Un secondo ricordo di Del Boca e del suo lavoro di restituzione della storia.

Se oggi conosciamo gli aspetti più efferati del colonialismo italiano lo dobbiamo ai pregevoli lavori di Angelo Del Boca. Noto per essere il primo studioso ad essersi occupato in maniera strutturata di questa “storia”, Del Boca ha rivelato, attraverso la sua opera monumentale, gli abusi e i crimini di guerra commessi nel territorio africano da parte dell’Italia liberale prima e fascista poi, che fino ad allora erano poco noti sia nella storiografia sia nel dibattito pubblico. Il mito del bravo italiano è stato magistralmente smontato da Del Boca e su questo alcuni storici, tra i quali Filippo Focardi, Nicola Labanca ed altri hanno successivamente lavorato per decostruire questo mito. Un mito che verrà decostruito non solo dalla storiografia ma anche sul versante letterario.
A tal proposito, la scrittrice Igiaba Scego, nel suo volume “Roma Negata” afferma che “nella cultura popolare poi la questione viene semplificata fino a reiterare il mito autoassolutorio (autoconsolatorio) degli ‘italiani brava gente’. Ovvero del Buon italiano che sì colonizzava, ma alla fin fine era di cuore, bravo, bello. Che non usava il moschetto, ma si metteva a lavorare con gli indigeni per rendere più fertile la terra. Che costruiva strade, scuole, ospedali, ponti. Il Buon italiano di cui tutte le faccette nere si innamoravano perdutamente. Mito falso e bugiardo, questo degli ‘italiani brava gente’, che non solo ha fatto parte della costruzione fascista della narrazione coloniale, ma che rimase radicato nella mente dei più anche nell’Italia del dopoguerra”.
Del Boca nel rivelare che si era accorto che “mancava una storia del colonialismo italiano” e affermando che fu “così che decisi di colmare questa lacuna scrivendo io stesso”, riferisce in un’intervista di qualche anno fa che “in Africa dappertutto abbiamo fatto danni, iniziando dall’ottocento e poi col fascismo abbiamo usato armi proibite come i gas”. Fu Del Boca che in primis documentò nei suoi libri, i telegrammi che Mussolini inviò ai comandanti militari Graziani e Badoglio, in cui veniva autorizzato l’uso dei gas – già allora messe al bando dalla Convenzione di Ginevra – come l’iprite.
Ed anche su questo fronte che alcuni tra i suoi “allievi” hanno continuato la ricerca ritrovando fonti che prima non erano accessibili o erano state dimenticate. Tra questi non possiamo non ricordare il prezioso lavoro dello storico Matteo Dominioni, del quale Del Boca è stato il “maestro”, che ha pubblicato un volume importante “Lo sfascio dell’Impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1939” edito da Laterza, che alcuni fa ha scoperto negli archivi delle forze armate i documenti relativi a una delle stragi più efferate dell’occupazione dell’Etiopia, quella del 1936 nella regione del Gaia-Zeret-Lalomedir. Furono intercettati un gruppo di “ribelli” che in maggioranza erano donne, bambini anziani e feriti che si barricarono all’interno di una grotta, il cui accesso fu bloccato dai bombardamenti e dall’esplosivo che provocò una frana. Quattro battaglioni coloniali assediarono per alcuni giorni la grotta e nel tentativo di espugnarla richiesero l’intervento di un plotone chimico. In questo eccidio di donne bambini e anziani, magistralmente ricostruito da Dominioni che ha svolto la propria ricerca sul campo, persero la vita tra i 2200 e 2500 persone.
Oltre alla “questione gas” Del Boca ha riportato la violenza della creazione di campi di concentramento in Libia in cui furono detenute 120 mila persone, in gran parte civili, di cui 40 mila persero la vita. Anche su questo autorevoli storici hanno ripreso e continuano a svolgere la propria ricerca.
Appare quindi chiaro che per noi studiosi risulta estremamente preziosa la sua produzione che è frutto di una minuziosa ricerca documentaria e sul campo. Ed è anche quest’ultimo aspetto, quello del recarsi sul campo che, grazie anche al suo lavoro di giornalista, si rivela un Del Boca “nuovo”. Oltre all’approfondimento archivistico il suo recarsi sul campo inserisce Del Boca nell’alveo di coloro che hanno il merito di aver restituito la “Storia” a chi, come chi vi scrive, ha un’origine Altra. “L’Altro” inteso come uomo, cittadino e soggetto e non come suddito ed oggetto è un aspetto che nelle opere di Del Boca è peculiare per chi ha letto con attenzione i suoi lavori e si aggiunge all’aver “tolto la benda” sulla storia del colonialismo italiano.
In conclusione, credo che noi storici che ci occupiamo del Continente che ci sta di fronte non possiamo che ringraziarlo e raccogliere la sua eredità continuando il lavoro di ricerca.