400 ISO – #Lisboa’75

Alla rivoluzione con la Mini Minor, una Yashica usata e i dischi degli Aerea. A Revolucao esta na rua: reportage di Stefano Pacini sulla Rivoluzione dei garofani.

Dal diario di viaggio del 1975

L’auto ce l’ha prestata Carlo. I soldi per partire: megacolletta tra compagni e amici, Brio ha partecipato a modo suo, con un tocco di fumo. In piazza quando siamo partiti sembrava che andassimo alla guerra: madri in lacrime, un sacco di amici preoccupati, ci hanno allungato persino un pezzo di prosciutto. Sanno che laggiù sarà difficile anche telefonare. Io non ho la patente, Maurizio neppure e Alì ce l’ha da due mesi e guida come un pazzo. Il problema della macchina è che a freddo non parte e quindi la notte cerchiamo di parcheggiarla in discesa. Oppure la mattina scendiamo tutti a spingerla per poi entrarci al volo.

Alla prima frontiera con la Spagna tutto bene, ma quando arriviamo a quella con il Portogallo le Guardie Civil di Franco non hanno creduto che eravamo turisti. Ci hanno perquisito l’auto e quando finalmente siamo ripartiti uno di loro ha sputato per terra dicendo schifato: «Comunisti!». Noi. Allora, appena entrati in Portogallo abbiamo cantato a squarciagola l’Internazionale, con i pugni chiusi fuori dai finestrini. Alcuni ci guardavano stupiti, un contadino con una zappa in spalla ci ha salutato sorridente. A vederli i portoghesi sembrano i nostri contadini del Sud, anche la lingua, benché più dura, è simile.

A Lisbona stiamo in un vecchio albergo abbandonato con i pavimenti in legno occupato dagli italiani di Lotta continua e vari gruppi in Rua do Prior. Sopra il portone uno spray rosso ha tracciato grande la scritta AARPI che sta per Associazione di Amicizia Rivoluzionaria Portogallo-Italia. C’è Boato, Paolo Hutter, Franco Platania, Paolo Ramundo, Sparagna per il PDUP, Carlo Panella che è il corrispondente di Lotta continua e viaggia con una giornalista tedesca. Un giorno è indetta una conferenza stampa per spiegare che presto a Roma ci sarà una grande manifestazione della sinistra rivoluzionaria in solidarietà con il Portogallo, e la sera ci siamo rivisti al telegiornale.

In un mobiletto ho trovato le diapositive delle foto scattate pochi mesi fa da Tano D’amico. Dalle finestre vediamo il Tago e mezza città. Dormiamo sopra brande che erano state dei soldati portoghesi nelle colonie in Africa. Ce le hanno portate i soldati rivoluzionari di una vicina caserma, soldati con i capelli lunghi che partecipano in divisa e armati ai cortei di sinistra che percorrono tutti i giorni la città; ci sembra di sognare.

In una piazza abbiamo trovato anche Pino Masi che cantava L’ora del fucile, si sentiva da lontano il suo tuonare. Scorrazziamo insieme a giornalisti tedeschi per il centro di Lisbona o nelle fattorie occupate dell’Alentejo. Ovunque accada qualcosa, scatto foto alla luce incredibile della città sul Tago con i suoi tram sferraglianti d’anteguerra, i suoi palazzi coperti di azulejos, i mercati all’aperto dove puoi trovare di tutto, dalle scarpe all’erba angolana, dagli zingari che suonano nenie tristi a neri giganteschi che vogliono solamente parlare con te curiosi di capire da dove vieni e cosa fai, mentre studenti universitari attaccano enormi manifesti e striscioni in stile maoista. Ragazzini a piedi nudi come i nostri scugnizzi napoletani si rincorrono dietro un pallone di stracci e un vecchietto malmesso ma con l’aria dignitosa mi domanda se voglio comperare un mensile anarchico che si chiama “Merda” (con la a cerchiata).

Alla radio nazionale occupata da un collettivo di giornalisti abbiamo lasciato in dono alcuni dischi. Una mattina accendiamo la radio e in mezzo a un profluvio di parole in portoghese capiamo «Disco, dono di compagni italiani, Area gruppo popolare internazionalista», e subito dopo sentiamo con emozione la voce inconfondibile di Demetrio Stratos «… la mia rabbia legge sopra i quotidiani, canta il mio dolore, canta la mia storia, canta la mia gente che non vuol morir…»

Spesso scortiamo il corrispondente di Lotta continua, che ci sembra vecchio anche se in realtà avrà trent’anni. La sera dopo aver avuto la linea nel palazzo dei telefoni detta l’articolo a Roma. Una mattina giunge la notizia che in Spagna il dittatore morente Franco farà fucilare cinque antifascisti baschi e catalani. Partiamo in corteo in migliaia, muovendo dal centro ci dirigiamo verso l’ambasciata di Spagna distante diversi chilometri. Entriamo dentro il consolato, poi dentro la compagnia Iberia, polverizzando ogni cosa con mazze, picconi e mani nude. Non ci ferma nessuno, molti ci applaudono mentre urliamo i nomi dei fucilati, la polizia sta a guardare, non vuole rogne. Arrivati all’ambasciata, un palazzo immenso, troviamo degli autobus dirottati da gruppi di ladruncoli del Rossio, mentre noi spacchiamo tutto loro “salvano” argenteria, quadri, mobiletti, automobili persino, il loro mercato parallelo ci camperà per settimane. Dopo alcune ore arrivano dei camion carichi di parà, sparano raffiche di mitra in aria per disperderci. Me ne ritorno in Rua Do Prior a piedi portandomi a mo’ di trofeo una targa dell’ambasciata strappata dal portone. Per strada mi abbracciano scambiandomi per spagnolo.

