Ritorni critici

Le domande non autorizzate degli studi culturali e postcoloniali

Pubblichiamo la nota introduttiva di Iain Michael Chambers e Michaela Quadraro a Ritorni critici. La sfida degli studi culturali e postcoloniali (Meltemi, 2018).

Questo volume emerge da un laboratorio di lunga durata, nato dal proposito di rinnovare i linguaggi delle analisi critiche dei testi e delle pratiche culturali nell’epoca contemporanea. Il dottorato in “Studi culturali e postcoloniali del mondo anglofono”, cui afferiscono i lavori affrontati nei vari saggi e la cui conclusione è segnata da un convegno tenuto presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, ha rappresentato senza dubbio un progetto molto più esteso. Un’opera di costruzione teorica e di interruzione critica, sia nell’ambito della didattica che in quella della ricerca, è stata portata avanti da molti decenni presso “L’Orientale” per disseminare la ricchissima gamma di prospettive inter-disciplinari e trans-culturali degli studi culturali e postcoloniali all’interno del mondo accademico italiano.

Come accade frequentemente, i risultati di questo lavoro sono ancora incerti, giacché da un punto di vista formale lo stato delle cose sembra invariato: le discipline dell’area delle scienze umane e sociali, interpellate da questa iniziativa, restano ampiamente inalterate, mentre il dottorato è stato chiuso, vittima dei tagli richiesti dalla razionalizzazione e dalla pauperizzazione attuale dell’università pubblica. Allo stesso tempo, seppur non registrate formalmente, le prospettive critiche degli studi culturali e postcoloniali hanno diffuso molti interrogativi che hanno contribuito a smuovere il terreno del lavoro critico nei diversi campi.

In particolare, di grande importanza per l’acquisizione di una grammatica sperimentale, più aperta e democratica rispetto alla rigidità disciplinare e istituzionale, sono state le analisi dei testi letterari e cinematografici, delle pratiche delle arti visive e musicali, delle culture urbane e del loro tessuto quotidiano; le questioni di appartenenza e di identità; le prospettive intersezionali del genere e della differenza; le indagini sui saperi e sulle logiche spazio-temporali che continuano a colonizzare il pianeta; le reti tecno-digitali, le ricerche sulle pratiche alternative di archiviazione della memoria e le poetiche delle politiche future.

Le premesse che hanno stabilito e garantito i saperi delle discipline sociali e umanistiche sono state esposte a domande spesso non autorizzate, per interrogare la continuità della storiografia, garante del soggetto sovrano.

Il rifiuto e la negazione dei linguaggi che insistono su questa discontinuità, pur rendendo manifesti i rapporti gerarchici dei poteri e i dispositivi razziali e di genere che consentono a una minoranza di parlare in nome dell’universale, rappresentano inevitabilmente il sintomo di una rimozione destinata a ritornare, in cui “il diritto di avere diritti” (Hannah Arendt) irrompe per strappare le mappe del sapere/potere e contaminare la presunta purezza della ragione con i corpi dei “soggetti imprevisti” (Carla Lonzi).

La registrazione di questo solco e l’insistenza sul confine indeboliscono i rapporti asimmetrici di potere – accademici, economici e politici – che in questo momento rendono il mondo un “mondo”. Anche in Italia, ormai, tale sfida è stata accolta da nuove generazioni di ricercatori e di ricercatrici che nei loro lavori, spesso precari, cercano di rispondere all’istanza gramsciana di pensare globalmente, allargando la misura del mondo dall’Europa al resto del pianeta.

In questo incrocio di prospettive critiche incisive che insistono sul ruolo del dissenso e sulla scomposizione della cultura egemonica confinata in un’unica sintassi nazionale e provinciale, potremmo affermare che gli studi culturali e postcoloniali hanno promosso un orizzonte critico destinato a resistere e persistere.

Nella congiuntura storica attuale le istituzioni che avrebbero dovuto contestare la logica neo-liberale e la predica di un pensiero unilaterale “senza alternativa” (secondo il motto di Margaret Thatcher) si sono rivelate chiaramente degli apparati statali ideologici, per citare la definizione di Louis Althusser, che hanno ridotto le conoscenze critiche a mere competenze strumentali spendibili nel “mercato” del lavoro.

In risposta a questo stato di cose i lavori che emergono da questo volume si inseriscono in un dibattito più ampio sulle pratiche che cercano di uscire da tale gabbia per porre interrogativi, come direbbe Jacques Derrida, su come prendere responsabilità per l’emergere del futuro. Muovendosi con corpi e pensieri tra paesaggi letterari, visuali e sonori, le autrici e gli autori propongono dei viaggi critici dove l’intreccio della poetica e della politica fornisce dei materiali, elaborati anche nei ritmi quotidiani, che suggeriscono come possiamo camminare su questo percorso.

 

Print Friendly, PDF & Email
Close