cugino stretto della piovra. Perché la famigghia rimane sempre la cosa più importante ed avere un anti-antimafioso in casa è come avere una gallina dalle uova d’oro adagiata su delle mazzette di platino. Qualcuno doveva pur sospettarlo che siamo passati troppo in fretta dal dire: “la mafia non esiste” al dire: “siamo tutti antimafiosi”. A forza di dire “anti”, ci siamo persi per strada il significato della parola mafia. Dite di no? E allora sapete dirmi da che parte sta – e qui è meglio che cominciate a contare – un anti-anti-anti- anti-anti-anti-anti-anti-antimafioso? Perché a questo punto, fino a quando non brevetteranno il certificato anti-anti-antimafia, la matassa sarà difficile da sbrogliare.

Pizzino
I nazisti usavano il sistema “Enigma” per rendere sicure le loro comunicazioni e gli inglesi, guidati dal matematico Alan Turing, ci hanno messo tre o quattro anni per capire come funzionava. I mafiosi invece usavano i pizzini e in questo modo Provenzano e soci hanno potuto comunicare indisturbati per una quarantina d’anni. L’imperfetto è d’obbligo, perché di questo strumento, il pizzino, non si è più parlato o quasi dopo la sbornia mediatica seguita all’arresto di Provenzano nel 2006. Ma in quel preciso momento storico non c’era giorno che non si annunciasse il ritrovamento di un nuovo pizzino, con la stessa enfasi con la quale si annuncia in tv un nuovo modello di iPhone. E così il pizzino che era stato pensato come un oggetto da passare di mano in mano, finì per diventare solo una parola che passava di bocca in bocca con la stessa frequenza della parola “minchiata”. E anche i più autorevoli dizionari italiani, compresa la Treccani, l’hanno promosso a parola di serie A, dicendo spesso delle corbellerie. Ad esempio sul vocabolario Garzanti online alla voce “pizzino” si legge: “piccolo foglio di carta usato dai boss mafiosi per comunicare con i propri affiliati”.
In realtà, qualunque siciliano sa che il pizzino è l’antenato resistente del post-it, e per questo si usa tuttora in quasi tutte le situazioni quotidiane quando si deve comunicare qualcosa a qualcuno che non è in casa o in ufficio o semplicemente poggiandolo sul parabrezza della macchina lasciata in tripla fila, magari solo per dire: “Sono alla posta, sto tornando”. E lì capisci che sei a posto e che quella raccomandata ti fotterà mezza mattinata. Insomma, il senso del pizzino è stato adattato alla fiction in voga al momento, e nessuno ha avuto da ridire, come se per definire il significato di automobile, visto che anche queste sono servite di tanto in tanto per rapinare banche o commettere omicidi, si dicesse: “mezzo a quattro ruote usato per commettere crimini”. E voi ce l’avete un’automobile? Attenti a rispondere, perché il vostro vicino potrebbe iniziare a guardarvi con sospetto.

Dalla Postfazione di Sergio Nazzaro 

“I frammenti, nel loro ordine alfabetico, aprono innumerevoli possibili varianti. Ogni frammento è specchio, riflesso ed opaco, del frammento che lo precede o di quello che sovviene appena dopo. E se durante la lettura è naturale interrogarsi del perché a volte sia troppo breve o troppo lungo, se si poteva aggiungere o togliere qualcosa, allora la scrittura sta funzionando, non predica ma interroga.

[…]
Ogni discorso su mafie e antimafie dovrebbe finire con un verbo all’infinito che impedisce di chiuderne la discussione, e i frammenti diventano dubbi, piuttosto che certezze, verbi all’infinito piuttosto che participi passati […]. Non ci possiamo fidare di questi frammenti, come non ci possiamo fidare del perché la letteratura sulle mafie cerchi un punto di arrivo piuttosto che un punto di inizio e lasci da parte, con deferenza, le antimafie”.

Note

[*] Gianpiero Caldarella è giornalista e autore di satira, già cofondatore e direttore del mensile Pizzino, vicedirettore del settimanale Emme, caporedattore del settimanale Il Male di Vauro e Vincino, collaboratore di Radio24.

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