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A Revolução está na rua, Lisbona quarant’anni dopo

Quarant’anni fa, in un mondo radicalmente diverso, partii da Massa Marittima con due amici  tre sacchi a pelo e pochi soldi. La nostra meta era Lisbona, per poter osservare-partecipare alla  Rivoluzione dei garofani, che aveva rovesciato il 25 aprile (!) uno degli ultimi regimi fascisti europei.

C’è un film su quel periodo che si chiama «Alla Rivoluzione con la due cavalli». Noi invece  andammo con una Mini Minor, che, tra le altre cose, spesso a freddo partiva solo a spinta. Ci mettemmo tre giorni, attraversando la Spagna dell’ancor vivo dittatore Franco, guardati male dalle Guardie Civil, per i nostri capelli, abbigliamento, e, soprattutto, per la nostra destinazione. A Lisbona fummo ospitati in un palazzotto in rovina di una nobile fuggita con un popolano, sede dell’associazione di amicizia rivoluzionaria Portogallo-Italia, frequentato soprattutto da esponenti di Lotta continua, arredato con brande dismesse di una vicina caserma di soldati di sinistra, che avevano i capelli lunghi e partecipavano ai cortei che attraversavano quotidianamente la città. Mi sembrava di sognare.

Andavo ovunque, dalla Radio occupata dai giornalisti che trasmetteva anche un lp degli Area che gli avevamo regalato, alle manifestazioni in Campo Pequeno di un variegato mondo rivoluzionario, alla piazza del Rossio e dei suoi simpatici ladri che improvvisavano partitelle a pallone. Quello è stato il mio primo reportage fotografico, effettuato con una Yashica usata, obbiettivo 50 mm, pellicole ilford B/N e tanto entusiasmo e camminare. Tornai diverso, a diciotto anni avevo attraversato una delle prime linee d’ombra della mia vita.

Tanti anni dopo il Centro Portugues de Fotografia ha acquisito quelle foto. Ormai fanno parte, testimoniano nel loro piccolo, un evento storico, uno spartiacque fondamentale per il paese lusitano. Ma comunque grande è stata la mia sorpresa quando quest’anno, nel quarantennale di quella Rivoluzione, mi hanno informato che tra le varie mostre fotografiche organizzate a Lisbona, nelle strade e nei palazzi, col titolo A Revolucao esta na rua, una sarebbe stata organizzata nel palazzo della FNAC  in pieno centro città, da aprile a luglio, con quelle mie foto. Così, finalmente, dopo vari tentativi sempre frustrati di ritornare in Portogallo, questa volta ce l’ho fatta, grazie a Cristina e a un volo aereo meno avventuroso ma molto più veloce del viaggio in auto di una vita fa.

Ho ritrovato un Portogallo molto più vitale di quel che ci raccontano, ancora splendido, ho fatto qualche centinaio di foto in digitale che chiuderanno un cerchio lungo quarant’anni nel mio prossimo lavoro fotografico, ho provato una emozione non descrivibile a rivedere quelle foto in quei luoghi, e ho incontrato per caso una studentessa universitaria del mio paese che fa qua il dottorato, lei, all’epoca, non solo non era nata ma neppure lontanamente in programma.

C’è una morale in questa favola? Ce ne sono molte. Quella della serietà di un Paese che preserva la sua memoria e la valorizza, che senza memoria non si va da nessuna parte. Quella antica che nessuno è profeta in patria, visto che riesco, a costo zero, a esporre ovunque, ma non nella mia città. E quella che la Fotografia è una gran compagna di vita, non finirà mai di darti sorprese e soddisfazioni. Ma soprattutto domande.

Dopo Lisbona, la mostra A Revolucao esta na rua sta girando il resto del Portogallo sino ad aprile 2015, mi hanno detto che se la voglio far venire in Italia me la possono spedire da maggio 2015, pagando spese…


L’autore

Stefano Pacini nasce nel ‘56 in alta Maremma, inizia a fotografare da adolescente anche grazie alla passione del padre. Studia a Massa Marittima dove si diploma Perito Capotecnico Minerario, poi si iscrive alla Facoltà di Storia e Filosofia all’Università di Firenze. Partecipa attivamente ai Movimenti del decennio rivoluzionario e creativo del ’68-’77. Coltivatore di vigne , ferramentista e giramondo, diventa fotografo professionista free lance dal ’93, fonda in Maremma e poi a Siena l’agenzia fotografica 101, e dal 2003 Fotografi Contro insieme alla fotografa Daniela Neri. Con lei gestisce la scuola Fotografi in Corso al Centro di Culture Contemporanee “Corte dei Miracoli” presso l’ex Ospedale psichiatrico. I suoi reportage raccontano della Rivoluzione dei garofani in Portogallo, dei Popoli Rom, della guerra nella ex Jugoslavia, di Cuba e del Magreb, dei mutamenti epocali che hanno sconvolto l’Italia. Sue foto sono state pubblicate da diversi quotidiani e settimanali, libri e riviste. Nel 2004 per la sua attività nelle Edizioni il Fondo collegate a Stampa Alternativa, ha vinto il premio della Regione Toscana per la diffusione della Cultura. Collabora anche con LTMD video nel settore dei cortometraggi, e con varie ONG e siti culturali on line. Vari cataloghi e riconoscimenti ottenuti dai suoi lavori esposti in modo permanente a Lisbona, Oporto (Centro Portugues de Fotografia), L’Avana, Mostar, Milano, Ravenna, Siena, Massa Marittima, Cosenza, Reggio Calabria, Catania. Stefano Pacini cura la rivista online Maremma Libertaria.

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