Una sociosemiotica del grillismo

Nell’ottobre del 2012 è uscito un libro che si intitola “Un grillo qualunque”. A partire da questo testo, a firma del giornalista Giuliano Santoro, si potrebbe forse trarre il materiale per una sociosemiotica a venire del discorso politico “grillino”.

Ci limitiamo a tre note.

Prima nota

Una sociologia della politica forse e putroppo “non basta”. Il caso del grillismo sembra un buon esempio del limite di strumenti e metodi di macroanalisi sociale, ai quali, poi,
spesso, segue la traduzione del giornalismo.

Il grillismo è stato oggetto in epoca prelettorale di una serie di critiche fumose, quando non – con le parole di un lettore del blog Giap del gruppo Wu Ming – “goffe e sghangherate”. Ne citiamo una, a firma del sociologo Roberto Biorcio, che Santoro include nel suo libro. Secondo Biorcio

Non saremmo qui a parlare di populismo se vent’anni fa non ci fosse stato un cambiamento
importante nel quadro politico: la fine della Guerra Fredda, la globalizzazione e la fine dei partiti di massa. Prima di questi eventi in Europa non c’èra spazio per i populismi, funzionava lo stato sociale e questo garantiva il consenso. Poi si sono aperti degli spazi, e quando in politica ci sono spazi vuoti qualcuno li copre sempre.[1]

Possiamo ripartire dall’ultima considerazione di Biorcio, per sottolineare che la semiotica procede con un metodo che la allontana da equazioni immediate: in semiotica non si tratta mai di scoprire il perchè dell’aprirsi di questi famigerati e generici “spazi vuoti”, ma di spiegare come lo spazio politico che si dà in un certo frammento della realtà culturale di un Paese possa essere ricostruito con l’analisi delle diverse posizioni che ne organizzano il campo.

A questo proposito ricordiamo il lavoro di Roberta Abate, Angelo di Caterino e Valentina Vellucci, La necessità dell’altro nella campagna 2008 della Lega Nord, che si può
consultare sul sito di E/C, la rivista dell’Associazione Italiana di Semiotica. Nel
caso della comunicazione leghista, i tre autori identificano un’opposizione semiotica profonda fra sicurezza e insicurezza socioeconomica, opposizione che struttura il campo politico dentro cui la Lega Nord si promuove come partito della sicurezza. Nel caso del grillismo, il campo che pertiene alla sua efficacia comunicativa sembra organizzarsi intorno all’asse ordine-disordine.

Nella politica contemporanea la sicurezza non è più rilevante, tutti i partiti sono insicuri; nella crisi cronicizzata il discorso di Grillo fa piuttosto leva sull’idea che il disordine sia l’unico modo di reagire a un ordine che è stallo, potere, immobilità e cecità ai bisogni del popolo, della gente.

In uno spazio come questo il senso del grillismo si riarticola in rapporto con quello delle altre istanze politiche. Sembra rilevante per esempio, che Forza Italia si appelli a una coalizione salda delle forze politiche, per un ordine contro le “follie grilline”, mentre la sinistra dei movimenti e dei centri sociali giochi la carta di un discorso di denuncia di un celato ordine gerarchico nel grillismo; ovvero cerchi di riappropiarsi del disordine rivoluzionario, come pensiero “responsabile”, contro un disordine senza contenuti, che è quello che il grillismo rivendicherebbe.

Seconda nota

Pensare a una semiotica del grillismo ha senso anche proprio rispetto alle analisi che vengono dal versante dell’attivismo anarco-anticapitalista dei movimenti extraparlamentari. Sono molte le voci che interpretano il grillismo attraverso una lettura marxista. Voci che Santoro nel libro ricostruisce: emerge un grillismo come espressione del potere sovrastrutturale, come forma populista di destra che è orientata a celare il conflitto di classe, immanente, invece, alla struttura sociale. Una buona recensione del libro di Santoro in questa chiave, per esempio, è firmata da Nicola Casale sul blog di InfoAut.

Ma una lettura del discorso sociopolitico è tanto più utile, crediamo, quando è in grado di tracciarne le coordinate a livello metadiscorsivo, senza cioè partire da una posizione interna del discorso. È auspicabile che la semiotica offra prospettive di analisi per descrivere anche i discorsi contro il grillismo, e ancora, ambisca a poter descrivere quelli sul grillismo.

Un lavoro rilevante da cui partire potrebbe essere quello di Landowski del 1979, un po’ oscurato dal tempo e ancora da tradurre, Dalla politica alla scienza politica: analisi di un articolo di André Sigfried [2]. Landowski studia il senso della differenza fra discorso politico e discorso politologico; per farlo, parla di un soggetto che si fa “qualunque” quando parla di politica, e di un’opinione politica che al contrario è sempre presentata come oggetto costruito, insieme al suo enunciatore soggetto.

I due concetti che fondano l’opposizione semantica del suo modello, sono quelli di senso e irregolarità: concetti che anche nel contemporaneo potrebbero rendere conto bene di cosa il grillismo trasli da un frame politologico di partecipazione/astensione, a uno politico di sacro /profano e che permetterebbero magari di far fruttare l’osservazione di Santoro, per cui la politica fatta sul web si limita “a segnare nuovi orizzonti per chi del web finora ha fatto solo il posto del cazzeggio”.

Terza nota

Il grillismo è anche un discorso con tratti linguistici e sociolettali definiti, a cui una semiotica sociodiscorsiva dovrebbe essere la prima a interessarsi. Dal libro di Santoro viene fuori il filo rosso di una riflessione sociolinguistica sul grillismo, che arriva ai post del collettivo Wu Ming, alle analisi di Giovanna Cosenza sul suo blog Disambiguando e sulle pagine de Il fatto quotidiano, fino alle note di Umberto Eco in Il comico e la regola [3].

Un filo rosso che però non ha trovato seguito in un’analisi semiotica più ampia e che quindi resta al livello di uno spunto da sviluppare. Santoro rileva per esempio come il vocabolario comico di Grillo abbia una pervasività particolare, quella per la quale anche senza aver mai seguito la propaganda politica del comico su Internet, in molti sono in grado di identificare il referente di un suo conio, come “lo psiconano”.

Diversi termini del discorso di Grillo sono erotti nel lessico del giornalismo politico, perdendo la connotazione di denuncia che avevano nella sua invettiva e trasformandosi in agili etichette del senso comune dell’informazione.

Ancora, Santoro identifica il legame fra il modo in cui Grillo parla quello che divenne tipico dei racconti dello pseudo-telegiornale Striscia la Notizia. L’autore ne parla a lungo. Ricorda che il format, ideato da Antonio Ricci nel 1988, deve il suo successo non solo alla novità scenografica delle ballerine “veline”, ma a una struttura ricorrente di sketch che in un italiano fresco e ufficioso “hanno pretesa – questo è il vero capolavoro – di denuncia”[4].

Poi Santoro cita Gad Lerner su Ricci: “Lo considero il Dante Alighieri del berlusconismo: ne ha costuito la lingua. È quello che ha tradotto in linguaggio popolare il
vocabolario anni Cinquanta dell’Italia dei casini” [5].

È probabile che concentrandosi sul confronto fra la lingua di Striscia la Notizia e quella di Beppe Grillo si avrebbe un buon lavoro di semiotica testuale. E forse da questa confronto si potrebbero trarre anche altre considerazioni su una semiotica del tempo, che coinvolgano tanto quello dell’esecuzione linguistica, quando quello del presente televisivo, quanto quello della stratificazione storica di un certo discorso sul sapere politico e su un corrispettivo discorso di educazione alla politica.

Note

[1] Giuliano Santoro, Un grillo qualunque. Il movimento 5 stelle e il populismo digitale nella crisi dei partiti italiani, Castelvecchi, Roma, 2012, p. 149.

[2] Eric Landowski, Introduction à L’analyse du discourse en sciences sociales,
Hachette, Paris, 1979, p. 103 – 121.

[3] Umberto Eco,”Il comico e la regola”, in Alfabeta. Antologia, Milano, Bompiani, 2012.

[4] Giuliano Santoro, Un grillo qualunque, op. cit., p.24.

[5] Ibidem, p. 25.

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